Obbligati ad innovare: per Rimini un impegno maggiore

Facendo uguale a cento la produttività  del lavoro (quanto valore si crea in un’ora di lavoro)  dell’intera economia italiana nell’anno duemila, alla fine del 2011, cioè dopo più di un decennio, l’indice è migliorato di appena un punto, quando  l’area euro (quindi a parità di condizioni monetarie) ha raggiunto quota 112, la Germania  è andata ancora meglio  e gli Stati Uniti sono arrivati a livello 122.   Nel 2007-2008 la crisi c’è stata in  tutti i Paesi, in molti la produttività è scesa, ma poi, già dal 2010,  è tornata a crescere.  Questo è successo anche in Italia, ma a ritmi appena percettibili. Così la forbice tra noi  e gli altri, che era precedente la crisi,  ha ripreso ad aumentare.  In sintesi: i malanni dell’Italia si sono aggravati con la crisi, ma  i sintomi già pre-esistevano.

Basso aumento della produttività vuol dire poca competitività, in qualità e prezzo, quindi mercati che si perdono o non si conquistano.  Ciononostante, come ha scritto l’ultimo rapporto Greenitaly 2013, dal 2008 al 2012 il fatturato estero dell’industria italiana è cresciuto più di quello tedesco e francese. Segnale incoraggiante, visto il calo del mercato interno, ma insufficiente.

Produttività e competitività  domandano innovazione, dove troppo spesso siamo carenti, a livello nazionale non meno che sul piano locale.   Secondo il Rapporto sull’innovazione in Emilia Romagna 2013, edito da Unioncamere, la provincia di Rimini non brilla.   Più della metà delle aziende intervistate (86 a Rimini, prevalentemente manifatturiere, su un totale regionale di 1.596)  ha infatti dichiarato di non aver introdotto nessuna innovazione di prodotto o di processo nell’ultimo triennio 2010-2012, figurando tra le più arretrate situazioni regionali.

A sorpresa, invece, tra le imprese che innovano Rimini è al primo posto per l’introduzione di innovazioni radicali di prodotto, quelle cioè capaci di generare nuovi beni e/o servizi, verso i  quali la concorrenza è quasi, o del tutto, assente.  Nel 2013, sono state impegnate in questo tipo di innovazione radicale tredici imprese riminesi su cento, il doppio di Modena, la provincia più innovativa in regione.

Com’è facile prevedere, e questo vale in generale dappertutto, le imprese più sono piccole e meno riescono ad essere innovative, perché sono richiesti  investimenti, ricerca, formazione, assunzione di alti profili professionali, apertura internazionale, ecc.  E sono sempre le piccole imprese ad essere meno aperte all’internazionalizzazione.

Poi c’è un altro elemento che emerge dall’indagine: le imprese più innovative sono quelle che hanno come clienti altre imprese, meno innovative quelle che si rivolgono direttamente al mercato finale.

Tra le innovazioni, divenute quasi obbligatorie, c’è l’adozione delle nuove tecnologie di internet: a non avere una connessione sono appena il 2,5 per cento delle imprese, ma poco più di dodici imprese riminesi su cento le utilizza per il commercio elettronico, quattro punti percentuali in meno della media regionale.

Elettricità ed elettronica sono i settori di attività più propensi ad innovare,  il legno, i mobili e il comparto delle acque minerali  gli ultimi.

Le imprese  favorevoli ad investire sull’innovazione pensano ad interventi soprattutto nei processi di produzione e nella formazione del personale già in forze (più di una su tre),  solo per ultimo dichiarano di voler assumere laureati (meno di una su dieci).

A convertirsi verso l’economia verde, una forma di innovazione che protegge e migliora l’ambiente, ma può far risparmiare anche sui costi,  a Rimini sono ancora in poche: appena una impresa su dieci utilizza energia  proveniente da fonti rinnovabili, in regione quasi il doppio; meno di una su sei dichiara di aver diminuito le emissioni in atmosfera; due su cinque di avere diminuito la produzione di rifiuti;  un misero tre su cento di aver incrementato il recupero degli stessi, a fronte di otto per  cento in regione.

I ritardi della provincia di Rimini sono confermati anche dall’andamento dei brevetti, cioè di invenzioni registrate e protette. Dallo scoppio della crisi, anno 2007, sia i brevetti europei (EPO) che nazionali sono in calo e si sta tornando ai numeri di inizio duemila, ben al di sotto dei valori medi regionali, che vede in testa, nell’ordine: Bologna. Modena, Parma e Reggio Emilia.

L’intensità brevettuale di Rimini 2013, un indicatore di sintesi che mette insieme invenzioni, modelli e disegni depositati per milione di abitanti, da come valore 276, quando Bologna ottiene 838 e Milano, il primo capoluogo d’Italia, raggiunge 976 (fonte: ICityLab).   Rimini è cioè ad un terzo del livello della prima.

E’ vero a Rimini il manifatturiero in senso stretto pesa meno che nel resto dell’Emilia Romagna e del Nord Italia (appartengono a questo settore sette imprese su cento, che danno lavoro a 15 addetti su cento, escluso le costruzioni,  la metà della media regionale),  nondimeno  rimane un vuoto da colmare, perché è  l’innovazione, da applicare anche nella Pubblica Amministrazione, come nel turismo e gli altri servizi, che produce sviluppo,  lavoro di qualità e per ultimo competitività.

Per sottolineare questa urgenza basta aggiungere che, sempre a Rimini, tra gli attuali occupati solo 1,5 ogni cento sono inquadrati come quadri o dirigenti, quando a Bologna sono  più di 5, a Modena e Reggio Emilia un pò meno di 4, che corrisponde alla media regionale.  Quadri e dirigenti fanno lavori più qualificati e guadagnano anche  meglio.  Opportunità che  sono meno presenti in questa provincia.

Infine c’è una particolarità che spesso sfugge ai decisori: l’innovazione si auto alimenta e si concentra, di preferenza nelle aree metropolitane (superiori a 500mila abitanti).  L’Ocse (Organizzazione dei paesi sviluppati)  ha fatto un calcolo scoprendo che due terzi delle domande di brevetti vengono proprio da queste aree.  La concentrazione metropolitana è forte soprattutto  in Giappone, Stati Uniti, ma anche Francia, Olanda, Spagna e Danimarca.  Più blanda, invece, in Italia, Finlandia e Norvegia.

Tra le prime 20 città metropolitane al mondo per numero di brevetti non compare  nessuna italiana e in Europa al primo posto c’è  Eindhoven (Olanda) con oltre duemila brevetti per milione di abitanti, seguita da Malmö (Svezia) con circa settecento, terza Stuttgart  (Germania) con più di seicento.

L’agglomerazione, scrive l’Ocse, determina un ambiente dove è più facile, per lavoratori specializzati, imprese e capitali, incontrarsi, scambiare idee e mettere in cantiere nuovi prodotti, servizi e processi. Questo però può valere anche per città che non raggiungono la dimensione metropolitana e rappresenta un insegnamento da tenere ben presente.