Rimini: salari minimi…quasi poveri

Al netto del fatto che in Italia, tra il 1990 e il 2020, le retribuzioni lorde sono scese del 3 per cento, mentre in Germania aumentavano del 33 per cento (nel 2022, il salario medio lordo annuo tedesco, per un tempo pieno, è stato di 44 mila euro a fronte di 30 mila scarsi dell’Italia) e in Francia del 31 per cento, con i salari che Rimini si ritrova sarebbe arduo, parafrasando una canzone, sostenere che andiamo al massimo. Piuttosto al minimo vitale.

E’ quanto emerge osservando l’importo dei salari medi annui che vengono pagati nel settore privato dell’economia, escluso l’agricoltura: 16 mila euro a Rimini, in assoluto l’importo più basso in Emilia Romagna, che diventano 21 mila a Forlì-Cesena e 22 mila a Ravenna, ma oltrepassano tranquillamente i 25 mila nelle province emiliane, ad eccezione di Ferrara e Piacenza.

Nel 2021, con il covid alle spalle, le cose non sono cambiate e dappertutto sono tornati i valori precedenti. Con la non banale differenza che l’inflazione sta erodendo pesantemente il potere d’acquisto dei salari, a cominciare da quelli più bassi.

Salari che posiziona la provincia di Rimini al 58° posto, su 107 province, nella graduatoria dei redditi pro capite per lavoro dipendente, dove tutte le emiliane figurano nei primi otto posti (Istituto Tagliacarne).

Come si spiega una differenza salariale, di Rimini nei confronti delle province emiliane più dinamiche, così grande (a Parma, Modena, Reggio Emilia e Bologna si arriva a guadagnare oltre il 60 per cento in più) ?

Qui entrano in gioco le diverse realtà economiche regionali:più manifatturiera l’Emilia, un maggiore orientamento verso i servizi turistici le province romagnole, in particolare Rimini (dove sono attive intorno a 2000 imprese nel settore alloggi e 2,7 mila nei servizi alla ristorazione, di cui un migliaio di bar).

Una differenza, ricordando che nel turismo della costa lavorano più di trenta mila persone, in prevalenza donne, che si fa sentire su due aspetti importanti: periodo di lavoro breve (sono 130 le giornate in una stagione normale) e bassi salari (61 euro giornalieri, contro 96 euro della manifattura), tranquillamente associabili al lavoro povero. Nell’ipotesi di una giornata lavorativa di otto ore stiamo parlando di meno di 8 euro l’ora (dato che le ore sono normalmente di più, anche meno): in questo caso si tratta, per il turismo, di un costo orario lordo del lavoro inferiore a quello bulgaro e romeno, tra i più bassi d’Europa.

La sommatoria di lavoro breve (stagionale) e paghe basse comporta, alla fine dell’anno, un salario medio, per chi lavora nel turismo, che non raggiunge 7 mila euro, a fronte di 25 mila che paga la manifattura locale.

Un divario che contribuisce non poco ad abbassare la media salariale provinciale e spiega la distanza tra le retribuzioni delle province emiliane e romagnole.

Se dal lavoro nel turismo togliessimo la componente stagionale e a tempo determinato, che pesa per quattro quinti sul totale degli occupati nel settore, ci sarebbe un maggior equilibrio salariale ?  Relativamente. Perché restringendo il campo al solo lavoro a tempo indeterminato otteniamo nel turismo un salario annuale di 13 mila euro e nella manifattura di 28 mila euro. In pratica, a parità di condizioni contrattuali, nella manifattura si prende oltre il doppio dello stipendio di un lavoratore del turismo.

Il turismo, non solo a Rimini, è una attività ad alta intensità di lavoro, ma basso valore aggiunto, e questo spiega la differenza retributiva con la manifattura, per non parlare dei settori ad alta tecnologia.

Per avere una idea sintetica della distanza che separa le due attività si può aggiungere che mentre nel turismo riminese su trenta mila dipendenti solo 33 (avete letto bene: trentatre !) possono usufruire di un contratto con la qualifica di quadro o dirigente, nella manifattura, con la metà degli occupati del turismo, ad avere le stesse qualifiche sono 417 (Inps, 2021). E tutti sanno che a qualifiche più alte, corrispondono anche salari più elevati.

In conclusione, mentre la manifattura locale ha poco da invidiare, per competitività e retribuzioni, a quella emiliana, è il turismo il bacino del lavoro che fa scivolare in basso la media delle retribuzioni.

Si può mitigare questo gap agendo su due fronti: dando una forte spinta alla riqualificazione del patrimonio ricettivo, investendo su servizi di maggiore qualità (esempio: triplicare gli hotel a 4 e 5 stelle, che oggi sono appena l’8 per cento del totale, quando in località balneari concorrenti raggiungono almeno il 20 per cento); allungando il periodo lavorativo, quindi più alberghi aperti, con prodotti validi da offrire anche fuori dall’abituale stagione estiva.