Economia da immigrazione

Non ci sarebbe bisogno delle cifre, perché basta  uscire di casa per rendersi conto che la presenza degli immigrati nel nostro territorio è diventata un fenomeno non passeggero, bensì permanente e strutturale. All’inizio del 2012 sono circa 35 mila gli immigrati residenti in provincia di Rimini,  provenienti da ben 125 Paesi, qualcosa in più del 10 per cento della popolazione complessiva.  Oltre un terzo risiede in un comune della provincia da almeno cinque anni e sono già 4 mila e cinquecento i figli degli immigrati nati in qui, o comunque in Italia, e che stanno crescendo con i nostri figli, frequentando gli stessi asili e le stesse scuole.  La crisi ha frenato l’afflusso di nuovi migranti ma non ha cancellato il fenomeno.  La loro età media è di 35 anni, dieci in meno dei riminesi, che come è noto invecchiano sempre di più.

Nel mondo del lavoro

Questa premessa demografica per dire che non ci dobbiamo sorprendere se la loro presenza cresce e si estende in tutti i settori della società locale.  Com’è evidente nelle persone straniere (di origine comunitaria e non) avviate al lavoro in provincia di Rimini, che da uno scarso 9 per cento del totale nell’anno 2000 sono cresciute fino a diventare il 31 per cento nel primo semestre di quest’anno.  Nemmeno la crisi, all’inizio della quale gli avviati stranieri erano il 26,5 per cento nel2008, hafermato la loro ascesa, anche se qualche battuta d’arresto c’è stata, nonostante il taglio netto di duemila avviati complessivi negli ultimi quattro anni. In assoluto stiamo parlando di 19mila lavoratori stranieri avviati nel 2011, contro i 17mila scarsi del 2008. E non sono tutti, perché a questi dati sfuggono le lavoratrici domestiche, quelli marittimi, ecc.

Il settore che più usufruisce del personale immigrato è il turismo (alberghi, ristoranti e pubblici esercizi) che quest’anno ha assunto, fino a giugno,  circa 8.500 lavoratori stranieri, i quali rappresentano il 39 per cento del personale totale richiesto per la stagione appena trascorsa.  Quindi ben al di sopra del dato medio.

La manodopera straniera, precisa il Bollettino del CPI del luglio scorso,  appare decisamente preponderante nei profili meno qualificati come lavapiatti (il 78,6 per cento delle assunzioni coinvolge stranieri), cameriera ai piani (65 per cento) e donna tuttofare (60 per cento); mentre risulta poco rilevante in ruoli come cuoco (solo il 9,5 per cento), barista (16,7 per cento) o addetto al ricevimento (14,6 per cento).    Insomma, agli immigrati (forse sarebbe meglio parlare di immigrate, visto che si tratta di mansioni a carico prevalentemente di personale femminile) sono riservati, salvo eccezioni, i lavori di maggiore fatica e minore qualifica. Va da se che anche le retribuzioni sono più basse.

Immigrati imprenditori

Ma la presenza degli immigrati non si esaurisce nel lavoro dipendente (in Italia rappresentano il 9 per cento degli occupati), perché è sempre più frequente incontrare stranieri imprenditori. Magari piccoli imprenditori, come poi sono la maggioranza delle nostre imprese, ma comunque persone che ci provano, rischiano e intraprendono. Quello spirito che forse a tanti locali è venuto meno.

A metà 2012 gli imprenditori stranieri, che sono cioè titolari, soci o amministratori d’impresa,  sono saliti a 5.300, raddoppiando i valori del 2001 e rappresentando quasi il  9 per cento di tutta l’imprenditoria  locale, che pure resiste e cresce, ma a ritmi leggermente più lenti.

Sul piano nazionale l’imprenditoria straniera è intorno al 7 per cento del totale, quindi qualcosa in meno del dato locale. Le imprese create da immigrati sono attive prevalentemente nelle costruzioni,  nel commercio e nella ristorazione.

Tra lavoro dipendente e autonomo gli immigrati contribuisco (nel 2011) a circa il 12 per cento del pil nazionale, che diventa il 14 per cento in Emilia Romagna, dichiarano redditi per 40 miliardi di euro (12 mila euro a testa) e pagano di Irpef (tasso sul reddito) quasi 6 miliardi di euro (l’equivalente di 2.810 euro pro capite).

Le rimesse: mille euro per immigrato

Come avviene per tutte le migrazioni, e lo è stato anche per gli italiani che hanno lasciato l’Italia,  il pensiero di chi rimane e che magari ha investito, spesso vendendo tutto quello che aveva  per consentire ai più giovani e forti di emigrare, non abbandona quasi mai chi parte, il quali si sentono pertanto affettivamente e moralmente obbligati a sostenere la famiglia, spesso allargata, che hanno lasciato.

Il segno più tangibile di questo legame è costituito dalle rimesse, cioè dai risparmi inviati ai luoghi d’origine: da Rimini, nel 2011, mediamente ogni immigrato ha inviato a casa poco meno di mille euro (in totale 34 milioni di euro, 3 milioni in più dell’anno prima). Solo nel 2005, il volume totale delle rimesse degli immigrati era meno della metà.

Questo stando ai canali regolari (banche, poste, agenzie), poi ci sono quelli informali, ma qui è complicato indagare.

Dall’inizio della crisi c’è stato un piccolo calo nel 2009 (nel 2008 il totale delle rimesse superavano 28 milioni di euro), ma poi il flusso ha ripreso a crescere ogni anno.  Le rimesse che partono da  Rimini sono in linea con quelle medie regionali, ma inferiori al pro capite nazionale che è di 1.500 euro per immigrato. Quanta ricchezza prodotta in Italia se ne va in questo modo all’estero ?  Appena lo 0,41 per cento del pil. Decisamente meno del contributo dato all’economia nazionale dagli immigrati stessi.