Ci sono giovani preparati che sempre più numerosi abbandonano l’Italia (quattro-cinque mila l’anno), compreso l’Emilia Romagna. Dall’ultima crisi anche Rimini è entrata in questa spirale. Il motivo purtroppo è sempre lo stesso ed ha un nome solo: mancanza di opportunità per poter aspirare ad un buon lavoro, fare ricerca e volendo carriera, con i propri meriti e non per le raccomandazioni. Con una aggiunta però, almeno per quanto riguarda questo territorio: per un segmento del mondo del lavoro, in particolare i giovani e le donne, il deficit di opportunità non è recente, ma precede la crisi stessa, che lo ha solo aggravato.
Passare qualche anno all’estero è senz’altro una esperienza formativa e professionale auspicabile e positiva, se però fosse previsto, e reso possibile, il ritorno. Purtroppo spesso è un viaggio a senso unico e quasi sempre sono i migliori a non tornare. A parte i costi sociali, per il paese e la città di origine la perdita più grande è rappresentata dal capitale umano (per formare un ingegnere il sistema formativo spende complessivamente diverse centinaia di migliaia di euro) e dalla rinuncia ad un aumento di produttività del sistema economico, cosa che accade quando vengono assunti più laureati.
E’ vero, il problema della disoccupazione giovanile tocca tutti i paesi sviluppati (nell’area Ocse è salita dal 14 per cento di prima della crisi al 17 per cento d’inizio 2011), ma in Italia e a Rimini i tassi sono ben peggiori: con 23 giovani senza lavoro su cento di Rimini e 28 dell’Italia, siamo al quarto posto per gravità del fenomeno al mondo, dopo Sud Africa, Spagna e Irlanda. In Germania, che ha vissuto la crisi come gli altri, i giovani disoccupati sono appena il dieci per cento. Un così alto numero di giovani lasciato fuori dal lavoro e spesso dalla formazione (i famosi Neets, acronimo inglese per dire senza lavoro e senza educazione, che sono circa 17 milioni in tutti i paesi sviluppati) se diventerà cronico produrrà cicatrici profonde in termini di autostima, bassi salari, difficoltà a costruirsi una carriera lavorativa, maggiore probabilità di restare per lunghi periodi senza lavoro.
Come uscire da questo stato ? Con politiche di sviluppo, che vuol dire rilancio della domanda e delle opportunità, in sede nazionale e locale. Ma, per restare in provincia di Rimini, chi deve prendere l’iniziativa ? In sostanza, un giovane senza lavoro a chi dovrebbe guardare per avere una indicazione e una speranza ? Al momento non ci sono candidature, dopo che anche il neo Assessore al lavoro del Comune capoluogo ha dichiarato, a questo giornale, che sul lavoro non ha competenza. Così un tema tanto importante per il presente e il futuro di tante persone non ha un referente, né sul versante pubblico, né su quello privato. Una situazione invero imbarazzante per chi è chiamato a governare e promuovere lo sviluppo locale.
Ha scritto di recente Ulrich Beck, sociologo alla London School of Economics: “Se la speranza della gioventù europea viene sacrificata alla crisi dell’euro, quale futuro rimane a un’Europa che diventa sempre più vecchia ?”. La domanda vale anche per Rimini. Qualcuno provi a rispondere.