Rimini: lavoro fermo

Se all’inizio dell’anno (2023), come certifica l’Istat, l’Italia è riuscita a raggiungere il massimo storico dell’occupazione (23 milioni di occupati), anche se resta, con la Grecia, in fondo alla classifica europea per tasso di occupazione (cioè quante persone lavorano ogni cento), 61 per cento contro una media per l’area euro del 69 per cento, in provincia di Rimini, al contrario, mancano i numeri per partecipare alla festa.

Non può partecipare perché a fine 2022 si ritrova con gli stessi occupati dell’anno prima (145 mila), nonostante la ripresa del turismo dopo la pandemia. Ma più preoccupante sono i 7 mila posti di lavoro in meno rispetto al tetto massimo raggiunto nel 2018 (152 mila). E pensare che nel frattempo sono entrati (2021) in provincia due nuovi, ancorché piccoli, comuni (Montecopiolo e Sassofeltrio).

Se può essere consolatorio, si sta trovando nella stessa situazione anche la provincia di Ravenna, ferma ai suoi 172 mila occupati, ma non Forlì-Cesena che da 173 mila occupati del 2021 è balzata a 177 mila nel 2022.

E’ vero che la disoccupazione riminese è diminuita, anzi è ai minimi dal 2010, ma come non notare il contemporaneo aumento degli inattivi, cioè di persone che pur avendo l’età non cercano lavoro e non studiano: dal 2019, pre covid, al 2022 sono salite da 58 a 64 mila unità. Numeri che proiettano Rimini al primo posto in Emilia Romagna per tasso di inattività (inattivi sul totale della popolazione): 30 per cento, nel 2022, a fronte del 27 per cento di Forlì-Cesena e 26 per cento di Ravenna. Quest’ultima allineata con la media regionale.

Dato che per rientrare tra le schiere dei disoccupati bisogna cercare attivamente lavoro, si smette di cercare e si diventa inattivi quando comincia a prevalere un senso di scoraggiamento. Insomma, quando vedo che è difficile trovare un lavoro, smetto persino di cercarlo.

A questo punto molti drizzeranno le orecchie e si chiederanno come è possibile che questo avvenga se molti albergatori, in un rituale che si ripete ad ogni inizio stagione, lamentano di non trovare personale. Può succedere per due motivi: a. essere senza lavoro non significa automaticamente avere i requisiti e le competenze per i posti vacanti (le persone andrebbero formate); b. il lavoro offerto non è considerato attrattivo, per il salario (basso) che viene pagato e per tutta una serie di diritti che si considerano negati (riposo settimanale, richiesta e pagamenti di straordinari, ecc.). Tanto è vero che chi rispetta i contratti di settore non incontra problemi a trovare personale.

Qualcun altro, si sente spesso, darà la colpa al reddito di cittadinanza, che entrando in competizione con un lavoro povero e pagato poco, non lo rende conveniente. Già questo dovrebbe, però, dire qualcosa: perché se il lavoro viene pagato come un sussidio, che per sua natura è una misura di emergenza, è chiaro che qualcosa non funziona sul fronte dell’offerta di lavoro di quel particolare settore.

Ma c’è un altro aspetto che rende poco plausibile questa spiegazione: ed è la diminuzione dei percettori del reddito di cittadinanza in provincia di Rimini, che sono scesi, i nuclei da 2.447 del 2019 a 1.998 del 2022, per un importo medio mensile assegnato di 515 euro, e le persone coinvolte  da 5.326 a 3.590 (Inps). 

In teoria gli inattivi (da poltrona, come qualcuno li definisce), visto il calo dei percettori del reddito, sarebbero dovuti diminuire, invece è accaduto il contrario. La realtà è sempre più complessa di tanti slogan facili.