“Qui ci vogliono regole certe”

di Domenico Chiericozzi

 I tempi per una soluzione sono sempre più stretti e le novità introdotte dal “decreto legge sviluppo” recentemente varato dal Governo, nella parte a loro dedicata, non convince bagnini, titolari di bar e ristoranti che insistono sui terreni del demanio. Il 2015 è dietro l’angolo e tutte le concessioni scadranno. Nonostante il “diritto di superficie” per venti anni già accordato da Palazzo Chigi, il rischio per le concessioni di andare all’asta rimane. Inoltre nei dodici articoli del decreto non c’è traccia su come evitare la procedura d’infrazione già avviata dall’Ue nei confronti dell’Italia per il mancato recepimento della “Direttiva Bolkestein”. Le soluzioni giuridicamente possibili non sono tantissime, meglio sbrigarsi.

 Ricapitolando: la direttiva “della discordia”

La questione parte da lontano. Nel 2006 tutto l’impianto normativo italiano nel settore delle concessioni demaniali marittime ha dovuto fare i conti con la direttiva comunitaria 2006/123/CE nota come “direttiva Bolkestein”. Il provvedimento, in sostanza, intende eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri garantendo la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali previste, vale la pena ricordarlo, dal trattato fondativo della stessa Unione Europea (1957).

Fino ad ora il rinnovo delle concessioni è stato sostanzialmente “automatico”, una formalità. La legge nazionale, infatti, accordava al titolare una sorta di corsia di favore. Con le nuove regole, invece, chiunque a livello europeo potrà partecipare e subentrare perché le concessioni saranno periodicamente messe all’asta e ad aggiudicarsele sarà il miglior offerente. Un cambiamento radicale.

Il titolare della concessione demaniale, in cambio, paga allo Stato un canone, diventato più cha altro “famoso” per essere considerato irrisorio rispetto ai volumi d’affari realizzati dagli operatori. Con l’entrata in vigore del “decreto sviluppo” (Decreto-Legge 2011 n. 70 del 13 maggio 2011) l’art. 3 specifica che il canone, in futuro, dovrà essere “determinato dall’Agenzia del demanio sulla base dei valori di mercato”. Insomma, sembra proprio un’altra storia anche se “valori di mercato” può dire tutto o niente. Serviranno dei chiarimenti.

L’altra grossa novità è che, fermo restando il diritto libero e gratuito di accesso e fruizione della battigia anche ai fini di balneazione, si concede ai titolari delle concessioni il diritto di superficie per venti anni. Il diritto di superficie è un diritto molto simile alla proprietà privata. Tutto ciò ha creato parecchi malumori legati, in particolare, al rischio dell’impatto ambientale derivante dalle nuove costruzioni sugli arenili italiani, peraltro già piuttosto compromessi. Un orientamento in decisa controtendenza rispetto al passato.

L’Italia, contrariamente a quanto succede in diversi paesi europei, la direttiva “della discordia” non l’ha ancora applicata quindi è sotto procedura d’infrazione (procedura 2008/4908).

In sintesi. Da una parte abbiamo la normativa comunitaria che necessita adeguamenti, dall’altra il Governo italiano che cerca di “aggirare” la questione e gli operatori interessati non sempre coerenti. Negli ultimi due anni, per questi motivi, si è sentito un po’ di tutto. In realtà le soluzioni giuridicamente possibili non sono mai state moltissime. Sin dall’inizio. Provvedimenti legislativi regionali che intendano, in qualche modo derogare alla direttiva c.d. “Bolkestein”, sono state una non soluzione.  Lo dimostrano le pronunce di illegittimità da parte della Corte Costituzionale anche nei confronti dell’Emilia Romagna. Anche altri provvedimenti nazionali sono stati inefficaci perché non coerenti  con i principi comunitari. Pare  che nemmeno il “federalismo demaniale” sia in grado di contribuire in modo determinante a risolvere il problema.

 Le soluzioni possibili

L’unica via percorribile appare, ancora oggi, quella di fare una certa pressione nei confronti dell’Ue per apporre le dovute modifiche o, meglio ancora, escludere dall’applicazione della “direttiva servizi” il settore turistico-balneare e ricreativo nazionale per via delle sue peculiarità. In alternativa si potrebbe far valere il “rilevante settore di mercato delle concessioni di demanio marittimo” in Italia che, per quanto in deroga a quello comunitario, rimane rispettoso dei principi generali  dell’Unione. La leva potrebbe essere proprio la sentenza n. 180/2010 emessa dalla Corte Costituzionale sull’illegittimità costituzionale della legge regionale dell’Emilia Romagna (8/2009) che fa espressamente riferimento all’esistenza di un “mercato della gestione del demanio marittimo invitando l’Unione Europea a compiere i dovuti approfondimenti. La terza strada, ovviamente, dovrebbe essere quella di assecondare la direttiva europea. Con un meccanismo, ad esempio, che preveda le aste ma che conceda al proponente la possibilità di commisurare la durata della concessione all’entità degli investimenti previsti, dei progetti proposti, il tutto con la massima trasparenza per selezionare la migliore proposta sia da un punto di vista economico (il canone-prezzo di concessione che sarà poi incassato dall’Amministrazione locale) sia sulla qualità e la varietà dell’attività su criteri come “salute pubblica, politiche sociali, ambientali e della salvaguardia del patrimonio culturale” e di altri ancora collegati all’interesse generale.

 “A certe condizioni impossibile sopravvivere”

Due operatori bar nella zona del porto di Rimini chiedono l’anonimato. “Per quanto mi riguarda – dice il primo – è da tempo che vorrei tenere aperto tutto l’anno, sarei anche disposto a rinnovare la struttura, ma per farlo dovrei investire circa 200mila euro. Come potrei affrontare con serenità un investimento del genere in un contesto come l’attuale?”. E sui canoni: “Non è quello il problema” dice il giovane gestore, che ammette come fino ad oggi abbia pagato su 400 mq 1000 euro l’anno. “Ogni quattro anni – dice l’altro operatore – il Comune di Rimini ci chiede la planimetria. Da molto tempo non abbiamo fatto cambiamenti forse è per questo che non abbiamo avuto aumenti del canone. Ma qui in zona ci sono realtà che hanno fatto grandi cambiamenti strutturali. Non so se le due cose sono collegate, ma a loro sono arrivati aumenti dei canoni incredibili, in certi casi è passato da 7-8 mila euro all’anno a 150mila”.

Il sistema attuale non è corretto – racconta Saverio Valentini gestore del Rock Island al Porto di Rimini con altri tre soci –occorre maggiore equità sulla classificazione delle concessioni. Il locale è di 800 mq e siamo passati da un canone che fino al 2009 era pari a 8500 euro ad uno attuale pari a 110mila già nel 2010 con una retroattività di tre anni. Una situazione del genere è aziendalmente insostenibile. La proprietà sta valutando la situazione per cercare di porre rimedio a questa situazione che, pur non coinvolgendoci direttamente come gestori, se applicata verrebbe sicuramente ad incidere sull’affitto d’azienda. Abbiamo una grande passione per questo lavoro facciamo di tutto per rendere questo luogo attraente, ma a certe condizioni sarebbe impossibile sopravvivere. Tra l’altro noi lavoriamo pochissimo con i turisti, i nostri incassi dipendono no per il settanta per cento da riminesi”.

Regole, sì, ma chiare. “La situazione non potrà mai essere risolta senza che gli stabilimenti balneari siano considerati vere e proprie aziende – dice Daniele Muccioli, bagnino a Misano -. Abbiamo bisogno di regole certe sulla continuità della gestione, ma soprattutto chiare, per poter fare tutti gli investimenti più opportuni.”

Alla fine chi paga è sempre l’utente finale? Il problema per Renato Santi, bagnino a Riccione, è che se aumentano i canoni siamo costretti ad aumentare le tariffe con tutti i rischi che questo comporta per la competitività internazionale con paesi che hanno differenti sistemi fiscali.

Per Cesarino Romani, bagnino a Cattolica, la Bolkestein è vissuta molto male in generale dagli operatori. Il punto è decidere quale ruolo riconoscere alla categoria del bagnino” dice. Se gli è riconosciuto il merito di aver dato un contributo fondamentale allo sviluppo e alla tenuta del nostro sistema turistico, allora la direttiva europea va messa da parte. Gli enti pubblici in questo devono essere chiari. Non si può da una parte chiedere di partecipare ad un piano spiaggia e poi pensare a liberalizzare il settore, le due cose non possono coesistere”.