La mia Cina…da Rimini

di Veronica Molinari

Mi chiamo Veronica Molinari, ho 25 anni e da tre anni vivo a Pechino, capitale della Cina.  Sin dalla più tenera età ho sempre avuto un’innata pulsione per tutto ciò che era cultura, tradizione, arte e lingua differente dalla mia. Giunta al fatidico momento di decidere cosa fare del mio futuro, ho pensato che lo studio di una sola lingua come l’inglese, il francese, il tedesco o lo spagnolo, forse, sarebbe stato un po’ limitante e poco competitivo. Quindi ho optato per qualcosa di più esotico e lontano dai soliti schemi: il cinese.

La mia scelta universitaria non poteva che cadere sulla rinomata Università Cà Foscari di Venezia, una vera e propria istituzione per lo studio delle lingue orientali in Italia.

Ricordo ancora i primi tempi in cui mi trovavo alle prese con tutti quegli ideogrammi incomprensibili fatti di segni e lineette. Sì, perché i cinesi non hanno un alfabeto, bensì un complesso sistema basato su una precisa logica e un preciso ordine dei tratti. In realtà con l’andare del tempo scopri che tutto sta nella costanza. Costanza è sinonimo di sacrificio, ed il semplice fatto di sacrificarsi, inevitabilmente porta ad una forte crescita personale. La lingua non smetti mai di impararla, hai bisogno di allenamento continuo, anche stando sul posto. Non esiste sentirsi “arrivati”. Se non parli correttamente, non potrai mai porti alla pari con un cinese. Ma non è tutto. Bisogna conoscere la cultura per sapersi relazionare nel modo giusto, è questo che crea quel valore aggiunto tra chi meramente può definirsi un “iniziato” alla lingua cinese e chi ne è un conoscitore e avvezzo mediatore tra il mondo d’Occidente e quello d’Oriente.

Più di tre anni di vita a Pechino sono stati, e tuttora sono, una bella “palestra di vita”! Oltre a studiare la lingua cinese con particolare interesse per il lato economico ed aziendale, nel tempo libero ho iniziato ad impartire lezioni di lingua italiana a studenti cinesi volenterosi di formarsi con un’istruzione universitaria futura in Italia. Ricordo ancora con piacere, nel febbraio 2011, la mia prima lezione ad una classe di ragazzi su per giù miei coetanei: un vocìo incomprensibile! Dopo un primo momento d’imbarazzo diffuso mi presento e loro  chiedono subito di indicare sulla cartina da dove provengo, quasi ad accertarsi che sia davvero italiana.  Poi domande a raffica: i patiti del calcio sembrano prendersi gioco della mia ignoranza in materia, il genio di turno mi fa domande di latino, l’aspirante baritono mi prega di farlo cantare e di correggerlo laddove la pronuncia fosse poco chiara…

Ripensandoci, ho rivisto nei miei studenti lo stesso sguardo un po’  spaurito che avevo avuto un anno prima, al mio primo giorno d’università a Pechino: ahimè, non solo ero  l’unica italiana in classe, bensì la sola occidentale tra una dozzina d’occhi a mandorla. Volente o nolente, non c’era alternativa se non quella di parlare cinese, visto che l’inglese era proibito in classe, per ovvie ragioni d’apprendimento.