Dopo le “primarie” del PD e prima del voto di primavera

Poco meno di sette mila votanti alle “primarie” del PD  riminese magari sono meno delle attese, sicuramente non sono un numero da primato (a Riccione, è stato ricordato, per scegliere il candidato a sindaco, circa un anno fa, si mobilitarono un migliaio in più), ma è pur sempre un discreto numero, comunque meglio di una decisione presa tra pochi intimi. Non il massimo, ma meglio di niente.

Perché tanti riminesi, magari potenziali elettori del centro sinistra, non si sono mobilitati ? Per una ragione molto semplice. Perché era una partita che il PD, consapevolmente, ha voluto giocare al suo interno, chiudendo qualsiasi spazio alla società. A  dispetto del titolo non era una vera votazione primaria, perché  si trattava di scegliere, in seconda battuta,  tra candidati che solo il partito aveva contribuito a designare. E la società, a ragione,  ha ricambiato tenendosi lontana. Sarebbe stato probabilmente diverso se a fianco dei candidati interni ci fosse stato qualche personalità esterna di peso, capace cioè di contendere veramente la candidatura a sindaco.  Ma il PD locale, forse per non correre rischi di bocciature clamorose, come avvenuto altrove, ha voluto giocare una partita a porte chiuse. Se poi l’affluenza è stata “poco soddisfacente”, “bassa e…di età avanzata”, come hanno dichiarato esponenti dello stesso partito, sarebbe il caso di riflettere sulle cause. Le primarie o sono gare vere, quindi aperte, o altrimenti è meglio lasciar perdere e tornare alle vecchie riunioni di partito dove pochi, in genere, decidono per tutti.  Le vie di mezzo di solito scontentano tutti.

Come si sa dalla competizione è uscito vincitore Andrea Gnassi con 2.800 voti, che sono stati sufficienti per battere, anche se di misura,  gli altri candidati, ma che non sono tanti per vincere la partita vera, cioè ottenere l’elezione a sindaco di Rimini.  Che vuol dire, e questo è bene che i dirigenti del centro sinistra lo comprendano, conquistare i voti della stragrande maggioranza che non ha partecipato alle “primarie”.  Si torna così al ragionamento di partenza: si può conquistare voti non aprendosi alla società ?   E’ difficile.  Ce ne sono già le prove.

 Che fare allora da qui alle elezioni vere di primavera ?  Tre cose appaiono prioritarie. In primo luogo, visto che il candidato scelto ha più volte espresso il proposito di voler cambiare pagina, riferendosi alla Amministrazione uscente della città,  sarebbe il caso che spiegasse  il concetto, perché a volte si ha l’impressione, ascoltando i suoi interventi (ma anche degli altri candidati),  che al governo della città, fino ad oggi, ci sia stata l’opposizione e non le stesse forze politiche che sostegono la sua candidatura. Dove ha sbagliato l’Amministrazione uscente ?   A cosa si vorrebbe porre riparo  o correggere ?   Sono domande che avrebbero bisogno di qualche risposta. Se non altro per una questione di chiarezza.

In secondo luogo, il candidato a sindaco dovrebbe offrire idee più circostanziate su tre-quattro temi prioritari per il futuro di questa città, che sappiano dare una risposta convincente alle maggiori criticità del territorio, ma che siano anche capaci di disegnare un futuro possibile  e condivisibile da una larga maggioranza di cittadini.   

 Terzo: ricercare, sempre nella società, due-tre personalità, meritevoli e professionalmente competenti, lontano dai bilancini spesso inefficienti dei partiti,  cui offrire posti chiave (economia, urbanistica e turismo, tra i primi)  nella futura ed eventuale nuova Amministrazione.

 In sintesi, il centro sinistra deve fare quello che non ha fatto fino ad oggi: aprire alle migliori idee, progetti e competenze della società riminese, per conquistarne il voto. Semplice quanto fondamentale per aspirare a vincere.

One thought on “Dopo le “primarie” del PD e prima del voto di primavera

  1. Un’autentica apertura la considero improbabile.Non é che non vogliono, é che proprio non sanno da che parte cominciare.

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