La laurea non garantisce il lavoro, ma un pò aiuta

Un sogno di tanti giovani. Studiare per trovare un lavoro che dia il sufficiente per vivere e costruirsi un futuro, ancora meglio se con buone soddisfazioni  professionali. Questo è l’ottimo, la realtà, lo sappiamo, è un po’ più complicata. Non perché, come spesso si sente dire, troppi giovani vogliono studiare, ma semplicemente perché la crisi adesso, prima un sistema economico (nazionale e locale) poco propenso all’innovazione, mantiene troppo bassa la domanda di lavoro di alta qualificazione.

Tra i Paesi più sviluppati l’Italia ha il minor numero di persone in possesso di un titolo di studio secondario (diploma) e dietro abbiamo pochi paesi tra cui Spagna, Brasile e Portogallo.

Ma la situazione non migliora se il confronto si fa con i laureati: prendendo la popolazione 25-64 anni, per l’anno 2010, in Italia i laureati sono appena 15 ogni cento, simile al Portogallo, quando in Germania sono 27, in Francia 29, nel Regno Unito 38, negli USA 42 e la media Ocse (Organizzazione dei paesi sviluppati) è 31. Sostenere quindi che i nostri laureati sono troppi, quando siamo davanti solo alla Turchia, vuol dire fare solo cattiva informazione.

Resta il fatto che pur con pochi laureati, che in teoria dovrebbero andare a ruba, finiti gli studi in tanti  non riescono a trovare lavoro.

Secondo l’indagine 2012 di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, ad un anno dal conseguimento del titolo, comparando il 2007 (anno di inizio della crisi) al 2011, gli aventi un lavoro sono scesi dal 78 al 66 per cento se in possesso di una laurea di primo livello, dal 63 al 59 per cento con la specialistica.

A tre anni dalla laurea la situazione migliora, anche se non scompaiono le difficoltà: sono occupati 83 su cento con il titolo di  primo livello (87 nel 2007) e 74 con la specialistica (75 nel 2007).

Dopo cinque anni dalla laurea lavorano 90 su cento con il primo livello (erano 94 nel 2005) e 86 con la specialistica.  In sintesi, al netto della situazione economica poco favorevole, chi raggiunge una laurea qualcosa riesce a trovare e la disoccupazione  scende col tempo.

Resta da aggiungere che le lauree tecnico-scientifiche offrono qualche opportunità in più, di trovare lavoro, rispetto a quelle umanistiche.

Tra le tipologie contrattuali crescono le forme di lavoro autonomo e quelle no standard, diminuisce il tempo indeterminato e crescono i senza contratto, cioè occupati senza regole. Questo, purtroppo, non è un segnale positivo.  A cinque anni dalla laurea, però, nonostante siano in calo, i lavori a tempo indeterminato prevalgono su tutto il resto, fatta eccezione per le lauree specialistiche a ciclo unico.

La crisi ha tagliato, per tutti,  anche il primo stipendio, cioè quello ad un anno dalla laurea, che è sceso dai circa 1.200 euro netti del 2007 ai poco più di 1.000 euro del 2011.  Stipendio che poi sale gradualmente per attestarsi intono a 1.400 euro dopo cinque anni.

Ma chi decidesse, per esempio un ingegnere, di volare a Parigi o Londra,  anche se  fresco di laurea e conoscendo un po’ le lingue otterrebbe un salario compreso tra  33 e  36mila euro annui lordi in Francia, per volare sopra ai 40mila in Inghilterra.  Un disegnatore meccanico, con una esperienza di un anno e mezzo,  che in Italia conseguirebbe uno stipendio  di 24mila euro, a  Londra  non scenderebbe sotto l’equivalente di 41mila euro: quasi il doppio.  Anche se la vita è più cara, rimane una bella differenza.

L’efficacia della laurea, cioè la sua spendibilità sul mercato del lavoro, ad un anno dal titolo risulta leggermente in calo negli ultimi cinque anni, ma  rimane comunque buona per la metà circa dei laureati di primo e secondo livello, molto di più per le specialistiche.  Dopo cinque anni la ritengono efficace i due terzi dei laureati di primo livello, più della metà del secondo, la quasi totalità degli specialisti a ciclo unico.

Alla domanda se le competenze acquisite all’Università servono sul lavoro, tra chi risponde in misura elevata oppure ridotta, si raggiunge comodamente i quattro quinti. Il resto è di avviso contrario, molto meno tra le specialistiche a ciclo unico. Questo dopo un anno. Dopo cinque, invece, nove su dieci trova utili le competenze legate al titolo,  riducendosi di conseguenze l’area dell’inutilità. La presenza di sovra istruzione (quando si ha un titolo che non serve per il lavoro che si sta facendo) è più frequente tra gli occupati con le lauree di tipo letterario, educazione fisica, geo-biologico e politico-sociale.

Laurearsi  a Rimini

I  laureati della provincia di Rimini non sfuggono alle difficoltà del momento e nemmeno per loro trovare lavoro è facile. Non trova però riscontro nemmeno il discorso che tante volte si sente fare, secondo cui i giovani non otterrebbero  lavoro perché avrebbero scelto indirizzi sbagliati, cioè poco orientati alle necessità delle aziende. Questo non cancella la necessità di avere un buon sistema di orientamento, ma secondo l’ultima indagine Excelsior  solo nove aziende su cento  hanno dichiarato di non potere assumere per la difficoltà a reperire il profilo giusto: è  la percentuale regionale più bassa.

Il problema di questo territorio è che da sempre, data una struttura produttiva dove ha un grosso peso il turismo, le sue aziende domandano un basso numero di laureati. Questo avveniva già prima della  crisi, poi  la distanza si è solo allargata.  La spiegazione è piuttosto semplice: il settore industriale riminese, quando assume, 12 volte su cento domanda  laureati; negli alberghi e ristoranti capita una volta su mille. Circa cento volte di meno.

Secondo Eurostat, l’ufficio statistico europeo, la percentuale di laureati sugli occupati nel settore degli alberghi e ristoranti è del 5 per cento in Italia, a fronte del 18 per cento in Spagna e del 15 per cento in  Francia, quando la media europea è  del 13 per cento.  Come sui vede conta anche il modello di turismo.

Nel 2007 i laureati residenti di quell’anno sono stati 1.385 e la domanda delle imprese è stata di 310;  nel 2013 il numero dei laureati è grosso modo lo stesso ma la domanda è scesa a 250.  Cresce, quindi, la forbice tra l’offerta di laureati e la domanda del sistema produttivo locale, che ne assorbe solo una minima parte. Una situazione che richiederebbe una terapia d’urto che però non si vede.

In ogni caso non è assolutamente vero che studiare non serve a trovare lavoro, perché anche in Italia il tasso di occupazione per chi possiede un titolo d’istruzione terziaria (laurea) supera di oltre 28 punti percentuali quello di chi non ha completato un ciclo d’istruzione secondaria superiore. La differenza media nei Paesi OCSE è di 27 punti percentuali. Una laurea non garantisce lavoro, ma un pò aiuta.