Il lavoro in tempo di Covid: Rimini perde 3,7 milioni di giornate lavorative

Nessuno si attendeva che con le chiusure delle attività, alcune per brevi periodi, altre ancora sotto l’incudine della pandemia come il turismo, il lavoro potesse aumentare. Infatti così non è stato, in provincia di Rimini come in tutta la Romagna e non solo.

Secondo l’Osservatorio lavoratori dipendenti di aziende private dell’Inps, che registra tutte le persone che nell’anno considerato hanno versato un qualche contributo pensionistico, quindi stiamo parlando di posizioni lavorative regolari, di qualsiasi durata, escluso il settore agricolo, nel 2020, il primo anno di Covid, rispetto al 2019, gli occupati dipendenti sono scesi: in provincia di Rimini da 113 mila a 105 mila, a Forlì-Cesena da 120 mila a 116 mila, a Ravenna da 119 mila a 114 mila.

Se si fa qualche conto si scoprirà che in provincia di Rimini il calo, meno 7 per cento, è stato quasi il doppio delle altre province romagnole e della media regionale.

La ragione sta tutta nella maggiore incidenza del lavoro turistico nell’economia riminese. Infatti, degli 8 mila lavoratori che mancano, nel 2020, ben 5 mila sono venuti meno nei servizi di alloggio e ristorazione, che sono scesi da 33 mila del 2019 a 28 mila nel 2020.  Gli altri sono da ricercare nelle minori attività sportive e di intrattenimento, molte di loro collegate al turismo,  commercio e altre attività di servizi.

Al contrario, il Covid praticamente non ha avuto ricadute negative sull’occupazione manifatturiera provinciale, che è rimasta stabile, anche nel 2020, intorno a 18 mila addetti.

Poi ci sono anche settori, come quello della logistica, trasporti e magazzinaggio, dove l’occupazione è perfino aumentata di circa 500 unità. Sono le ricadute dell’aumento degli acquisti on line.

Infine un dato inaspettato, visto l’incremento esponenziale del lavoro socio-sanitario: i lavoratori, principalmente lavoratrici, del settore sanità e assistenza sociale della provincia di Rimini sono rimasti gli stessi da prima del Covid: circa 5 mila. Però il calo del 10 per cento delle giornate lavorative del medesimo settore, probabilmente  è il segnale delle difficoltà subentrate nel lavoro di assistenza, più che sanitario. Si pensi alle tante donne straniere che assistono i nostri anziani e che in molti casi hanno dovuto abbandonare.

La chiusura delle attività, benché prevalentemente stagionali, ha voluto dire, per Rimini, la perdita, nel 2020, di 3,7 milioni di giornate lavorative, equivalente ad un taglio di 200 milioni di euro del monte retributivo complessivo, che così scende da 1,8 miliardi di euro del 2019 a 1,6 miliardi di euro nel 2020. Perdita in assoluto doppia rispetto alle altre province romagnole.

Con questi numeri la retribuzione media annuale 2020, considerando tutti i settori e tutti i lavoratori, raggiunge a stento 15 mila euro, mille euro in meno dell’anno prima. Un valore che sconta, nel senso che viene tirata giù, una retribuzione annuale media nel turismo locale di 5 mila euro. Siamo nel pieno di lavori e lavoratori poveri (l’Unione Europa considera povero un lavoratore che dichiara di essere stato occupato meno di 7 mesi nell’anno di riferimento).

Con una retribuzione media 2020 così bassa, Rimini si posiziona all’ultimo posto in Romagna e in Emilia Romagna (accadeva lo stesso nel 2019),  ben lontana dai 24 mila euro di Reggio Emilia, Modena e Bologna.

Contratti brevi: donne e giovani i più penalizzati

Se il Covid, come abbiamo visto, ha colpito alcuni settori più di altri, è anche vero che ha reso ancora più instabili chi già viveva in situazioni di precarietà. Questo dappertutto, ma a Rimini il fenomeno si fa sentire di più.

Infatti, a pagare non sono stati i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, che sono rimasti gli stessi (62 mila), ma quelli che lavoravano con contratti a tempo determinato e stagionali, scesi da 51 mila a 43 mila, con una perdita netta di 8 mila unità.

Questo vuol dire che l’intero onere del calo occupazionale dipendente è ricaduto proprio su questo segmento di lavoro. Il meno stabile. E’ successo che i contratti in scadenza non sono stati rinnovati o semplicemente non sono nemmeno partiti (solo il turismo ha lasciato a casa, rispetto l’anno prima, 5 mila lavoratori).

I settori dove è più facile trovare lavoratori con contratti a tempo sono, in ordine di importanza: alloggio e ristorazione (turismo), noleggio e agenzie turistiche, commercio e istruzione.

Lavorano, invece, nel turismo (alloggio e ristorazione) otto lavoratori con contratto stagionale su dieci. Questo, va detto, con poche variazioni, anche in epoca pre covid.

Forse è un caso, magari no, ma è un dato che i settori più colpiti dalla pandemia sono anche quelli con maggiore presenza femminile. E’ toccato quindi alle donne, che già a Rimini, anche in periodi normali, godono di minori opportunità che altrove, pagare il prezzo maggiore.

Non c’è quindi da sorprendersi se degli 8 mila lavoratori rimasti senza lavoro nel 2020, 5 mila sono proprio donne.  Che poi in questa situazione non idilliaca, 204 donne, nel 2020, si siano licenziate alla nascita di un figlio, perché messe nella impossibilità di poter conciliare lavoro e famiglia, rende ancora più preoccupante lo stato delle donne lavoratrici riminesi.

Infine i giovani con meno di 29 anni: con il covid hanno perso il lavoro in poco meno di 4 mila, circa la metà del totale.

In conclusione, i precari, le donne e i giovani, sono stati i più penalizzati, anche a Rimini, dalla pandemia. Di questo va tenuto conto nell’adozione di eventuali politiche territoriali per il lavoro.