Aeradria: “Certe spirali potevano essere evitate”

di Alessandra Leardini

Premette di essere da quattro anni in quiescenza dall’ENAC e quindi di poter non essere “completamente aggiornato sulle vicende quotidiane”. Resta il fatto che il riminese Giampiero Gentili ha lavorato per una vita all’Ente Nazionale di Aviazione Civile, anche come direttore di aeroporto. Per questi incarichi istituzionali ha trascorso molti anni al “Fellini” e fino all’anno scorso ha continuato a svolgere consulenze per la società che gestisce lo scalo.

Gentili, un’idea sull’attuale situazione di Aeradria, se la sarà pure fatta…

“Le mie funzioni erano amministrative ed operative e poco avevano a vedere con la situazione finanziaria della società concessionaria. Comunque ritengo che un passivo di una quarantina di milioni non si crei dalla sera alla mattina, ma sia un trend iniziato da diversi anni”.

Quindi?

“Viene da chiedersi come i soci, almeno quei tre o quattro che rappresentano insieme la quota di maggioranza, abbiano vigilato sull’operato e sulle scelte dei vertici del gestore. Non so dire quali competenze e conoscenze di analisi finanziaria, commerciale, di trasporto aereo, gestione aeroportuale, e quanto altro necessario, abbiano i rappresentanti dei soci al consiglio di amministrazione di Aeradria. Certo ci sono elementi per credere che la vigilanza sia stata alquanto ‘formale’ e poco ‘sostanziale’”.

Si spieghi meglio.

“Avvisi di allarme, erano risuonati da un pezzo, tuttavia azioni da ultimatum non ne sono scaturite né dai soci né dagli organi di vigilanza dell’ENAC. Si poteva cercare di evitare di arrivare al punto d’oggi”.

Non sembra strano che, con l’aumento del numero dei passeggeri di questi ultimi anni, siano aumentate, quasi in modo esponenziale, anche le perdite finanziarie?

“Quando i passeggeri erano 5-600 mila l’anno, la società chiudeva in attivo. Aveva meno spese, come quelle della manutenzione della pista ed impianti elettrici, ma aveva anche meno entrate come quelle relative alla movimentazione di aeromobili, passeggeri e merce. Quindi deve essere entrato in gioco un meccanismo perverso di costi marginali”.

Ad esempio, quali?

“Penso al costo di acquisizione del traffico. Far arrivare un passeggero, o aereo, mi costa più delle tasse aeroportuali che questo passeggero o aereo mi genera”.

C’entrano le compagnie “low cost”?

“C’entrano quelle e le altre. Non c’è compagnia che non voglia essere ‘pagata’ per operare su uno scalo. Questo prezzo può essere l’acquisto anticipato di un certo numero di biglietti da parte di operatori turistici e commerciali legati al gestore aeroportuale, oppure il pagamento delle campagne promozionali per lanciare una linea aerea, o la forfettizzazione dei servizi aeroportuali, e così di seguito. Racimolare qualche milione di debiti l’anno per queste ‘spesucce’, è un gioco da ragazzi. Se poi viene moltiplicato per un certo numero di anni… ecco una delle spiegazioni”.

Come si possono evitare certi spirali?

“Il fatto è che bisogna scrollarsi dal groppone la soggezione e sudditanza di certi vettori: low-cost in Europa o charter extraeuropei. Spagna e Francia hanno più aeroporti di noi con traffico sotto il milione di passeggeri, eppure tutti gli scali riescono a sopravvivere. Bisogna rinunciare ai campanilismi, ed anche ad un bel po’ di poltrone, e presentarsi come unico interlocutore, magari, di 10-15 aeroporti italiani. Sia le compagnie che gli aeroporti hanno bisogno di traffico; il fine è comune. E’ logico che senza una delle due componenti, il sistema si ferma. Entrambe hanno poi bisogno di arrivare al pareggio di bilancio, quindi scali e vettori devono poter operare con un margine di guadagno. Ciò si raggiunge anche con una gestione oculata delle risorse e delle spese, cosa che le compagnie aeree già fanno e che gli aeroporti devono migliorare alquanto”.

Ma nel quadro generale dell’economia, c’è ancora margine per operare, almeno in pareggio?

“Rimando ad un’analisi de Il Sole 24 ore del 12 novembre scorso. Nello sfacelo generale delle gestioni aeroportuali, indovinate un po’ qual è la situazione meno disastrata? Inverosimilmente quella di Napoli, dove da un decennio il pacchetto di maggioranza è detenuto da investitori britannici”.

Allora è questione di uomini, di manager…

“Queste parole non sono uscite dalla mia bocca”.

Tornando al nostro aeroporto, quale influenza può avere l’indotto del traffico aereo sull’economia locale?

“Una certa importanza, non esaltante, però”.

Perché?

“Perchè su, ad esempio, un milione di passeggeri, mezzo milione sono quelli che partono, e quelli non creano indotto; e dell’altro mezzo milione in arrivo, una certa percentuale sono residenti in zona che tornano dai propri viaggi. In definitiva, l’ìndotto è creato da circa il 40% del totale dei passeggeri movimentati. Eppoi, apro una piccola parentesi, se la riviera non si riqualifica, come più volte scritto, partendo dalle strutture ricettive, agli scarichi fognari, alla viabilità, l’incoming continuerà a soffrire”.

Cosa pensa del “furto” di voli russi da parte di Ancona?

“Si tratta, per ora, di un volo settimanale. Ancona ha avuto anche quattro voli russi la settimana, anni orsono. Quasi tutti erano gestiti commercialmente in modo irregolare facendo passare per volo di linea dei voli charter. Per questo precedente il nuovo volo dovrà essere attentamente monitorato. Nella situazione attuale di acerrima rivalità tra gli scali, il fatto dà solo occasione ai giornali per stendere ‘grida manzoniane’, senza essere capaci di risolvere il problema a livello nazionale che, ripeto, dovrebbe vedere un’unione di scali”.

Concludendo, come salverebbe l’aeroporto di Rimini?

“Non ho la bacchetta magica ed ho già sfregato la lanterna magica tre volte. Vorrei sbagliarmi ma Rimini, per uscire dall’impasse e progredire come merita, difficilmente potrà farlo da sola. Deve rinunciare a posizioni campanilistiche e, magari, riuscire ad avere la disponibilità di gestire tutti i 360 ettari del sedime aeroportuale”.