Il turismo a Rimini: i conti non tornano

Le chiusure e le restrizioni imposte dalla pandemia hanno fatto male a tutta l’economia, ma in modo particolare al turismo. Così un movimento di visitatori a spasso per il mondo che sembrava inarrestabile (gli arrivi internazionali alle frontiere dei paesi sono passati da 280 milioni del 1980 a un miliardo e mezzo nel 2019), improvvisamente si interrompe e si torna indietro di almeno un ventennio. Perché, nel 2020, l’anno del covid, capita che gli arrivi internazionali precipitano a 400 milioni e i dati, ancora provvisori, del 2022 parlano di 917 milioni. Il recupero c’è stato, ma siamo ad un abbondante 37 per cento sotto i livelli pre covid. Fa un po’ meglio l’Unione europea che deve  recuperare solo, si fa per dire, il 19 per cento (Fonte: OMT).

All’Italia, per tornare al 2019 mancano, tra residenti e non, il 17 per cento degli arrivi e il 10 per cento dei pernottamenti.

In provincia di Rimini non poteva andare diversamente: nell’anno del covid  i pernottamenti (ma anche gli arrivi) si dimezzano, da 16 a poco più di 8 milioni, poi un progressivo recupero fino a 14 milioni del 2022, ma sono ancora l’11 per cento meno dell’ultimo anno di normalità. Un ripresa cui hanno dato un buon contributo i visitatori stranieri, che sono tornati a rappresentare oltre il 23 per cento di tutti i pernottamenti, la stessa percentuale pre pandemia. Anche se in numeri assoluti ne mancano ancora mezzo milione.

Nel ritorno ai blocchi di partenza faticano un po’ di più i comuni di Rimini  e di Cattolica, entrambi a meno 14 per cento in quanto a presenze, mentre fanno addirittura meglio Santarcangelo di Romagna e i comuni dell’Appennino, anche se in questo caso le cifre sono molto piccole.

Come però è facile osservare dal grafico, pandemia a parte, il turismo riminese, soprattutto i pernottamenti, sono gli stessi, intorno a 16 milioni, almeno da un ventennio. Senza dimenticare che negli anni Ottanta del secolo scorso avevano raggiunto 18 milioni. Abbondantemente sopra i livelli attuali.

Come mai, se nel mondo cresceva così tanto la voglia di viaggiare, Rimini è rimasta agli stessi numeri ?  E’ vero gli arrivi sono cresciuti, ma causa la riduzione dei periodi di vacanza, i pernottamenti, che sono quelli che contano (relativamente, perché in realtà a contare di più sono i margini, cioè il guadagno), perché consentono la vendita di più servizi, non ne hanno beneficiato. La componente estera che nei tempi gloriosi era arrivata a coprire il 40 per cento circa dei pernottamenti, oggi si è quasi dimezzata. 

Sicuramente c’entra la concorrenza che è aumentata, perché grazie ai voli a basso costo le località di mare che si possono raggiungere si sono moltiplicate. Ma, non dimentichiamolo, è cresciuta, e non poco, anche la domanda.

Per non andare troppo lontano, sulla costa croata, dal 2017 al 2019, i pernottamenti dei turisti stranieri sono saliti da 80 a 84 milioni. In Turchia, nello stesso periodo, i pernottamenti dei visitatori non domestici, da 80 sono diventati 132 milioni (Ocde, Tourism Trends 2022). A Rimini, invece, le notti trascorse in una struttura ricettiva da visitatori stranieri, dove i tedeschi restano i più numerosi, sono rimasti gli stessi (3,8 milioni).

Attenti anche all’illusione che basta rifare i lungomare, cosa apprezzabile, necessaria e da tutti lodata, per diventare improvvisamente più attrattivi. Perché ottimi lungomare ce li hanno anche gli altri. Lo dimostra il dato di Riccione, che il nuovo lungomare lo ha inaugurato nel 2010: ma nel 2019  aveva pochi pernottamenti in più di quell’anno.

Il discorso della competitività, come pure la redditività dell’attività turistica, riguarda Rimini e l’intera Romagna. Non si spiega altrimenti come mai il turismo della Romagna produca, con i suoi 28 milioni di pernottamenti (il 70 per cento dell’Emilia Romagna), meno valore aggiunto dell’area di Jesolo, includendo San Michele al Tagliamento, Cavallino-Treporti, Eraclea e Caole, che di pernottamenti ne fa poco più di 22 milioni. Area, quest’ultima, dove il turismo produce un valore aggiunto di 4,4 miliardi di euro, contro 4,1 miliardi della Romagna (stime Sociometrica 2022). Stima in verità piuttosto generosa, perché vorrebbe dire che il v.a. del turismo della riviera copre la metà del dell’intera economia provinciale, che in totale fa 9 miliardi di euro.

In ogni caso, vuol dire che un pernottamento in Riviera romagnola produce un valore aggiunto di 146 euro, a fronte di una media di 200 euro nell’area di Jesolo.

Perché alla fine contano le presenze (pernottamenti), ma soprattutto quanto il turista lascia sul territorio, acquistando beni e servizi.

E per attrarre ed “estrarre” più denaro dal turista, che vuol dire produrre più valore, servono servizi di livello adeguato. Cioè di buona qualità, che giustifichino un prezzo maggiore.

A partire dall’alloggio. Passi avanti si sono fatti, ma non basta. Al netto di un calo, dal 1990 ad oggi, di un migliaio di strutture alberghiere, che comunque non ha inciso sulla disponibilità di posti letto, che anzi, per via dell’extra-alberghiero, sono persino cresciuti, gli hotel ad una e due stelle sono crollati da 2.400 a meno di 600 nel 2021, ma restano sempre tanti. Non è un caso sia questa la fascia di provenienza della maggior parte dei circa trecento alberghi, solo nel comune di Rimini, chiusi e che diventano spesso monumenti al degrado.

Nello stesso periodo i tre stelle, molti transitati da categorie inferiori, sono balzati da 500 a circa 1.200 e  i quattro stelle da 52 sono diventati 159. Fermi, invece, ad un misero numero 3, i cinque stelle. Che dovrebbero diventare 4 con la riconversione ad albergo di lusso della ex colonia Bolognese, acquistata da poco dagli imprenditori Bianchi e Gemmani.

Segmento, gli alberghi di categoria superiore, di cui si sente di più la mancanza: i quattro e cinque stelle sono, infatti, appena l’8 per cento di tutti gli alberghi di Rimini, ma diventano, nell’area concorrente, il 19 per cento a Jesolo, il 28 per cento a Lignano Sabbiadoro e il 18 per cento a Grado. Per non parlare delle città d’arte, come Venezia, Bologna, Firenze e Roma dove si sfiora il 35-40 per cento.

Di recente, a reclamare una maggiore offerta di hotel di categoria superiore, per la loro clientela, che spende di più di un normale turista balneare, sono stati anche Fiera e Palacongressi. Ricordiamo che nove alberghi su dieci, in Riviera, sono stati costruiti nel periodo 1946-1975. Hanno, cioè, più di mezzo secolo abbondante. Oltre a servizi mancanti, troppi non hanno nemmeno le condizioni di sicurezza (antisismicità) richiesti.

Va da se che dietro gli alberghi un salto di qualità lo devono fare tutti i servizi rivolti all’accoglienza. Organizzazione e gestione della spiaggia compresa. Vedere, oggi, il nuovo parco del mare affiancato da file di cabine in cemento di un’altra epoca, è una stonatura evidente.

Il lavoro, pagato poco, del turismo

Un salto di qualità è richiesto anche per offrire prospettive di lavoro migliori e più stabili agli occupati del settore, in prevalenza donne e giovani, tra cui tanti immigrati. Senza le quali le oramai annuali lamentele, degli operatori, del personale che non si trova appaiono tanto rituali, quanto vuote invocazioni.

 Nel settore alloggio e ristorazione della provincia di Rimini lavorano, in qualità di dipendenti, oltre 30 mila persone, di cui un buon 60 per cento donne. Considerando che meno di un dipendente su sei ha un contratto a tempo indeterminato, la media delle giornate lavorative non supera le 130 l’anno, meno della metà del settore manifatturiero, per un salario lordo giornaliero di 58 euro per le donne e 64 euro per gli uomini (Inps, Osservatorio lavoratori dipendenti).

Nell’ipotesi di un orario giornaliero di otto ore, ma sappiamo che spesso sono molto di più, si tratterebbe di circa 7 euro l’ora. Tariffa che scende in proporzione alle ore in più lavorate. Siamo in una situazione di lavoro povero, in cui un salario minimo legale di 9 euro costituirebbe già un miglioramento, ancorché piccolo, per tanti/e.

E’ vero, molti sosterranno che questo è lo stipendio in chiaro, poi c’è il nero. Ma il nero, il fuori busta, ancorché pratica diffusa, non fa di un lavoro un buon lavoro. Domani, non ti farà avere una pensione. Anche perché spesso è subito, dal dipendente, e non è frutto di una libera scelta. Da qui, anche, la diserzione.

Tutto ciò considerato, la conclusione è che chi dovesse lavorare esclusivamente nel turismo si porta a casa una retribuzione media annua inferiore a  8 mila euro, a fronte di 26 mila euro pagate dal manifatturiero. Siamo a meno di un terzo.

Certo, il massiccio ricorso a contratti stagionali contribuisce non poco ad abbassare la media. Ma nemmeno il confronto tra contratti a tempo indeterminato pareggia i conti: 15 mila euro il salario medio nel turismo, 28 mila euro nel manifatturiero. Non è una specificità riminese, ma un po’ in tutto il mondo il turismo paga meno. Poi, certo, anche la tipologia di mercato ha il suo peso. Per esempio, a parità di condizioni, Venezia e Firenze, città che richiamano un turismo culturale, pagano il personale meglio.

Per rendere il nostro turismo più attrattivo e conveniente bisogna agire su due fronti: alzare il livello dei servizi, a cominciare da quelli ricettivi; allungare, con nuovi prodotti, oltre al balneare, il periodo lavorativo (di apertura degli hotel). Attualmente, fiere e congressi, contribuiscono, nel periodo ottobre-aprile, al 16 per cento del totale dei pernottamenti. Portare questa percentuale extra stagionale al 30 per cento, nel tempo ragionevole di un decennio, sarebbe già una sfida importante.

Secondo una indagine di Airbnb, presentata all’ultima fiera sul turismo di Berlino, tre sono le tendenze dei viaggiatori per i prossimi anni: quotazioni in crescita per le mete di lunga distanza, dove abbinare vacanza e telelavoro; motivazione culturale, soprattutto da parte dei giovani; crescita dei viaggi di persone sole, soprattutto donne.