Commercio: orari più flessibili, la ricetta per la ripresa

di Stefano Rossini

Il rapporto tra gli ipermercati riminesi e la città, tra i commercianti del centro storico e quelli del centro commerciale, i problemi e le possibili soluzioni… Abbiamo chiesto il parere di Richard Di Angelo, presidente provinciale di Confcommercio

Di Angelo, di ipermercati, nel territorio riminese, continuano ad aprirne. L’ultimo quello di Riccione. Qual è la posizione di Confcommercio?

“Secondo noi, gli ipermercati del territorio hanno un problema prima di tutto: la collocazione. Solitamente questi centri vengono realizzati ad almeno 15 chilometri dal centro storico, per permettere ad entrambe le realtà, grande e piccolo commercio, di lavorare bene, mentre i nostri si trovano praticamente alle porte delle città. Questo ha portato ad una vera e propria desertificazione dei centri cittadini”.

Problemi solo per i commercianti dei centri storici?

“No. La situazione è difficile anche per quei commercianti che lavorano all’interno di queste grandi strutture. Devono sottostare a troppe regole imposte dalla direzione: l’orario di apertura e chiusura, i giorni di riposo, il fatturato, il budget. Si perde un po’ il tratto peculiare della nostra professione che è proprio la libertà di gestione del lavoro”.

Insomma, solo problemi dagli ipermercati?

“Per noi ci sono soprattutto fattori negativi. Poi però è giusto dire le cose come stanno. Non si può negare che grazie a questi centri l’attività occupazionale sia in positivo. I posti di lavoro aumentano. Purtroppo però, dato che molte attività sono franchising nati in altre parti d’Italia o d’Europa, non sono mai attività genuinamente locali che nascono dal territorio”.

Proposte per arginare il problema?

“Noi commercianti del centro storico e di Marina centro, per quanto riguarda in particolare il comune di Rimini, partiamo un po’ svantaggiati, ma stiamo cercando di organizzarci. Bisogna però partire da un elemento nuovo. Anche il mondo del commercio, diciamo così, di vecchio stampo, si deve adeguare alle novità. Dobbiamo diversificare gli orari. Non devono più essere rigidi. Soprattutto la primavera, l’estate e in concomitanza con fiere ed eventi, non è sempre necessario che un negozio il pomeriggio apra alle 15 e chiuda alle 19. Può anche alzare la serranda alle 18 e stare aperto fino alle 23.

Un’altra cosa da fare è creare una passeggiata che sia un piacere per chi la percorre. Se non è bello e rilassante per molti, non vale neanche la pena venirci e di conseguenza fare acquisti. La città deve essere accogliente per chi la visita”.

Di fronte a queste esigenze anche la pedonalizzazione delle passeggiate diventa un interessante elemento di discussione che spesso invece divide i commercianti. Da un punto di vista concreto cosa state facendo?

“Stiamo lavorando ad alcuni progetti. E’ un po’ presto per parlarne, anche perché nostro interesse è quello di coinvolgere non solo i commercianti ma anche l’amministrazione. Senza l’intervento della politica locale non c’è nessuna possibilità di dare vita a qualcosa. E anche se tutti si riempiono la bocca di slogan, finora di concreto dalla politica è stato fatto poco. Noi vogliamo muoverci in fretta. Anche se ovviamente ora dobbiamo aspettare che dopo le elezioni si formino le nuove giunte e vengano designate le figure con cui relazionarsi”.

L’attuale stato di salute del commercio, qual è?

“Nel momento in cui calano gli stipendi e i consumi, il commercio è il primo settore che viene colpito e ne risente. Oggi ai commercianti si chiede molta sinergia, grande specializzazione, oppure semplicemente tanta massa critica. I numeri, per dirla alla buona. A questi problemi si aggiunge anche la mole impressionante di burocrazia, che non è solo un fastidio, come solitamente si pensa, ma anche un costo non indifferente. La situazione è difficile, come dimostra anche l’aumento del turn over. Secondo i dati della Camera di Commercio di Rimini, infatti, il numero delle attività è sostanzialmente lo stesso, solo che molte aprono e chiudono in fretta e altre prendono subito il loro posto. Non è un bel segnale per la nostra economia. Da un lato è vero che la liberalizzazione rende più facile l’apertura di un negozio, ma è un dato che non possiamo considerare positivo. E’ sintomatico della situazione”.