Cassaintegrati e lavoratrici in bilico*

Cassaintegrata “per caso”

M.S., madre di una dodicenne, viene da Riccione e da 21 anni lavora in una piccola azienda di Rimini,  che nei momenti buoni è arrivata ad avere fino a sei addetti. Dice di non aver mai visto una situazione simile.

L’attività della sua piccola ditta consiste nella raccolta di  informazioni commerciali sulle imprese (bilanci, protesti, visure catastali, ecc. ),  per altre aziende che vogliono essere rassicurate, prima di allacciare un qualsivoglia rapporto commerciale,  sulla solvibilità o sullo stato del  potenziale cliente o partner.   I clienti sono concentrati principalmente in provincia, anche se il  raggio d’azione dell’azienda si allunga fino alla  Repubblica di S.Marino, le Marche e l’Emilia Romagna.

“Fino alla primavera del 2009 si è lavorato bene, ma arrivati a giugno le cose sono cominciate a precipitare, i clienti diminuivano e non sapevamo cosa fare. Per fortuna abbiamo scoperto che anche per noi ci poteva essere la cassa integrazione in deroga e così ci siamo attivati. Una collega, che da maggio scorso già usufruiva della  cassa integrazione a mezzo tempo, dal primo febbraio è passata a zero ore. Io, che sono la più “anziana”,  dalla stessa data lavoro 35 ore la settimana, usufruendo della cassa integrazione per le restanti cinque. La cassa integrazione sicuramente aiuta nei momenti di difficoltà,  ma bisogna ricordare che sono arrivati a novembre i soldi di maggio. Chi ha un muto da pagare o altre spese fisse non se la passa bene.

 In azienda adesso siamo rimasti io, la titolare e una amministrativa, anche lei part-time. Ho sempre lavorato, prosegue M.S.,  e rimanere senza  è una situazione che non riesco ad immaginare.

La ripresa ?  Ancora non si  vede, qualche cliente, dopo un periodo di assenza,  si è rifatto vivo, ma le piccole imprese sono veramente in difficoltà. Magari lavorano ma non riescono a incassare. Manca liquidità perché i clienti non pagano. I tempi per incassare una fattura si sono notevolmente allungati. Il  settore edile, che ci dava molto lavoro, adesso è quasi fermo. Speriamo in un 2010 migliore, ma al momento c’è ancora molta incertezza”.

Andava bene..poi 

P.M.C. è una giovane lavoratrice occupata in  una azienda, di un piccolo comune della Val Marecchia, che commercia bulloneria (viti, ecc.), dopo averla acquistata principalmente all’estero,  per macchinari di vario genere, prevalentemente per il settore dell’automobile, nazionale ed estero.

Sette dipendenti, più due  familiari della proprietà, le cose  sono andate bene fino al mese di giugno 2009, quando si è manifestato un calo delle vendite che ha rasentato il 70%.  Passa l’estate, con questo precedente piuttosto pesante, ed un lunedì dell’ottobre scorso, ci dice la nostra interlocutrice “la ditta raduna il personale e, senza nessun preavviso e discussione, annuncia il licenziamento in tronco di tutti, pare su consiglio del commercialista”.  Prima “era tutta una famiglia”, adesso un po’ meno. I lavoratori, che fino a qual momento non avevano avuto nessun rapporto col sindacato, si rivolgono alla Cisl ed aprono una vertenza, quanto meno per cercare di utilizzare gli ammortizzatori sociali disponibili anche per le piccole aziende.

“A fine ottobre viene siglato un primo accordo, che prevede la cassa integrazione a zero per sei mesi, fino ad aprile, e il pagamento degli stipendi arretrati, un paio più tredicesima e quattordicesime, in due rate: entro il 31 ottobre, la prima; entro il 30 novembre, la seconda. Però siamo arrivati a febbraio 2010 e quello che abbiamo ricevuto sono solo un paio di acconti, che fanno appena uno stipendio scarso. Tramite il Sindacato stiamo chiedendo un nuovo incontro, per ottenere delucidazioni, ma la proprietà si fa negare. La cassa integrazione, che comunque viene sempre pagata con molto ritardo, vuol dire passare da un salario mensile di 900-1200 euro a 600-700 euro al massimo. Molti hanno il mutuo o l’affitto da pagare e non se la passano sicuramente bene. Attualmente si intravede qualche timido segnale di ripresa, in virtù anche di un abbassamento dei prezzi, che sicuramente ridurranno i margini aziendali, ma non tale da far pensare ad un rientro prossimo dei cassaintegrati. Stante la situazione tutti hanno cominciato  a cercare qualcos’altro e un paio di colleghe ci sono riuscite, trovando un nuovo impiego in altre aziende del territorio”.

 P.M.C. dopo essere stata messa in cassa integrazione è stata richiamata in azienda, ma pur lavorando normalmente, a fine mese deve penare non poco per farsi pagare lo stipendio che gli spetta.

Un ritardo, nei pagamenti, che interessa anche i fornitori, in particolare i  più piccoli e con minore forza contrattuale. Ritardo in buona parte dovuto alla morosità dei clienti dell’azienda, la quale se non riscuote non può nemmeno pagare. Un tipico caso di mancanza di liquidità, che le banche non facilitano e che rischia di bloccare interi settori dell’economia, con la relativa occupazione.

Tagliata luce e acqua 

G.F. ha 36 anni, vive da solo con un cane,  paga un affitto di 450 euro e prende, da un anno è in acssa integrazione e prende  750 euro al mese. Per un ritardo nel pagamento dell’affitto, fino a poco tempo fa in nero, il proprietario, una sera, gli ha perfino tagliato luce ed acqua. Poi con un prestito di 3 mila euro, dal fondo provinciale, si è rimesso in pari, il contratto adesso è regolare, anche perché è dovuto intervenire l’avvocato del sindacato, ma andare avanti è  sempre più difficile. Deve ridurre tutto, delle uscite nemmeno se ne parla, ogni svago è abolito, l’uso della macchine è diventato un lusso.  Deve restituire un piccola somma alla banca, ha chiesto una sospensione delle rate (250 euro al mese), l’ha ottenuta per qualche mese, poi è ricominciato come prima, e nonostante conoscesse il direttore di filiale è stato costretto a cambiare istituto di credito per evitare il prelievo automatico sul magro stipendio di cassaintegrato.

 G.F. lavorava nel reparto imballaggio nella ditta Gabbiani di Villa Verucchio, facente parte del Gruppo SCM, qualche centinaio di dipendenti,  specializzata nella produzione di macchine per il legno tipo scorniciatrici, squadratrici, ecc.

Per due anni ha lavorato, con contratti interinali prima di un mese, poi di tre mesi in tre mesi, infine di sei mesi, nella SCM di Rimini.  Dal 2004 è passato alla Gabbiani, stessa trafila di contratti interinali, nonostante i precedenti nello stesso Gruppo, per approdare, finalmente, nel settembre 2005, ad un contratto a tempo indeterminato.  Il raggiungimento di un sogno.

La vita da interinale, dice G.F. è semplicemente “schifosa: non puoi fare niente, comprarti una casa o fare un progetto a medio-lungo termine. Sei sempre con la corda al collo e devi accettare tutto per paura che non ti riprendano”. 

Ma la tanto agognata sicurezza del posto di lavoro dura poco, perché a fine 2008, causa la crisi, scattano le prime misure di cassa integrazione: prima a giorni e settimane alterne, per gruppi di lavoratori,  poi, da marzo 2009, a zero ore. Finita la cassa integrazione ordinaria, da poco è scattata quella straordinaria.  “Non ci rimani bene, prosegue G.F., perché ti chiedi cosa è servito fare sempre il proprio dovere. Io da marzo scorso non sono più stato richiamato, altri magari fanno persino lo straordinario. Perché, pur con la crisi, qualcuno lavora ed altri no ?  E’ una punizione per chi non piega sempre la testa ? Sono domande  che mi faccio. Rimanere per tanto tempo senza lavoro, oltre alle ristrettezze economiche, ti scombussola il normale ritmo di vita, diventi nervoso e un po’ perdi la fiducia. L’unico dato positivo, in questa situazione, è che la cassa integrazione, anticipata dall’Azienda, ci viene pagata regolarmente. Almeno non dobbiamo aspettare mesi, come capita a tanti. Tutto questo tempo, senza fare niente, potrebbe essere utilizzato per frequentare qualche corso di aggiornamento o di formazione per nuovi lavori, ma nessuno li offre. Quando sarà possibile rientrare al lavoro? E’ stato firmato l’accordo con l’Azienda, ma quando torneremo al lavoro non si sa”.

 * Con la collaborazione del Sindacato CISL