Capannoni (industriali) a prova di rinnovabili

I tetti di tanti capannoni industriali potrebbero avere un uso diverso da quello cui sono destinati ed  essere valorizzati, svolgendo una funzione utile per l’ambiente (producendo energia rinnovabile) e per i bilanci delle aziende (risparmiando i costi dell’energia e/o incassando il ricavo della vendita),  forse è una opportunità che molti si stanno lasciando sfuggire.

L’obiettivo dell’Europa del 20-20-20, da raggiungere entro il 2020, che vuol dire ridurre,  per quella data,  le emissioni dei gas serra del 20 per cento, migliorare l’efficienza energetica di un altro 20 per cento e produrre energia sostenibile per l’ultimo 20 per cento, è un richiamo e un impegno che interpella tutti, comprese le imprese e i Comuni.

L’argomento è stato al centro di un incontro dedicato alle gestione dell’energia (o meglio delle energie) nelle Aree industriali,  che ha avuto luogo di recente a San Giovanni in Marignano,  promosso da Europa Inform Consulting  con l’adesione dei Comuni dell’area, della Provincia di Rimini e la collaborazione di Marano Solar, azienda locale leader nel fotovoltaico.

Per l’occasione è stata presentata una indagine, la prima del genere, su come le aziende gestiscono il tema dell’energia e presentate alcune buone pratiche riguardanti l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni.  L’indagine, che ha coinvolto un gruppo di 62 aziende delle due Aree industriali di San Giovanni-Cattolica e San Clemente, ha rilevato che un buon 61 per cento di queste non ha ancora adottato nessuna misura di risparmio energetico, mentre il resto qualche azione l’ha presa. Per esempio,  più di una azienda su quattro ha messo i doppi vetri alle finestre e migliorato l’isolamento delle pareti esterne, una su cinque ha rifatto il tetto ed una su dieci ha eseguito anche lavori di coibentazione.

Ma quanti hanno installato i pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni ?  Meno di una azienda su sei (in valore assoluto nove). Certamente si può fare di più, perché se è vero che gli incentivi sono scesi, è anche vero che i prezzi dei pannelli sono calati e l’investimento si ripaga mediamente in una decina di anni, quando l’incentivo viene erogato per vent’anni e l’impianto può durare anche di più, continuando quindi a produrre energia per un tempo più lungo, anche se con una resa leggermente inferiore.

Tra chi non ha preso nessuna iniziativa  (53 aziende), una su quattro (14 intutto)  ci sta però pensando e questo potrebbe essere il momento buono, considerando che gli incentivi non dureranno per sempre.  Solo una azienda su62 hainvece installato un impianto di solare termico per la produzione di acqua  calda.  Anche questa è una opportunità, meno costosa del fotovoltaico, che potrebbe essere meglio approfittata, soprattutto da quanti hanno un discreto consumo d’acqua calda.

Tra le buone pratiche presentate spicca l’esperienza del Consorzio dell’Area artigianale di Viserba Monte (Rimini), illustrata da Fabrizio Moretti, Presidente nonché titolare del colorificio MP, dove sono state coinvolte 12 aziende, sulle 70 insediate, che hanno realizzato altrettanti impianti fotovoltaici per un investimento complessivo di 4,5 milioni di euro.

Altro caso esemplare, presentato da Giorgio Bruzzesi e Roberto Carollo,  è quello dell’azienda di abbigliamento AEFFE, che ha bonificato l’amianto che aveva sul tetto, circa 5 mila mq, e ricoperto i quattro quinti della superficie dei capannoni (10 mila mq) con pannelli fotovoltaici,  per una potenza installata di 564 kwp e una spesa di 3 milioni di euro.  Il ritorno dell’investimento è previsto in meno di dieci anni, mentre immediato (l’impianto è entrato in funzione in aprile del 2009) è stato il risparmio, d’inverno ma soprattutto d’estate, quando l’eternit  arroventava gli ambienti sottostanti.

Nel 2011 l’impianto fotovoltaico di AEFFE ha prodotto in totale di 612 MWh di energia, di cui tre quarti  impiegato direttamente per le necessità dell’azienda e il resto venduto al GSE (Gestore Servizi Energetici).  Secondo stime della stessa azienda, ripagato l’investimento  l’impianto avrà una resa netta intorno al 10 per cento della spesa.

L’ultimo caso, non per importanza, presentato è quello relativo all’impianto fotovoltaico del Centro Ippico di San Giovanni che, come ha esposto Roberto Giorgi, aveva  l’obiettivo di rendere la struttura autosufficiente dal punto di vista energetico.  Cosa che è stata conseguita realizzando un impianto di 478 kwp, al costo inferiore a 3 mila euro per kwp, entrato in funzione alla fine di aprile 2011.

Due le note dolenti lamentate da tutti gli interventi: la burocrazia per il rilascio dei permessi giudicata da tutti eccessiva, e soprattutto diversa da comune a comune;  l’attesa, tra sei e otto mesi, per ottenere  il primo pagamento da parte del GSE. Sono invece rispettate le scadenze mensili una volta entrato a regime l’intero sistema.

BOX

Quanto costano e quanto rendono le rinnovabili

In Italia, nel 2011,  la produzione da energie pulite, proveniente da oltre 400 mila impianti diffusi sul territorio, ha superato il 26 per cento di contribu­to ai consumi elettrici e il 14 per cento di quelli complessivi.

Nel fotovoltaico, che vuol dire ricavare energia dal sole, cioè a costo zero, a parte l’impianto, se l’Italia fosse stata lungimirante saremmo dovuti essere i primi al mondo. Invece non è così (in Germania, che punta al 47 per di energia elettrica da fonti rinnovabili per il 2020, il settore conta 320 mila occupati). Molti componenti li importiamo dall’estero, perché non c’è stata una politica energetico-industriale  favorevole alla creazione della filiera  dei componenti (pannelli, inverter, ecc.).  In questa situazione gli incentivi hanno dato una mano, ma la loro continua messa in discussione, senza differenza tra governi tecnici e politici, spinge nella direzione esattamente contraria.

L’ultima sfida, o appiglio, per frenare le rinnovabili sono i costi degli incentivi, da qualcuno giudicati troppo alti.  Si parla di 6 miliardi di euro di costo annuo (per trovarli in bolletta bisogna guardare alla componente A3 “altri proventi e oneri”) che rappresenta però appena il 7-10 per cento del totale di una bolletta, mentre al costo petrolio e del gas, la materia prima delle centrali termo elettriche, va ben il 60-70 per cento.  Agli incentivi per il fotovoltaico sono destinati il 70 per cento della componente A3, cioè il 70 per cento del 7 per cento, mentre il restante 30 per cento va al famigerato Cip6/92, un onere da 35 miliardi di euro che gli utenti pagano dal 1992, per il qualela Commissione Europea, nel 2004, aprì una procedura di infrazione contro l’Italia perché non si poteva spacciare l’incenerimento dei rifiuti come produzione di energia rinnovabile, quindi meritevole degli incentivi pubblici (sono gli incentivi che prende l’impianto di Raibano di Coriano per ricavare energia dalla combustione dei rifiuti).

Ma in bolletta si pagano anche 4 miliardi circa per la messa in sicurezza dei siti nucleari, dismessi da qualche decennio ma non ancora completamente smantellati (le scorie ancora non si sa dove metterle).

Oggi le bollette rincarano perché aumenta il prezzo del petrolio e del gas, ma le rinnovabili vanno proprio nella direzione di ridurre questa dipendenza, quindi di limitare gli effetti del caro-petrolio, riducendone l’importazione (con benefici anche per la bilancia commerciale, perché l’Italia importa il 97 per cento di petrolio, gas e carbone, cioè delle fonti fossili che consuma). Un vantaggio evidente,  cui si aggiunge la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra,  e la creazione di nuove attività e posti di lavoro, soprattutto per i giovani (sono oltre cento mila i posti di lavoro direttamente collegabili al fotovoltaico).