Donne in cerca di parità

Si dice che tanti italiani e italiane stanno tornando a svolgere lavori (muratore, assistente familiare, ecc.) che non facevano più. E’ l’effetto della crisi.  Con l’assottigliarsi dei redditi delle famiglie, tante donne si vedono costrette a cercarsi un lavoro per rimpinguare i magri bilanci domestici. Poi ci sono i giovani e le giovani che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro. Sempre più formati, ma senza vedere crescere le opportunità. Comprese le donne.     

La popolazione femminile

Al gennaio del 2010 in provincia di Rimini, compreso i sette nuovi comuni dell’Alta Valmarecchia, si contavano 325 mila residenti, di cui 167 mila, il 51%, costituito da donne.   Una percentuale, quella femminile sul totale della popolazione provinciale,  che negli ultimi dieci anni è rimasta sostanzialmente invariata.

Il lavoro

 Un indicatore che spesso misura i progressi di una società verso l’uguaglianza delle opportunità è dato dalla presenza delle donne nel mondo del lavoro. Non solo, ma è l’inizio.  Nel 2009, ultimo anno di cui si dispongono dati, su 135 mila occupati in provincia, le donne  erano 58 mila, il 43% del totale. Nel 2004  avevano superato di poco il 42% , mentre nel 2000 non raggiungevano il 39%. Passi avanti quindi sono stati compiuti, ma permangono anche diversi ritardi.   

Il primo fa riferimento alle donne che lavorano sul totale di quelle che hanno l’età per farlo (15-64 anni): 57,5 ogni cento a Rimini,  61,5 su cento come media dell’Emilia Romagna (che diventa quasi 65 a Bologna).  Questo ha consentito a tante province della Regione di centrare l’obiettivo del 60 per cento di occupazione femminile entro il 2010, che l’Europa si era data, mentre Rimini è rimasta sotto, in compagnia di  Piacenza e Forlì-Cesena.

Che tante donne vorrebbero lavorare ma non trovano un posto lo testimonia anche  il tasso di disoccupazione femminile (le donne che cercano lavoro su ogni cento che hanno l’età per farlo) della provincia di Rimini, che ha raggiunto il 10%, nel 2009, quando il valore regionale si ferma al 5,5% e quello nazionale si attesta sul 9,3%. 

Nel 2009 siamo in piena crisi ma se, come scrive nell’ultimo Rapporto 2010 di Unioncamere sull’economia regionale,  il lavoro non riprende e “l’incremento delle persone in cerca di occupazione (come è capitato nel 2010)  è stato determinato soprattutto dalle donne, che sono aumentate del 57%..” è arduo sperare che a Rimini le cose siano andate meglio.

A risentire della situazione pesante sono tutte le donne, ma in particolare le più giovani: infatti, sempre nel 2009, il tasso di disoccupazione della fascia d’età 15-24 anni è stato prossimo al 28% a Rimini, appena un punto sotto il valore nazionale, contro il 21% regionale.  Nel 2005 lo stesso tasso era, per Rimini, dell’8%. Un aumento di 3,5 volte.

 Secondo dati forniti dai Centri per l’impiego (CPI) della Provincia, nei primi nove mesi del 2010 le lavoratrici avviate sono state circa 33 mila, il 54% di tutti gli avviati al lavoro,  che è lo stesso valore assoluto di due anni prima (quando scoppiò la crisi), e un migliaio in più del 2009. Con un dettaglio però: è cresciuta la quota delle donne immigrate sul totale delle avviate, che è passata dal 31 a quasi il 35%.   Per la stragrande maggioranza, oltre il 90%, si tratta comunque di contratti brevi, spesso a chiamata (formula in forte crescita).

Ma accanto a questo dato, parzialmente incoraggiante, ce n’è un secondo più negativo: le donne iscritte presso gli uffici dell’impiego che dichiarano di essere immediatamente disponibili per un lavoro, quindi disoccupate,  sono  salite, nei primi nove mesi dell’anno appena concluso, da 4.652  a 5.127, con un incremento del 10%.  Sono invece diminuiti gli uomini.   

 Lo studio e la formazione

 Nell’anno scolastico 2008/2009 (ultimi dati disponibili) su circa 1.700 diplomati degli Istituti superiori della provincia di Rimini, le donne sono state più del il 55%. E sono state sempre le donne a conseguire i voti  migliori:  78,5 centesimi, a fronte dei 74,8 centesimi dei maschi.

Ma non si fermano qui. Infatti, proseguono verso l’università il 72% delle donne diplomate e  solo il  64% degli uomini.  Così, su poco meno di 8 mila giovani residenti in provincia iscritti all’Università, le donne ne rappresentano il 56%.

All’Università le donne si iscrivono nelle facoltà di area umanistica (77 su cento residenti iscritti), ma non disdegnano, al contrario di quello che molti credono, le facoltà tecnico-scientifiche (ingegneria, architettura, farmacia, ecc.) dove sono il 47% degli iscritti (anno accademico 2009/’10).

Per chiudere, su circa 1300 giovani residenti in provincia di Rimini che si laureano ogni anno, la componente femminile ne costituisce il 58% circa (erano già il 55% nell’anno duemila). 

 In Italia ben il 22% delle laureate non lavora, contro il 9% degli uomini. A Rimini, dove chi più investe in conoscenza paradossalmente gode di minori opportunità,  potrebbe essere peggio. Non solo. Le donne laureate che lavorano sono pagate meno dei loro colleghi maschi.

 Imprenditoria femminile

 Donne che lavorano e donne che intraprendono, che cioè costituiscono o entrano a far parte di una impresa. Nel 2007, prima che si scatenasse l’ultima crisi economico-finanziaria, le donne imprenditrici (titolari, socie e amministratrici) in provincia di Rimini erano un po’ meno di 16mila, rappresentando il 28% di tutta l’imprenditoria.  A giugno del 2010, attraversata la bufera, si stanno avvicinando a quota 17mila, mantenendo lo stesso peso relativo sul totale.

Riccione è il comune dove le imprenditrici sono di più (31% di tutti gli imprenditori) e Montecolombo  dove sono meno (18%).  

Cinque imprenditrici su cento sono immigrate, che diventano otto se vengono considerate anche quelle di origine comunitarie. La metà circa  ha una età compresa tra trenta e cinquant’anni.  

Il principale settore di intrapresa femminile resta il commercio (4.300 imprenditrici), seguito da ricettività e ristorazione (3.500), dalle attività immobiliari (2.400), ma anche manifatturiere (1.300) e perfino l’agricoltura (1.000).

Negli ultimi quattro anni, l’imprenditoria femminile è cresciuta in tutti i settori, ad esclusione dell’intermediazione immobiliare dove segna un regresso, dovuto alla pesante crisi delle costruzioni.

 La politica e il Governo locale

 Non siamo alla parità, anzi manca molto, ma qualcosa si muove. Raddoppiano, dalle elezioni amministrative del 2004 a quelle del 2009 (i dati si riferiscono a 20 comuni),  le donne sindaco, da 2 a 4 in valore assoluto,  crescono quelle con incarico di assessori, dove raggiungono la quota più elevata (35 pari al 38% del totale), le consigliere si spostano di poco, da 76 a 80 di numero,  mentre restano inchiodate a 5,  pari al  25%,  le vice sindaco.   

In totale il personale femminile con qualche incarico politico-amministrativo nei comuni sale, da una elezione all’altra, da 104 a 124. Un aumento da salutare con soddisfazione. Ma accanto alla quantità bisogna vedere anche il peso della rappresentanza. Dove sono le donne sindaco ?  A Coriano, Montefiore, Gemmano e Montegridolfo. Comuni importanti, ma relativamente piccoli. Si può così scoprire che in più di mezzo secolo,  mai nessuna donna è riuscita a raggiungere il posto di prima cittadina in un comune costiero. Il comune di Rimini, dove si voterà a maggio,  avrebbe potuto rimediare a questa macroscopica negazione delle pari opportunità, e magari mandare anche un segnale positivo a tutti gli altri,  ma stando ai candidati annunciati da tutti gli schieramenti bisognerà aspettare un altro turno.

 Segnali che non sono arrivati nemmeno dalla Provincia, dove ci sono due assessori donna su sette, mentre sono rimasti appannaggio di figure maschili Presidenza e Vice Presidenza. Postazioni riservate al genere maschile fin dalla nascita.  Solo le consigliere da 6 sono diventate 9, su un totale di 24.  

Insomma, qualcosa è stato fatto, ma i margini per migliorare sono ancora ampi. Però dipende anche dalle donne farsi sentire.

BOX

 Differenze di genere nel mondo

 Il World Economic Forum, questa riunione tra i grandi della terra che si tiene ogni anno a Davos, nelle Alpi svizzere, e che elabora da qualche tempo un Rapporto sulle differenze di genere nel mondo, non ha motivi per avercela particolarmente con l’Italia, ma sta di fatto che nella classifica sulle differenze di genere non siamo messi molto bene: su 134 paesi presi in considerazione, il belpaese è al 74mo posto, preceduto non solo da Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia che occupano i primi quattro posti, ma anche da Lesotho,  Filippine, Mozambico, Uganda e tanti altri, solo per citarne alcuni.

Nel 2007 l’Italia  occupava la 84ma posizione, quindi qualche miglioramento c’è stato, ma certo la distanza dai primi della classe è enorme. 

C’è un rapporto tra le differenze di genere e la competitività dell’economia ?  La risposta è si.  Lo studio dimostra che i paesi dove la competitività è maggiore (USA, Svezia, Norvegia e altri) sono anche quelli dove le  pari opportunità sono  più rispettate.    

Conclude sul tema il Rapporto: “ Il fattore più importante per la competitività di un paese sono i suoi talenti, cioè la professionalità,  l’educazione e la produttività della sua forza lavoro, e le donne contano per la metà. Così la competitività di una nazione dipenderà significativamente dal modo in cui vorrà impiegare i talenti delle donne”.

 Resta da aggiungere che in una coppia di età compresa tra 25 e 49 anni, con un figlio minore, lavorano a tempo pieno entrambi i genitori in 53 casi su cento in Finlandia e solo in 31 casi su cento in Italia.  La differenza è data dai servizi per l’infanzia e dalle opportunità di trovare un impiego.

 Infine un dato di cui forse vergognarsi: una italiana su quattro ha denunciato di aver subito, almeno una volta nella vita, violenza sessuale.  Il doppio della Germania e cinque volta le denunce fatte in Francia (Nazioni Unite, The World’s Women 2010).