Differenze di genere

 Nell’ultimo rapporto 2015 sulle differenze di genere (sesso) nel mondo, stilato dal Forum Mondiale per l’Economia, l’Italia si classifica al 41mo posto su 145 Paesi … dopo Burundi, Mozambico, Cuba, ecc.  Nel 2014 era andata anche peggio e il posto occupato nella stessa graduatoria, dal nostro Paese,  era il 69mo.

Posizione, poi, che scende quando dall’indice generale si passa a quelli particolari, come le opportunità economiche (occupazione, differenze salariali, di carriera, ecc.) dove l’Italia precipita al 111mo posto.

Invece, recupera e sale alla 24ma posizione per l’adozione di misure a sostegno della parità di genere nella politica, nei consigli di amministrazione delle imprese e altre misure simili.  Insomma, qualcosa si è mosso, ma resta ancora tanto da fare.

Combinando più indicatori, il settimanale inglese The Economist ha di recente elaborato un altro indice, che ha denominato “donne e lavoro”,  dove ai primi posti tra i paesi Ocse (Organizzazione dei paesi sviluppati) figurano i nordici, ma a sorpresa anche la Polonia, mentre  l’Italia scivola al 18° posto, sotto la media. Seguita dalla Grecia, ma anche dall’Olanda.

Questo il quadro nazionale nel contesto  europeo e mondiale.  Ma adesso  veniamo alla situazione riminese.

La demografia delle donne

 Su 336 mila residenti (italiani e non) della provincia di Rimini le donne sono il 52 per cento, l’età media è di 46 anni a fronte di 43,4 anni dei maschi, in età da lavoro (15-64 anni) ci sono 110 mila donne e 106  mila uomini, con più di 65 anni 41,5 mila femmine e 32 mila maschi. Spiegazione semplice: le donne vivono più a lungo. Hanno una speranza di vita di 84 anni, contro i 79 degli uomini.

Numeri che sarebbero però diversi se non ci fosse la componente immigrate: perché delle 174 mila donne attualmente presenti, circa 21 mila sono di origine straniera (il 56% di tutti gli immigrati residenti), con una età media che non arriva a 37 anni, di cui quasi 17 mila, cioè l’81 per cento,  in età per lavorare.

Senza dimenticare che il contributo delle donne immigrate ha evitato che fosse ancora più negativo il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) della popolazione provinciale, che dagli anni novanta del secolo scorso ad oggi  è di segno meno per oltre mille unità (vuol dire che  in questo periodo ci sono stati più decessi che nascite),  nonostante  un neonato su cinque abbia oggi una mamma straniera (erano appena quattro ogni cento nel 2000).  In altri parole: senza i figli degli  immigrati la popolazione locale sarebbe già in discesa, più vecchia e quella in età da lavoro, già in declino, ancora di meno.  Le ultime notizie di una natalità 2015 ancora in discesa non migliorano la situazione.

Lo studio e il lavoro

E’ almeno dagli anni duemila che il numero di donne residenti in provincia di Rimini che si laurea supera costantemente quello degli uomini. Nell’ultimo anno di dati disponibili, il 2014, su un totale di circa 1.600 giovani residenti che si sono laureati, 960 (il 59%) sono donne.  Percentuali diverse, ma sempre con una maggioranza femminile, anche tra i diplomati.

Nelle iscrizioni all’Università le donne di Rimini, a differenza degli uomini, preferiscono di più architettura, economia, giurisprudenza, farmacia, lettere e filosofia, lingue e letterature straniere, medicina, scienze della formazione. Non vuol dire che le donne non siano presenti anche in ingegneria e matematica, o fisica,  ma in queste facoltà sono molto meno numerose degli uomini.

Il mercato del lavoro provinciale non sembra però preparato ad accogliere, cioè dare un lavoro adeguato,  queste nuove risorse umane, che con le loro famiglie hanno tanto investito nella loro formazione.

La crisi sembra averle relativamente avvantaggiate, ma in una fase di declino dell’occupazione la promozione ha un sapore un po’ amaro. Infatti, mentre dal 2011 al 2014, i maschi occupati sono scesi da 81 a 76 mila, le donne sono salite da 58 a 59 mila, recuperando mille posti dei cinquemila persi  dagli uomini. Più che altro si è trattato di limitare i danni, magari da parte di donne costrette a cercare un lavoro dopo la perdita del posto di qualche familiare. Lavoro che le donne esercitano soprattutto nei settori del commercio, turismo e servizi.

In ogni modo, l’ascesa occupazionale delle donne, che oggi rappresentano il 44 per cento di chi ha un lavoro, accompagnata dalla discesa degli uomini,  ha contribuito a ridurre la forbice provinciale tra il tasso di occupazione maschile e femminile (le persone che lavorano sul totale)  dal 22 al 17 per cento (la stessa differenza è al 19% in Italia).

Risultato che non può però offuscare una realtà che precede la crisi (scoppiata nel 2008): il costante ritardo del tasso di occupazione femminile riminese  rispetto alla media regionale, che nel 2014 è sotto del 6 per cento (52,2% contro 59,1%).

E non può essere una sorpresa che dove le opportunità di  lavoro sono minori  è giocoforza che sia più alta la disoccupazione, aumentata, per le donne di Rimini, dal 6,3 per cento del 2008, al 13,5 per cento nel 2014 (9,1 % quella degli uomini). Praticamente è raddoppiata in sei anni. Nel 2014, il tasso di disoccupazione femminile regionale è quattro punti di meno.

Ancora più preoccupante  la disoccupazione delle giovani donne, che ha raggiunto il 32 per cento nella fascia d’età 18-29 anni, contro il 23 per cento dei maschi.

Le imprese al femminile

L’aumento della disoccupazione, femminile oltre che maschile, accompagnata da una maggiore scolarizzazione, probabilmente ha spinto o invogliato molte donne ad intraprendere una attività autonoma. Così, dal 2010 (anno in cui entrano in provincia di Rimini i comuni dell’Alta Valmarecchia) al 2013, le imprese con titolari donna sono cresciute di un paio di centinaia (da 8.040 a 8.235), quando quelle maschili perdevano quasi il doppio. Commercio e turismo (alberghi e ristorazione) i settori dove la presenza di imprese femminili è maggiore.

Ma dopo lo slancio iniziale, nel 2014 il meccanismo si inceppa.  Forse molte non sono riuscite a superare la prova del mercato, e così le imprese con titolari donna  sono tornate ai numeri pre crisi. Qualcosa di simile è capitato anche alle imprese guidate da maschi, in una corsa alla retrocessione che ha visto, per la prima volta in tanti anni, il numero complessivo delle imprese provinciali scendere di oltre un migliaio di unità (dal 2010 al 2015 le imprese attive in provincia di Rimini sono passate da  35,7 a 34,3 mila).

Poi ci sono le libere professioniste, circa duemila su un totale provinciale prossimo a sette mila, presenti soprattutto  tra avvocati, commercialisti, architetti, medici-chirurghi e notai, dove rappresentano più di un terzo della categoria.