Nuove imprese nonostante la crisi

Alla fine di settembre 2012 il totale delle imprese attive in provincia di Rimini sono  più di 36 mila, 2.400 inpiù di dicembre 2008 (ma non c’era l’Alta Valmarecchia, che entra nel 2009), quando scoppiò la crisi. Considerando le duemila imprese che porta in eredità l’Alta Valmarecchia l’aumento effettivo si limiterebbe però a qualche centinaio. Visto il periodo è già un buon segnale di resistenza.

Con questi numeri si arriva alla densità di una impresa ogni dieci abitanti, che è la stessa delle altre province della Romagna (Forlì-Cesena e Ravenna).  Rimini  ha solo il vantaggio di avere qualche impresa giovanile in più, il dieci per cento del totale, delle altre due.

In questo periodo (fine 2008-autunno 2012) qualche cambiamento nella distribuzione delle unità produttive  però c’è stato.  Il settore industriale-manifatturiero in senso stretto, senza cioè le costruzioni, che oggi conta meno di 2.800 aziende, all’epoca  era attestato sopra 3.400. E’ sceso quindi di 600 unità.  Con queste perdite il suo peso sul totale delle imprese della provincia  scende dal10 ameno dell’8 per cento.

Le perdite vengono innanzitutto dall’industria alimentare a delle bevande, passata da circa 800 imprese a meno di 300. Quasi un crollo. Scendono pure, esattamente di un terzo, da313 a204,  le imprese  per la fabbricazione di macchinari  e apparecchiature meccaniche (all’interno delle quali rientrano le macchine per la lavorazione del legno).

Tiene invece la stampa e l’editoria, da  226  a 229 imprese complessive attive.

Ma accanto a settori in contrazione ce ne sono anche altri in espansione. Per esempio la moda, formata  da imprese dedite alle confezioni di articoli di abbigliamento e in pelle, dove il numero delle imprese è aumentato da369 a403, nonostante alcune chiusure.  Lo stesso vale per la fabbricazione di prodotti in metallo, escluso i macchinari, il segmento manifatturiero più consistente,  che incrementa il numero delle aziende da440 a460.

Perfino le costruzioni, contrariamente a tutte le attese, non hanno smesso di creare aziende (qui l’effetto Alta Valmarecchia si fa sentire): da poco più di 5 mila imprese  di ieri,  alle quasi 5.700 di oggi, di cui ben 4 mila per lavori di costruzione specializzati. Siccome stiamo parlando di un settore che da lavoro a 11 mila persone, vuol dire che ci sono meno di due addetti per impresa. E’ chiaro che ci troviamo di fronte a una minituriarizzazione delle medesime, cioè a tante ditte individuali che vivono prevalentemente di sub appalti in condizioni, soprattutto di sicurezza, non sempre ottimali.

Una seconda sorpresa può venire dallo scoprire, visto che si parla di un forte calo delle vendite, che anche le attività immobiliari non sono diminuite, ma hanno mantenuto le loro 3.200 imprese.

Sul fronte del terziario e dei servizi continua a farla da padrone il commercio, all’ingrosso e al dettaglio, soprattutto quest’ultimo, che nonostante la crisi dei consumi da tutti lamentata, vede incrementare le imprese del settore da poco meno di 9 mila  a circa 9.500 unità.

Lo stesso si può dire per le attività di alloggio (alberghieri ed extra)  e ristorazione  che erano, sempre a fine 2008, meno di 4 mila e sono salite a 4.800, di cui più della metà costituite da servizi di ristorazione.

Anche il terziario avanzato, in sostanza informatica e telecomunicazioni, dopo una flessione registrata nel 2009, è tornato a crescere ed oggi conta  più di 600 aziende, quando erano meno di 500 al momento dello scoppio della crisi.

Stabili invece, a meno di seicento unità, le attività finanziarie e assicurative. Sarebbe stato strano il contrario, ma in epoca di forte crisi dei risparmi è già un successo che la situazione rimanga inalterata. Tra l’altro questo è in linea con quanto avvenuto nella altre province della Romagna (Forlì e Ravenna hanno circa 700 imprese attive nel settore) e della Regione (totale 8,5 mila imprese).

Al contrario, erano già poche e sono ulteriormente diminuite, da11 a9,  le attività di ricerca e sviluppo. Un brutto segnale, perché l’innovazione aziendale e la realizzazione di nuovi prodotti passa soprattutto per la ricerca, senza la quale non si conquistano nuovi mercati.

Per ultimo, a testimoniare che andiamo verso una società di servizi crescenti, c’è da segnalare l’aumento costante di società attive nei servizi socio assistenziali, ma anche ricreativi, oramai vicine alla soglia delle tremila imprese.

Quanto sin qui esposto è quello che ci dicono i numeri delle imprese in tempo di crisi. Alcuni settori si riducono, altri crescono, altri ancora mantengono le posizioni. Ma questo è solo una parte della storia, perché come una piccola impresa può produrre alti valori, così può capitare per un intero settore, anche se perde qualche unità.

La crisi ha quindi frenato ma non esaurito la nascita di nuove imprese. Questo è un segnale positivo, ma per trarre delle conclusioni bisogna guardare anche ad altro. Per esempio, che il settore manifatturiero rappresenta, in provincia di Rimini, l’otto per cento delle imprese ma contribuisce alla produzione del 15 per cento del valore aggiunto, quindi il doppio della sua consistenza numerica.

Nel settore “alberghi e ristoranti” le giornate lavorative pro-capite sono 117, nell’industria 246; il salario medio giornaliero è di 55 euro nel primo caso, di 75 euro nel secondo.  In conclusione, le unità produttive contano, ma  vale anche quello che producono e il valore che aggiungono.