Il ruolo delicato delle banche

Le grandi banche, grazie anche alla loro azione di lobby (pressione), ottengono ammorbidimenti, ma non restituiscono il favore. E’ accaduto con le restrizioni loro imposte da Basilea 3, che dovevano entrate in vigore nel 2015, ma sono state prima alleggerite, introducendo diverse facilitazioni,  poi rinviate di quattro anni.

In una situazione così difficile, dove tutti vivono in bilico, i bilanci sono importanti,  ma spesso una impresa che si avvicina ad una banca non ha la sensazione di un sforzo condiviso. Se è in difficoltà, ma ha un suo mercato e mostra di sapere tenere, più che essere aiutata molte volte viene penalizzata con maggiori restrizioni e condizioni penalizzanti, compreso l’aumento dei tassi, quandola Banca Centrale Europea (Bce)  applica, oggi, lo 0,75 per cento.

Quando si avvicina ad una banca l’impresa deve passare l’esame di una serie di algoritmi  (complesse formula matematiche che tra l’alto sono, non uniche, tra le responsabili dell’attuale crisi) prima ancora di poter far valere la sua storia imprenditoriale, le prospettive o  il progetto che pensa di implementare.

Per i funzionari è forte, magari anche comodo, la tentazione di  rifugiarsi dietro i rating, gli algoritmi e altre formule astruse perché questo, in un certo senso, li deresponsabilizza e li mette al riparo da eventuali esiti negativi (abbiamo letto degli aumenti, anche a Rimini, delle sofferenze).  Ma  mettere a “frullare” in un computer un po’ di numeri,  comunque programmato dalla banca medesima, per ricavarne sentenze assolutorie (ti faccio credito) o di condanna (non ti faccio credito) non fa bene né all’impresa, né all’imprenditore, che oggi andrebbe trattato quasi come un eroe (chi lo fa seriamente),  e in definitiva all’economia, perché in fondo è l’impresa che crea lavoro e ricchezza. Svilisce perfino il ruolo della banca, che deve aiutare e promuovere l’economia del territorio in cui opera e non deprimerla ancora di più.

Quando poi le decisioni che contano, sull’erogazione o meno di un  credito, vengono prese in un’altra città, lontano dal luogo in cui l’attività si volge, cosa che capita di frequente con le grandi banche nazionali, meno con quelle locali, la sensazione di estraneità, e a volte anche di arbitrarietà,  è piuttosto frequente. Perché ci si chiede come faccia un funzionario che non ha mai visto né conosciuto l’impresa, a valutare con cognizione di causa una richiesta o un progetto di investimento.

Le formule e la tecnica sono utili, ma complementari, perché se diventano un alibi per  non assumersi responsabilità (le sentenze sono il rating), finiscono  per peggiorare la situazione.  L’economia, anche se a volte sembra un po’ complicata, è una materia dannatamente umana, perché sono persone gli imprenditori, sono persone i lavoratori e sono persone i consumatori. Allora non si può consentire che decisioni che investono così tanto cittadini  finiscano per esser prese dal “cervello” di un computer.  Le banche, come tutte le imprese, devono far tornare i loro conti, ma se uccidono l’economia, praticamente si tagliano l’erba sotto i piedi. E’ un po’ come le politiche di austerità in tempo di crisi: oggi, finalmente, ci si è resi conto che peggiorano le condizioni di vita delle persone e non risanano i conti pubblici (infatti il debito aumenta). Lo ha certificato perfino il Fondo Monetario Internazionale. Si erano sbagliati. Cerchino, le banche, di evitare gli stessi errori.