Rimini: ombre sul turismo

Il Veneto, che è la regione d’Italia più visitata dai turisti, italiani e stranieri, e la sesta per presenze in Europa (nel 2015  ha avuto 17,2 milioni di arrivi  e  63,2 milioni di presenze, di cui solo la città di Venezia 34 milioni), nel 2015 ha fatto registrare un aumento del 6,1 per cento degli arrivi e del 2,2 per cento delle presenze.

In Emilia Romagna,  dove i dati del turismo 2015 segnalano 8,7 milioni di arrivi e 46,1 milioni di presenze, i primi sono cresciuti del 5,1 per cento e i secondi del 3,2 per cento.  Un risultato per certi versi (le presenze) anche migliore della regione capofila.

Nello stesso 2015, i turisti arrivati in provincia di Rimini (3,3 milioni) sono aumentati del 4,3 per cento e le presenze dell’1,6 per cento (totalizzando 15,3 milioni di pernottamenti).  Un bilancio positivo, ma inferiore a quello ottenuto  dalla regione Veneto, dall’Emilia Romagna e dall’Italia (+ 1,8% di presenze),  per non citare l’Unione Europea, dove i pernottamenti  2015 sono cresciuti del 3,2 per cento, raggiungendo la cifra record di 2,8 miliardi.

Va anche detto che in Europa le presenze turistiche, stando ad Eurostat, crescono ininterrottamente dal 2009, quando ci fu una flessione per i riflessi della  crisi, scoppiata l’anno prima. Un comportamento in linea con l’andamento del turismo mondiale che avanza, nonostante le difficoltà di parecchie economie, al ritmo del 3-4 per cento l’anno.

Così non è stato per il turismo riminese, che non solo è molto lontano dalle presenze raggiunte negli anni ottanta del secolo scorso, ma dal 2009 in poi, pur  con gli arrivi in crescita,  ha visto un andamento altalenante dei pernottamenti, tanto che i risultati del 2015, anche se migliori rispetto al 2014,  sono gli stessi del 2006 (quando furono 15,4 milioni). Vuol dire essere tornati ai livelli di dieci anni fa. Mentre in Europa e nel Mondo non si arrestava  la voglia di viaggiare.

Domanda: perché questo territorio non è riuscito ad attrarre i nuovi viaggiatori globali, che hanno superato la soglia di 1,2 miliardi, quando erano poco più di mezzo miliardo solo alla metà degli anni novanta del secolo scorso?   Abbiamo perso più italiani o stranieri ?

A venire meno sono stati sicuramente gli stranieri:  basta sapere che nel 1970 le presenze straniere erano 5,4 milioni, diventate poi  6,5 milioni nel 1980, equivalente al 38 per cento del totale, mentre nel 2015 se ne contano 3,5 milioni, tra l’altro in calo da tre anni, rappresentando meno del 23 per cento di tutti i pernottamenti provinciali, quando in Italia i visitatori dall’estero totalizzano  il 50 per cento delle presenze.  In pratica, nell’arco di poco più di un trentennio,  le presenze straniere  a Rimini sono cadute di circa la metà. Questo, nonostante  l’aumento, nello stesso periodo, degli arrivi dall’estero (+14%), che nel 2015 sono stati 670 mila.  E’ successo, però, che la permanenza media del turista straniero si sia più che dimezzata:  11 le giornate di vacanza nel 1980, 5 giorni nel 2015.  Non è un fenomeno solo locale, ma generale e riguarda anche gli italiani. E’ cambiato l’utilizzo del tempo libero: non più poche vacanze e lunghe, ma brevi e frequenti.  Il mercato turistico è diventato più flessibile e incerto. Questo non cambia il risultato, ma in parte lo spiega.  Riempire un albergo è più difficile, perché bisogna continuamente rifornirlo di nuovi clienti.

Se solo si fossero mantenuti i numeri dei pernottamenti stranieri degli anni migliori (senza considerare, quindi, l’aumento del turismo mondiale), oggi ci troveremmo con oltre 18 milioni di presenze complessive, tre milioni in più di quelle registrate a fine 2015.   Considerando una spesa media giornaliera di 80 euro  (ipotesi conservativa, perché la Regione Veneto ha calcolato, per i turisti stranieri che la visitano,  una spesa media giornaliera di 95 euro, con punte di 180 per giapponesi e cinesi), la perdita per l’economia locale si può calcolare in almeno 240 milioni di euro l’anno.

Perdita che può salire a  702 milioni di euro l’anno, se ipotizziamo di moltiplicare per quattro gli arrivi di stranieri registrati negli anni ottanta del secolo scorso, come è accaduto per i viaggiatori  internazionali nel mondo (passati da 280 milioni a 1,2 miliardi). In altri termini, se Rimini fosse stata capace di tenere il ritmo di crescita del turismo mondiale (585mila arrivi del 1980 x 4=2,34 milioni), pur con un calo delle giornate medie di presenza, oggi ci troveremmo con circa settecento milioni di fatturato turistico in più ogni anno. Questo solo con le presenze straniere.

Certo sorgerebbero  problemi di affollamento, cioè di impatto sul territorio, per il consistente aumento degli arrivi che richiederebbe, soprattutto se concentrati in una fascia ristretta di territorio e pochi mesi estivi.  Una potenzialità che sicuramente domanderebbe una diversa gestione dei flussi, da spalmare su più mesi e offrendo un ventaglio maggiore di prodotti turistici.

Perché la Riviera di Rimini (lasciamo da parte l’entroterra che rappresenta meno dell’uno per cento delle presenze) non ha saputo cogliere queste opportunità di crescita?  Senza dare la colpa all’Italia, dove il turismo continua a perdere posizioni come contributo al pil, tanto che nell’ultima graduatoria 2015 del World Travel&Tourism Council/Wttc  è scesa all’ottavo posto, su 184 paesi, scendendo un gradino rispetto all’anno prima e finendo dietro la Spagna, l’impressione  è che esista un mix di concause.

Sicuramente il mare, che fornisce l’80 per cento delle presenze turistiche dell’Emilia Romagna, almeno il nostro mare Adriatico, è un prodotto che richiama meno. Tanto che anche nel Veneto, secondo il Rapporto 2015 di Regione Veneto e Ciset,  le presenze legate alle località balneari, dal 2010 al 2015, sono diminuite di circa un milione, mentre sono contemporaneamente aumentate le presenze nelle città d’arte (+ 3,5 milioni nello stesso periodo), che hanno toccato la cifra record di 19,7 milioni nel 2015.  A far aumentare le presenze, nel 2015, nelle città d’arte venete sono in primo luogo gli stranieri (+ 5,4%), mentre gli stessi sono stati attratti meno dal mare (- 1,2%).   Pernottamenti di stranieri che nel Veneto rappresentano, è bene ricordarlo, i due terzi del totale (anche nelle località marine).

Quindi, quello che cresce è il turismo culturale, che produce (in Veneto) una spesa media giornaliera di  129 euro, contro i 70 euro di una presenza balneare.  La conferma che monumenti, arte, cultura, paesaggio, ecc., producono un bel valore economico.

Però affermare, in generale, che il mare attira meno è parzialmente vero. Perché in Spagna, che nel 2015 è stata visitata da 68 milioni turisti  stranieri (53 milioni quelli venuti in Italia), una cifra  record, sebbene sia andato bene il turismo delle città (Madrid +13%), la Costa si è confermata il destino preferito dagli stranieri. A cominciare dalla Catalogna, che ha accolto 17,4 milioni di visitatori esteri, con un incremento del 3,7 per cento sull’anno prima, per seguire con le isole Baleari (11,6 milioni e + 2,7%) e le Canarie (11,6 milioni e + 1,0%).

Oltre la metà dei turisti stranieri che visitano la Spagna provengono da tre paesi: Gran Bretagna, Francia e Germania.  Poi a seguire: Paesi nordici, italiani, olandesi e svizzeri.

Come arrivano in Spagna i turisti stranieri ?  54 dei 68 milioni che l’hanno visitata nel 2015, cioè l’80 per cento, in aereo (El Paìs, 29/1/2016).  E’ evidente che questo mezzo di trasporto si mostra decisivo.

Trasferendoci in provincia di Rimini, i primi tre paesi di provenienza dei turisti esteri sono stati, nel 2015:  Germania, Svizzera e Russia (in calo della metà, per le note vicende della crisi Ucraina ed economica).  Ma ci siamo (quasi)  persi gli inglesi, che un tempo erano molto numerosi,  e tanti turisti scandinavi.  Questo ci fa vedere che forse non è il mare a non interessare più,  ma il nostro prodotto balneare a perdere  attrattività  (altrimenti non si spiegherebbe perché tanti vanno al mare nella costa spagnola).  L’ultima estate è balzato alla cronaca (spagnola) il caso della spiaggia di Benidorm, in provincia di Alicante, che ha registrato un vero e proprio boom di visite, soprattutto dall’estero.

Qualche rappresentante locale di categoria, per invertire la rotta,  rivendica  più “movida”, che pure in  questi anni non è mancata (Notti Rosa, Street Parade, Capodanni lunghi, ecc.), con risultati, se ne stiamo ancora discutendo, quanto meno insufficienti.

Ci sono alcune considerazioni, nell’Osservatorio di Unioncamere sul Turismo 2015 in Emilia Romagna,  che dovrebbero far riflettere: “Nonostante diverse stagioni di difficoltà  e di progressiva erosione di arrivi e presenze, il 25 per cento degli operatori pensa che investire nella riqualificazione della struttura ricettiva non sia essenziale, (mentre) il 55 per cento degli albergatori intervistati ritiene che il proprio albergo sia stato ristrutturato recentemente e che vada bene così com’è”.

Alberghi, prosegue il Rapporto, che risalgono alla anni ’70 del secolo scorso e sono privi di insonorizzazione, aria condizionata, piscina, applicazione di norme antincendio, ecc.

Osservazione che fa il paio con una indagine della Provincia di Rimini, del marzo 2015, sull’innovazione nel turismo in cui emergeva che la metà delle imprese del settore (alberghi, ristoranti, ecc.)  non aveva introdotto nessuna  novità negli ultimi tre anni.  Percentuale otto punti più elevata della media delle strutture turistiche dell’Emilia Romagna.

Restare  fermi, in un mondo che cambia continuamente e dove il 65 per cento dei potenziali turisti organizza le proprie vacanze sul web, dove viene richiesta una presenza costante e un aggiornamento continuo, equivale a tagliasi fuori. Con i risultati che conosciamo.

Il mondo, anche nel turismo,  è diventato più competitivo  e non mostrarsi  all’altezza delle aspettative fa perdere mercati. Ma non è un destino, si può risalire.  Offrendo strutture moderne  e  tecnologicamente aggiornate, città vivaci e accoglienti, servizi all’altezza, un ambiente sano e più cultura, valorizzando meglio l’ineguagliabile patrimonio di tante nostre città e borghi.  In Spagna intendono fare tutto questo costruendo  “destini turistici intelligenti”, cioè spazi turistici innovativi, accessibili a tutti e tecnologicamente all’avanguardia.

Le ricadute sul lavoro

Lo sa chi fa la stagione, soprattutto le donne, che il turismo produce  lavoro, seppure per pochi mesi. Ma che in Italia ne offra meno (sono 1.119.000 gli occupati diretti)  del Regno Unito e un terzo della Germania, forse è poco noto. Però da l’idea di quanto il nostro patrimonio e le nostre risorse, di ogni tipo, siano sottoutilizzate.

Ragionamento riproducibile anche a Rimini, dove la disoccupazione è la più elevata dell’Emilia Romagna, in particolare quella giovanile, ed ogni opportunità di lavoro è preziosa.

Perché se le presenze calano anche il lavoro diminuisce. Così dal 2012 al 2015 si sono persi più di 10 mila avviamenti (da non confondere con le persone, che sono meno) al lavoro (da 55 mila a 44 mila). In parte, è vero, sono stati sostituiti dai voucher, che proprio nel turismo hanno avuto una impennata, ma è difficile che coprano tutta la differenza.

A questo punto non ci resta che immaginare quanti posti di lavoro in più ci sarebbero se il turismo di Rimini avesse mantenuto i ritmi di crescita del turismo mondiale: almeno un numero di avviamenti tre-quattro volte maggiore.  Questo è il costo economico e sociale della perdita di competitività di un settore importante come il turismo.