I veri freni dell’economia nazionale

Se nonostante gli ostacoli a Rimini, come in tutta Italia, continuano a nascere nuove imprese bisogna dire che lo spirito imprenditoriale, cioè la voglia di fare,  ha qualcosa di quasi eroico. In questi ultimi mesi si sta discutendo molto di riforma del mercato del lavoro, spacciata come la chiave  che spalancherà i confini nazionali a tanti investitori stranieri che non aspettano altro, ma sebbene questa sia importante, sono ben altri i punti dolenti.

Per rendersene  conto è sufficiente prendere l’ultimo rapporto 2012 “Doing Business” (fare affari) della Banca Mondiale, che misura la facilità con cui è possibile avviare e mantenere una attività economica, dove l’Italia figura all’87° posto, scendendo di quattro posizioni rispetto ad un anno prima, in una lista di 183 paesi. In questa classifica l’Italia è preceduta  anche dalla Mongolia, dallo Zambia e dall’Albania, per citarne solo alcuni.  Tra i paesi al vertice, al primo posto continua a rimanere Singapore, gli Stati Uniti sono al quarto,la Gran Bretagnaal settimo, la Germania al diciannovesimo,  la Francia al ventinovesimo e la Spagna al quarantaquattresimo. Tutti più in alto dell’Italia.

Ma è il dettaglio che spiega la posizione dell’Italia in graduatoria.  Cominciamo dalle pratiche richieste per avviare una nuova impresa: il numero di procedure (6)  e di giorni (6) è paragonabile ai paesi più virtuosi,  ma è esorbitante il costo (quattro volte più della Germania e  tredici quello degli USA)  e il capitale minimo richiesto (dieci volte tutti gli altri, che non impongono nessun minimo).

Più interessante, e preoccupante insieme perché verificato anche a Rimini, sono in giorni richiesti per ottenere un permesso per costruire una sede o alzare un capannone: 258 giorni in Italia contro i 97 della Germania e i 26 degli Stati Uniti. A costi da tre a dieci volte superiori. Tutto questo quasi a parità del numero di procedure.

Ma non è finita. Per ottenere la fornitura di energia elettrica in Italia ci vogliono ben 192 giorni contro i 123 della Francia e i 17 della Germania. Anche questa volta il disservizio si paga da quattro a  venti volte di più.

Così se tutto è più caro, perché l’inefficienza dilaga (fa un po’ sorridere leggere dei premi di produzione dati a  tanti dirigenti pubblici, immaginando cosa dovrebbero pretendere quelli degli altri paesi), anche le tasse sugli utili d’impresa devono essere più alte, infatti lo sono: il 68 per cento, che è quasi il doppio di tutti gli altri, escluso la Francia  che si allinea all’Italia.

Per ultimo i tempi della giustizia civile nel caso della risoluzione di qualche controversia legale: in Italia ci vogliono 1.210 giorni (tre anni e tre mesi), a fronte dei 487 giorni della Germania, dei 399 giorni della Gran Bretagna e dei 150 giorni di Singapore.

Ora se di fronte a questi veri e propri macigni, che poi non sono nemmeno tutti, messi di traverso ad ostacolare la voglia di fare impresa dei nazionali e ad impedire il richiamo di investitori esteri, il Governo pensa di risolvere tutto  mettendo mano solo ad un aspetto (il lavoro) della questione, probabilmente sta illudendo se stesso e gli italiani che ci credono.  Ci vuole ben altro. Che non necessariamente deve partire dal livello centrale, si può cominciare anche sul piano locale. Per esempio semplificando le procedure e riducendo al minimo i tempi e i costi richiesti.  Non chiedendo alle imprese e ai giovani imprenditori di mettersi sempre a disposizione,  perdendo tempo e denaro, ma esattamente il contrario: con uffici e personale che si mettono a disposizione delle aziende, le seguono fino alla soluzione della domanda o del problema. Perché questo dovrebbe essere il compito di  un servizio pubblico.