Rimini: dove creare il lavoro che non c’è

La diminuzione, nel 2015, della cassa integrazione ordinaria, non è chiaro se per mancanza di domanda o di risorse messe a disposizione, è comunque una buona notizia, meno l’aumento di quella straordinaria, che in genere viene richiesta dalle imprese a rischio chiusura o ridimensionamento, cresciuta addirittura del trenta per cento.  Sono quasi sei milioni di ore, che tradotte  in posti di lavoro individuali, fanno più di tremila posti a rischio.  Che andrebbero ad aggiungersi ai disoccupati ufficiali, che sono altri diciasettemila (anno 2014).

Una ragione in più, se fosse stato necessario, per mettere il tema del lavoro in testa all’agenda  della prossima campagna elettorale.  Non si tratta, solo, di tamponare le situazioni di crisi, ma di articolare un vero e proprio progetto  di creazione di nuovo lavoro. Un lavoro di qualità, dove l’uso dei voucher (sistema di pagamento che lascia, al lavoratore,  netto sette euro e mezzo l’ora)  dovrebbe costituire  una eccezione  e non la regola come purtroppo sta avvenendo soprattutto nel turismo.

La Regione Emilia Romagna, nel luglio dell’anno scorso, ha promesso un patto per il lavoro 2015-2020  dicendo di voler investire  15 miliardi di euro con due obiettivi complementari: creare 120 mila posti di lavoro e dimezzare il tasso di disoccupazione, dall’attuale 8,9 al  4,5 per cento.  Obiettivo che trasferito in provincia di Rimini, dove la disoccupazione è un paio di punti più alta della media regionale,  richiederebbe la creazione di almeno nove mila nuovi posti.

Dove crearli ?  Questa è una domanda cui bisognerebbe dare una risposta, immaginando, realisticamente,  che la fonte non può essere una sola.

Il lavoro si crea aiutando le imprese esistenti a crescere (più di nove imprese su dieci, di questa provincia, non arriva  a dieci addetti)  ed essere sempre più competitive, nel mercato nazionale ed estero. Le storie delle imprese eccellenti raccontate  in questo giornale dimostrano che anche in periodi di crisi chi non smette di investire, fare ricerca e innovare, poi crea anche buone opportunità d’impiego.

Ma non basta. Vanno pensati nuovi possibili bacini di lavoro. La creazione di un distretto di imprese specializzato in servizi e prodotti innovativi per il turismo, con un orizzonte internazionale,  per cui è stata annunciata la nascita di un incubatore, di cui però si è perso traccia, dovrebbe costituire un altro tassello, di una strategia unica.

Poi c’è da riprendere l’idea, abbandonata  più per le difficoltà economiche dell’impresa incaricata di eseguire i lavori che per il venir meno della necessità, della creazione di un distretto del benessere, che facendo perno sulle stazioni termali esistenti  e recuperando alcune vecchie colonie sul mare (si doveva cominciare con la Novarese) potrebbe offrire delle buone opportunità (all’epoca si era parlato di 200 nuovi posti di lavoro).  L’aumento, in tutto il mondo, della popolazione anziana, ovviamente  non la sola a voler stare bene, attualmente calcolata in 900 milioni, ma che supererà i due miliardi nel 2050, è un dato, e un potenziale mercato, da valutare attentamente.

Poi c’è la cultura, pensiamo solo al sotto utilizzo dei nostri musei sparsi sul territorio, ma anche una nuova agricoltura e un artigianato di qualità che potrebbero offrire delle buone occasioni, se solo  fossero valorizzati, costruendo ponti con le scuole professionalizzanti perché i giovani non li percepiscano come ripieghi, ma lavori del futuro.