Romagna: una provincia unica

La fine delle Province che non raggiungono una certa dimensione (350 mila abitanti e 2.500 km2  di territorio: non uno, ma entrambi i criteri) sembra vicina, ma per la definitiva certificazione si dovrà attendere. Perché a parole, in epoca di tagli alle spese, sono tutti d’accordo, poi però scatta, in verità non nei cittadini comuni ma in altro personale forse  timoroso di perdere qualche opportunità,  la reazione che la “mia provincia non si tocca”,  figlia dell’altro approccio tipico quando c’è da affrontare una realizzazione scomoda,  cioè  “dappertutto ma non nel mio giardino”.

Purtroppo le province hanno una lunga storia, che addirittura risale  all’unità d’Italia. Sentite cosa scriveva Francesco Saverio Merlino, nel suo libro L’Italia qual è, edito da Una Città di Forlì, pubblicato la prima volta, a Parigi, nel 1890: “Arena (le province) su cui si esercitano i politici principianti, i “rurali” che aspirano a diventare deputati, la provincia è anche il campo di battaglia su cui i capi-partito misurano la loro influenza…A metà strada tra il Governo e i comuni, la provincia è il focolaio di tutte le bramosie che mettono in agitazione il mondo politico e burocratico ”(pag. 90)

Storia vecchia, quindi. In ogni caso, stando al calendario del Governo, entro metà ottobre si dovrà capire come verranno riformate le vecchie province e soprattutto dove saranno ricollocate le funzioni  fino ad oggi a loro  carico (strade, scuole, ambiente, ecc.).  Le Province non scompariranno del tutto ma semplicemente si ridurranno dalle attuali 107  ad un massimo di  43 (ne verranno quindi cancellate 64).  In Emilia  Romagna subiranno un riordino, cioè dovranno provvedere ad accorpamenti, Piacenza, Reggio Emilia, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.  Ora, siccome il ruolo di comune capoluogo della nuova provincia, che non sarà più eletta direttamente dai cittadini ed avrà solo una funzione di coordinamento sul territorio, sarà assunto dal comune capoluogo della provincia soppressa col più alto numero di residenti, pare che in Romagna tocchi alla città di Ravenna (anche se dall’ultimo censimento la più popolata sembra essere Forlì), fatti salvi diversi accordi tra gli interessati.

Certo Ravenna, che è stata capitale dell’Impero romano d’Occidente, ha un passato glorioso, qualche decennio fa era tornata a brillare con le imprese di Raul Gradini e la Ferruzzi (che commerciava grano), poi si è un po’ spenta. Forse si potrà riaccendere, oltre a diventare sede della nuova provincia della Romagna, candidandosi a capitale europea della cultura per il 2019,  in questo caso offrendo anche il vasto patrimonio storico-monumentale presente  a Rimini e Forlì.

Sull’utilità di questa unione, al di là di tanti ragionamenti che si possono fare, basta dire che oggi un turista che venga al mare, in una qualsiasi località della Romagna,  e voglia spostarsi lungo la costa, per esempio andare da Rimini a Milano Marittima,  deve cambiare almeno due-tre bus, con biglietti diversi e magari farsi anche lunghi tratti a piedi,  perché ogni provincia organizza autonomamente il suo servizio senza curarsi minimamente di garantire una mobilità costiera.  Eppure tutti dicono che il turismo è una voce importante della loro economia, ma come si vede in una visione molto provinciale.

Ora se matrimonio deve essere cerchiamo di conoscerci un po’ meglio e di capire le cose, dal punto di vista socio-economico,  che ci accomunano o differenziano, per fare, come in genere si suole dire, veramente sistema.

Rimini, nonostante i comuni dell’Alta Valmarecchia entrati da qualche anno, di fatto manca dei requisiti sia di popolazione che di superficie (322 mila la prima e 863,58 km2 la seconda).

Però ha la popolazione più giovane, un po’ meno di un residente su sei ha meno di 14 anni e solo uno su cinque supera i sessant’anni.  Forlì e Ravenna hanno, al contrario, meno giovani e più anziani.

Le attività economiche

Sul fronte delle attività economiche, con una impresa ogni dieci abitanti circa, la loro densità  grosso modo si equivale, però cambia la composizione interna, con più imprese  turistiche (alloggio e ristorazione), com’era prevedibile, a Rimini, dove coprono il 13 per cento del totale,  il doppio di Forlì e quasi sei punti percentuali sopra Ravenna.   Differenza ampiamente giustificata dagli arrivi e dalle presenze di Rimini, dove i 3 milioni di arrivi  e le 16 milioni di presenze turistiche sono più della somma del movimento delle altre due.

A Forlì e Ravenna, anche se non di molto, sono invece più numerose, in termini relativi, le imprese manifatturiere,  meno dell’8 per cento sul totale a Rimini,  un po’ più  a Ravenna, mentre a Forlì si avvicinano al 10 per cento.

Da notare però che il fatturato realizzato dal settore manifatturiero, in tutte le province, è quasi sempre più del doppio, sul valore aggiunto complessivo, del relativo peso numerico. Questo vuol dire che di regola  la loro capacità di creare valore è superiore alla media degli altri settori di attività.

Prese nel loro insieme, una impresa su dieci, qualcosa in più a Rimini, è poi formata da giovani con meno di 35 anni.

L’innovazione

Tra gli indicatori che si utilizzano per misurare la capacità dei territori di innovare alcuni includono la presenza di imprese del terziario avanzato  (informatica e telecomunicazioni)  e le richieste per i brevetti.

Sulla presenza del terziario avanzato, con 1,7 per cento di imprese dedicate, Rimini mostra di avere un leggero vantaggio su Forlì e Ravenna, dove la loro presenza ottiene qualche decimo di punto in meno.

Rimini ha qualche marcia in più anche sulle domande di brevetti per invenzioni, 89 nel2011, afronte di 22 per Forlì e 36 di Ravenna, però rimane indietro con i  brevetti europei,16 intutto il 2011, contro 37 di Forlì e 29 di Ravenna.

Bisogna però anche aggiungere che se è dal 2008 che Rimini presenta, nei confronti delle altre due province, un numero maggiore di domande per brevetti di invenzioni, la situazione è meno lineare, nel senso che il primato si alterna,  per quelli europei.

L’apertura internazionale

Innovazione fa rima con competitività e questa spesso con esportazioni, quindi apertura internazionale dell’economia dei territori.  In questo segmento, nonostante Rimini abbia fatto registrare,  nel 2011, un aumento record del 22 per cento delle esportazioni, grazie soprattutto al tessile-abbigliamento, rimane pur sempre una economia a debole apertura internazionale, dove la propensione all’export, cioè la quota del valore aggiunto che finisce nei mercati esteri, si mantiene sul 21 per cento, quando Forlì supera il 25 per cento e Ravenna arriva al 34 per cento, mentre la media regionale è del 38 per cento, con Reggio Emilia che tocca il  58 e Modena il 49 per cento.

Rimini recupera però posizioni quando si va a guardare cosa esporta: per il 45 per cento del totale vende all’estero prodotti specializzati e di alta tecnologia, superando in questo sia Forlì che Ravenna, dove la stessa tipologia di prodotti occupa rispettivamente il 35 e 37 per cento delle esportazioni.

L’occupazione

Le persone che lavorano, alla fine del 2011, sono 134mila a Rimini (nel 2008 erano 135 mila, ma senza i Comuni dell’Alta Valmarecchia), 172mila a Forlì-Cesena e 178mila a Ravenna. Ma quello che più conta in questi casi è vedere quante persone, tra 15 e 64 anni, lavorano in rapporto a quelle che potrebbero e vorrebbero farlo, cioè il tasso di occupazione. Questo tasso è sotto il 65 per cento a Rimini, da sempre il più basso dell’Emilia Romagna, circa un punto in più a Forlì, mentre supera il 70 per cento a Ravenna, il più alto, almeno nel 2011, dell’intera  Regione.

A provocare questa differenza è soprattutto il tasso di occupazione femminile, che a Rimini è intorno al 54 per cento, a Forlì raggiunge il 59, mentre a Ravenna si avvicina al 65 per cento, cioè undici punti in più di Rimini. E’ probabile che questa differenza sia da addebitare al turismo (le donne costituiscono oltre il 60 per cento degli avviati al lavoro nel turismo in provincia di Rimini,  dove in media si viene occupati per 117 giornate l’anno, contro le 246 dell’industria e le 240 del commercio), settore in cui i contratti di norma non durano più di qualche mese e per il resto dell’anno si resta a casa o si svolge solo qualche lavoretto.

Non è quindi nemmeno un caso se anche il tasso di disoccupazione generale, cioè le persone che vorrebbero lavorare ma non lo trovano, è, sempre a Rimini maggiore, ma dovrebbe preoccupare soprattutto quello femminile, che ha superato il 12 per cento, quando a Forlì è il 7 e Ravenna il 6 per cento.

Stesso discorso per il tasso di disoccupazione giovanile (25-34 anni) che vede sempre Rimini, dove ha raggiunto il 12 per cento, tre-quattro punti sopra quello delle altre province della Romagna. Non arrivano buone notizie, ma questo vale per tutti, nemmeno dall’indagine Excelsior sulle previsioni di assunzione nel settore privato per l’anno 2012: i posti di lavoro in meno, se verranno confermate, saranno1440 aRimini,1170 aForlì e1000 aRavenna.

La ricchezza prodotta

I servizi, com’è ovvio visto il peso del turismo in provincia di Rimini, rappresentano in questa provincia oltre i tre quarti del valore annuo prodotto,  quasi dieci punti percentuali in più delle altre due province.  Questo non sembra avere grosse ricadute né sulle retribuzioni annuali medie di quelli che lavorano, intorno ai 28 mila euro lordi per tutti, né sul Pil pro capite, 30mila euro circa a Rimini e Ravenna,  32mila a Forlì.   Nemmeno la media delle dichiarazioni dei redditi appare diversa, nonostante le polemiche che negli ultimi tempi hanno agitato le acque riminesi.  Da questo punto di vista forse i comportamenti sono più simili di quanto non sembri.

Conclusioni

In conclusione, con un buon gioco di squadra, partendo tutti dai propri punti di forza, ma anche riconoscendo le debolezze, le tre province potrebbero concorrere al rilancio di un territorio, la Romagna, che unendo le forze, mettendosi cioè in rete,  sicuramente ha più possibilità di risparmiare, razionalizzare molti servizi, promuovere e far valere le proprie potenzialità e peculiarità, predisponendosi ad essere più forte e competitiva.

Uno stimolo per  “fare rete”  potrebbe venire dall’idea di sperimentare in Romagna un modello di Regione intelligente (sul modello delle città intelligenti), cominciando a curare in modo particolare le infrastrutture digitali e le connessioni  veloci a banda larga,  per offrire nuovi e moderni servizi nel campo del turismo, dell’apprendimento, della salute, ecc (e-tourism. e-learning, e-health, ecc.).  Secondo studi (Master Plan on Asean Connectivity  citato dal rapporto di  KPMG International, Infrastructure 100: World Cities Edition 2012),  un aumento dieci per cento della penetrazione della banda larga tra le imprese, i servizi e i cittadini,  farebbero crescere il pil dell’1,3 per cento, mentre l’incremento del dieci per cento della densità delle connessioni mobili lo stimolerebbe dello 0,7 per cento. Proprio quello di cui ci sarebbe bisogno. Investimenti immateriali, non nel solito mattone.