Le “fraganze” della crisi e della ripresa

Farotti essenze, al Gros di Rimini, produce qualcosa di molto particolare e nello stesso tempo molto familiare: essenze (fraganze) da impiegare nella profumeria, nella cosmetica e nella detergenza, per ricavarne prodotti (saponi, profumi, deodoranti, creme, detersivi, candele e incensi per la casa, ecc.) che in qualche modo utilizziamo un po’ tutti.  Stiamo parlando di essenze molto concentrate, tanto è vero che ne bastano 3 grammi per un chilogrammo di shampoo, 1 grammo per un chilogrammo di crema per le mani e così via. Per dare un buon odore sono sufficienti modiche quantità  sia perché  molto concentrate,  ma soprattutto perché sono piuttosto care: per esempio, un chilogrammo di olio di essenza di rosa bulgara, molto apprezzata, non costa meno di 5 mila euro.  Altre essenze, come quelle ricavate dal geranio, dalla menta, dalla citronella e dal patchouli, importate dalla Cina, costano  invece meno (la metà circa che in Europa). 

Nella produzione di essenze, la materia prima è fondamentale perché rappresenta la metà del valore del prodotto finale. E farla venire da paesi dove i costi sono più bassi, ci ha consentito, spiega Giuliano Farotti, il titolare, di rimanere competitivi,  perché a fronte, negli ultimi  decenni, di  prezzi reali  alla vendita, scontati cioè dell’inflazione, rimasti praticamente invariati, tutto il resto è aumentato di molto, con una forte riduzione dei margini.

Ma come mai i cinesi, che hanno le essenze in casa, non ci fanno ancora concorrenza ?  “Perché, continua Farotti, non hanno ancora acquisito la mentalità di lavorare con qualità. Loro pensano soprattutto ad abbassare i prezzi, ed anche quando copiano hanno la tendenza ad impoverire il prodotto. Dalla Cina stanno arrivando dei deodoranti, costano poco, ma valgono anche poco”.

 La crisi comunque si è fatta sentire anche nel mercato delle essenze, perché se le famiglie non spendono, ed un profumo non è un bene essenziale, le aziende non producono e non comprano nemmeno gli ingredienti.  “Il periodo più brutto, prosegue Farotti, che ci ha procurato un calo della domanda del 20% circa, lo abbiamo avuto tra l’ultimo trimestre del 2008 ed il primo semestre 2009, forse colpa anche di un eccesso di allarmismo economico. Dopo l’estate c’è stata una discreta ripresa, che è durata fino a novembre. A dicembre invece si entra in un periodo di calma fisiologica, perché i prodotti per le festività si preparano prima. Qualche cliente ha avuto dei ritardi nei pagamenti o ci chiede sconti.  Comunque sarà difficile tornare alla situazione precedente la crisi, se l’occupazione, che vuol dire potere d’acquisto, non riparte”.

 Le aziende che producono essenze, in Italia, saranno una decina e si spartiscono un terzo circa del mercato nazionale, perchè la fetta più grossa è saldamente in mano a grosse multinazionali, un paio delle quali svizzere come Firmenich e Givaudan (quest’ultima ha quasi 9 mila addetti), con stabilimenti in tutto il mondo, Cina compresa.

La forza delle imprese nazionali però, essenzialmente piccole e medie, sta  proprio nel non essere grandi, quindi molto più agili e flessibili, pronte alla consegna, anche quando si tratta di piccoli quantitativi.

 Per Farotti la risposta alla crisi sta fondamentalmente in due misure: continuare ad investire nella qualità delle essenze, dando più spazio a prodotti naturali e biologici, che costando di più andranno ad un mercato selezionato; ricercare nuovi sbocchi internazionali, incrementando la rete dei contatti, sia tramite Europages (le pagine gialle, su internet, con quasi tre milioni di aziende in Europa e nel mondo), che partecipando a fiere della cosmetica, come è il caso di Cosmoprof di Bologna, che si tiene ogni anno in primavera.

 Il territorio e le sue istituzioni sono di aiuto alle aziende  ?  “Le nostre istituzioni, risponde Farotti, sono lente e non adeguate ai tempi, nemmeno le Associazioni di categoria. Abbiamo rapporti con il Corso di cosmetologia dell’Università di Ferrara, ma nessun contatto con il Polo di Rimini.  I politici non devono farsi vedere solo prima delle elezioni, ma anche dopo. Ho necessità di ampliare l’azienda ma qui i prezzi delle aree sono proibitivi”.

Sulle banche, un po’ fuori dal coro, Farotti sostiene che alla sua azienda non hanno fatto mancare i finanziamenti e che fanno il loro mestiere se prima di concedere un prestito vogliono vedere bene lo stato dei conti ed i progetti futuri, perché non si può dare fondi a chi non ha prospettiva.

La Piciesse Elettronica-circuiti stampati dal 1993,  che da un anno e mezzo ha inaugurato, con uno storico  partner tedesco dell’elettronica,  una nuova linea di produzione (Iperboled) dedicata in specifico ai sistemi di illuminazione LED, ha sede in località Taverna di Montecolombo. Sentiamo Enzo Montani, co-titolare dell’azienda con Baldini Gianmarco, il quale ci spiega che loro la crisi l’hanno sentita  da settembre 2008 fino a giugno 2009, ma che dopo l’estate  stanno vivendo un vero e proprio boom,  che addirittura li costringe a lavorare perfino durante i festivi. E cosa rara di questi tempi, negli ultimi mesi hanno assunto quattro giovani della scuola professionale di Morciano, dove tra l’altro è docente lo stesso Montani, raggiungendo un totale di 45 addetti (ma erano 50 quattro ani fa), senza avere mai dovuto fare ricorso alla cassa integrazione. 

Merito dei circuiti stampati,  oramai presenti dappertutto dalle macchine ai computer, ma soprattutto della domanda per i nuovi sistemi, soprattutto in ambito pubblico, di illuminazione con le lampade a basso consumo LED. I comuni devono risparmiare e l’illuminazione pubblica costituisce per tutti un bel salasso, quindi consumare meno fa bene all’ambiente ma anche alla casse comunali. Kassel, in Germania, è stata la prima città, grazie anche al socio tedesco, ad utilizzare i nuovi sistemi di illuminazione a LED (acronimo di Light Emitting Diode, ossia diodo ad emissione luminosa). 

 Pur ammettendo, per il 2009, un calo del 15% circa, che di questi tempi è quasi niente, l’Azienda continua a fatturare intorno ai 5 milioni di euro, di cui quasi un terzo realizzato all’estero, soprattutto in Germania.

Ma l’Azienda si sta internazionalizzando non solo con le vendite ma anche per gli approvvigionamenti. A causa infatti del venir meno in Europa di produttori di laminati, che sono la base dei circuiti stampati,  da maggio 2009 la  Piciesse ha aperto in Cina un proprio Ufficio di rappresentanza e di approvvigionamento, assumendo per questo quattro ingegneri cinesi, con il compito di ricercare e seguire i  fornitori locali di tali materiali e di particolari circuiti elettronici.

Aiuti all’internazionalizzazione li hanno avuti, in passato dalla Camera di Commercio di Rimini per partecipare a qualche fiera, comunque piccole cifre, più di recente dall’ICE per una fiera in Polonia, ma l’esperienza non è stata positiva,  perché sono “dei carrozzoni” chiarisce Montani.

 Con le banche non hanno problemi, invece  vorrebbero che le infrastrutture si facessero in tempi un po’ più celeri: sono dieci anni che stanno aspettando il ponte sul Conca (NdR: il nuovo ponte è stato inserito nel programma triennale delle opere pubbliche 2010-2012 della Provincia ).

 La Picciesse mantiene rapporti con la Facoltà di ingegneria di Cesena, da cui riceve diversi studenti per stage, ma non con il Polo di Rimini.