I ris/volti umani della crisi

Parlare di crisi, che continua, e portare i numeri della cassa integrazione (+600% in provincia di Rimini nei primi dieci mesi del 2009) e delle richieste di indennità di disoccupazione (+54%) che aumentano è utile, e continueremo a farlo, ma c’è sempre il rischio di rendere tutto troppo uguale e anonimo nello stesso tempo. Insomma è come se, solo con i numeri, la crisi non avesse un volto. Invece i volti della crisi sono tanti, ed ognuno racconta una storia diversa. Storie forse troppo normali per fare notizia. 

 Hoxha Avdyl, muratore di origine albanese, in Italia dal 1993 e a Rimini dal 2001, 56 anni, con famiglia e due figli grandi, che per fortuna lavorano, insieme alla moglie, un mutuo da pagare, è molto arrabbiato perché un giorno di settembre è stato licenziato su due piedi, dopo otto anni di lavoro, dalla Ditta Aedificio Costruzioni di Rimini, 21 addetti prima della crisi oggi ridotti a 15, in prevalenza immigrati, con la motivazione che avrebbe fatto male il capocantiere, quando lui dice di essere solo un muratore, pagato per fare questo e non altro. E il muratore lo ha sempre fatto bene, tanto è vero che ci lavorava da otto anni.

A seguito della vertenza sindacale la Ditta continuerà a pagarlo fino a marzo 2010,  ma Avdyl non è soddisfatto perché rivuole il suo lavoro. “Ogni mattina, dice,  continuo a svegliarmi alle 6.00  col pensiero di dover andare a lavorare, poi quando mi rendo conto che non ho più un lavoro monta la rabbia e non so con chi sfogarmi. E’ brutto non sapere come passare le giornate, perché  questo crea molto stress nelle persone”.    

 Il secondo lavoratore, 26 anni, immigrato dai Balcani anche lui, in Italia da sei anni ed a Rimini da due e mezzo,  quando aveva appena avviato la pratica per il ricongiungimento familiare con la moglie, improvvisamente, a luglio 2009,  si è trovato messo in cassa integrazione a zero ore dalla piccola ditta, due dipendenti più il titolare, di manufatti per l’edilizia in cui lavora da più di un anno.

Vive solo e paga un affitto di 500 euro al mese, più le bollette, ma ancora, da luglio,  non ha ricevuto nemmeno un euro della CIG che gli spetta (circa 750 euro al mese, per un salario normale di 1.200 euro). L’azienda gli ha pagato le ferie e anticipato la tredicesima, ma i soldi sono finiti. “Il giorno lo passo prevalentemente in casa, dice, anche per non spendere, perché  tutti i risparmi sono esauriti”. 

Ed il guaio è che anche la pratica per il ricongiungimento si è bloccata,  perché la Questura vuole copia del pagamento della cassa integrazione, a dimostrazione che può mantenere la moglie.  Con l’altro dipendente, anche lui immigrato, ed in ditta da otto anni,  la rotazione è molto difficile perché ha una famiglia e due figli da mantenere. La cassa integrazione finisce a dicembre e non rimane che sperare in un nuovo anno anche per il lavoro.  

 A.V., 38 anni, vive con i genitori, viene da Poggio Berni e lavora presso un’azienda che produce macchine per il legno (bordatrici e foratrici)  nella zona di Cerasolo, esportandone una buona parte.  Settanta dipendenti, quando è arrivata la crisi, nel gennaio 2009, l’azienda era in piena espansione. Poi a marzo è iniziata la cassa integrazione ordinaria a zero ore per la metà circa  degli addetti, successivamente estesa anche ad altri, che durerà, senza nessuna rotazione,  fino a gennaio 2010. Attualmente al lavoro sono rimasti una quindicina di persone. L’Azienda è fiduciosa, ma la situazione è difficile, per cui non si può escludere che dopo gennaio possa chiedere il passaggio alla cassa integrazione straordinaria.  Cassa integrazione  pagata abbastanza regolarmente, escluso il ritardo di un mese e mezzo che l’azienda non è riuscita ad anticipare,  che però vuol dire scendere da 1.200 euro di un salario pieno a 750 euro.  Ovvie le difficoltà per chi è in affitto o ha un mutuo da pagare.

 Come si vive in cassa integrazione ? “Cerco di distrarmi, mi prendo più cura dei miei genitori anziani e per fortuna collaboro con la Parrocchia vicina. Avevo deciso di trovarmi un appartamento dove andare a vivere per conto mio per essere più indipendente, ma la crisi ha bloccato tutto. Lavoro in questa azienda da 15 anni  e all’inizio la cassa integrazione, che doveva durare tre-quattro mesi, l’avevo preso abbastanza tranquillamente, poi le cose sono cambiate.  Perdere il lavoro, per una persona, è un po’ come togliergli la dignità, ci sentiamo tante pedine che quando non serviamo più veniamo messi da parte. Una cosa positiva, se così si può dire, però c’è stata: adesso siamo più uniti e meno individualisti. Anche gli iscritti al sindacato sono aumentati, dai 6-7 di prima alla ventina di oggi, riuscendo perfino a formare una Rappresentanza sindacale unitaria (RSU) interna. All’inizio della crisi i magazzini dell’azienda erano pieni, poi le macchine sono state vendute, anche  al prezzo di saldo, ed oggi sono vuoti. Si produce solo se arrivano richieste”.

 Lorella Casadei invece il lavoro l’ha definitivamente perso,  perché la sua azienda, Aerre srl con sede a Vergiano di Rimini,  che produceva macchine per la lavorazione dei metalli, a fine ottobre ha portato i libri in Tribunale. Già finanziariamente debole, la crisi gli ha assestato il colpo definitivo, lasciando a casa i dieci dipendenti che erano rimasti, dei venti che erano in forza a fine 2008.

Già in cassa integrazione ordinaria da gennaio a settembre 2009,  ad ottobre è scattata quella straordinaria che durerà fino a marzo 2010. Poi entreranno in mobilità, ed alla fine di tutto anche quei 750-850 euro di entrata della cassa integrazione cesseranno. Il pagamento della cassa integrazione sconta un leggero ritardo, ma tutto sommato avviene abbastanza regolarmente ed   all’inizio di dicembre hanno potuto incassare quella di ottobre.

 Tutti sono alla ricerca di un nuovo lavoro, ma non è facile trovarlo, perché le aziende non assumono, oppure quando lo fanno, per ottenere gli sgravi fiscali cercano lavoratori in cassa integrazione o mobilità, come loro, trovandosene però davanti diversa centinaia. In  passato venivano contesi, oggi sono troppi.  Qualcuno ha fatto qualcosa con i voucher (buoni lavoro del valore nominale di 10 euro), ma si tratta di lavori occasionali.

 “La verità, prosegue Lorella Casadei che con gli ex colleghi si vede ogni tanto e comunica anche in Facebook, è che dopo un anno di cassa integrazione le persone sono demotivate e comincia a farsi largo un sentimento di inadeguatezza. E siccome i soldi sono pochi, ci si adatta a fare una vita al minimo, quasi vegetale. Si riducono le uscite con gli amici, si pensa prima ai figli e non di rado si taglia qualcosa anche sulla spesa alimentare.  Col tempo poi comincia a subentrare l’ansia di non riuscire a trovare un altro lavoro”.

 E’ inutile aggiungere che i prossimi mesi saranno decisisi, per l’evoluzione della crisi ma anche per le speranze di tante persone, che sono rimaste senza lavoro e attendono di trovarne un altro.