Sistemi produttivi e lavoro: in Romagna profili meno specializzati

La diversità di sistemi produttivi, con i servizi annessi, nelle due sub-regioni non produce tanto differenze quantitative, quanto qualitative.

Degli oltre 2 milioni di occupati regionali, a fine 2018, la Romagna contribuisce con 500 mila unità, cioè con il 25 %.  E’ un po’ più alta la quota dei disoccupati:  34 mila su 124 mila, che fa il 27 % del totale regionale.

Numeri che portano il tasso di occupazione della Romagna, le persone che lavorano ogni cento, ad essere solo un punto più basso della media regionale (68 nelle province della Romagna, 69  in Emilia Romagna).  Una differenza che viene pagata soprattutto dalla minore occupazione femminile.

In verità, nel recente passato la distanza del tasso di occupazione femminile romagnolo dalla media regionale era ben più consistente (nel 2017, quello di Rimini era – 5,3 %), poi nel 2018 i valori si sono avvicinati, grazie, soprattutto, alla diffusione di tanti lavori brevi e precari. Che fanno aumentare gli occupati, ma con lavori che troppo spesso non danno un reddito per vivere.

Ma pur con tassi di occupazione grosso modo allineati, che veicola l’idea di una quasi uguaglianza delle opportunità, è nella composizione dell’occupazione che emerge il sistema produttivo che li genera.      

In Emilia, stando ai dati Inps, che ha il monitoraggio dei dipendenti  per cui si pagano contributi, la presenza, nella aziende, di quadri, dirigenti e profili professionali più elevati, è decisamente più numerosa che in Romagna, dove, al contrario, prevalgono le qualifiche operaie, quasi il 60 per cento degli occupati, nonostante la manifattura goda di un insediamento ridotto.

Un dato che esce confermato anche dai rapporti di lavoro dipendente attivati negli ultimi anni, ed elaborati dall’Agenzia regionale per il lavoro, da cui emerge con chiarezza una domanda, per l’Emilia, di dirigenti, responsabili d’azienda, professioni intellettuali, scientifiche, di elevata specializzazione e tecniche, quasi doppia della Romagna.               

Due esempi: a Bologna e Modena, le professioni scientifiche di elevata specializzazione coprono  rispettivamente  l’11,5 e il 14,5 % dei rapporti di lavoro attivati nel 2018, quando a Rimini sono solo il 6,5 %. Sempre dietro le città emiliane, ma va un po’ meglio per Forlì-Cesena e Ravenna.

Un’altra categoria, le professioni tecniche, sempre a Bologna e Modena, rappresentano il 9,4 e il 7,5 % dei rapporti attivati, quando nelle tre province della Romagna non arrivano al 5 %.  

Per essere più chiari: se Rimini offrisse, alle professioni scientifiche di elevata specializzazione, le stesse opportunità di Modena, i rapporti di lavoro attivati, nel 2018, in questo specifico gruppo professionale,  passerebbero dagli attuali circa 6 mila, a quasi 14 mila. Sarebbero, cioè, più del doppio.  Che vuol dire maggiori e migliori opportunità d’impiego.  

Un deficit che spiega molto l’emigrazione all’estero di tanti giovani, in un territorio dove cresce il divario tra laureati e domanda delle imprese.

Redditi e depositi bancari: il conto finale

Una idea finale della bontà di un sistema economico la possiamo ricavare anche guardando ai redditi dichiarati e al conto in banca dei residenti, dove pure il nero in qualche modo dovrebbe confluire.

Secondo alcuni dati finanziari delle province italiane pubblicati dal Sole 24 Ore (il 18 novembre 2019), nell’anno d’imposta 2017  il reddito complessivo pro capite dichiarato in Emilia è compreso tra 17 mila euro di Reggio Emilia e 19 mila di Bologna, al vertice regionale e seconda in Italia dopo Milano (con 21 mila euro).   

In Romagna, lo stesso reddito pro capite dichiarato varia invece tra 14 mila euro di Rimini, l’ultima in regione, e circa 16 mila di Ravenna. La differenza tra la prima in regione, Bologna, e l’ultima, Rimini, è di poco meno di 5 mila euro. Quasi un quarto in meno.

Quello che non è stato dichiarato, nell’ipotesi di ricavi irregolari, dovrebbe comunque comparire in qualche conto bancario. Ma ad osservare i depositi bancari pro capite la realtà non pare cambiare  molto.

I depositi per residente di un emiliano sono compresi tra 28 mila euro di Reggio Emilia e 35 mila di Bologna, di nuovo al vertice regionale. Quelli dei romagnoli tra  23 mila euro di Ravenna e poco meno di 28 mila euro a Rimini. In mezzo Forlì-Cesena con 26 mila euro di depositi per abitante. 

In questo caso Rimini smette di essere l’ultima e diventa la prima in Romagna,  ma sempre dietro ai depositi emiliani.  

Che fare ?

In Romagna non mancano le imprese ad alto valore aggiunto, ma non bastano. Intuitivamente la ricetta sarebbe anche semplice: potenziare o riempire i vuoti di tutto quello che attualmente costituisce una  debolezza per la crescita e lo sviluppo della Romagna.

Partiamo dal lavoro, che dovrebbe diventare la preoccupazione principale: se le occasioni per conseguire un buon lavoro sono ridotte, bisogna rafforzare questo aspetto, favorendo e supportando le imprese che possono fare da volano al cambiamento.  Diventare cioè trainanti di uno sviluppo più dinamico.

Un governo del mercato del lavoro e della formazione locale, con maggiore attenzione alla componente tecnica, di cui c’è maggiore carenza di figure, potrebbe essere il primo passo.   

Un secondo volano dovrebbe venire da nuovi investimenti, anche esteri (che adesso preferiscono l’Emilia). Per questo vanno pensati “tech hubs” (agglomerati tecnologici specializzati), dove far confluire le migliori energie. In genere questi agglomerati si auto rafforzano, perché lavoratori produttivi attraggono altri lavoratori produttivi, ricerca altra ricerca, ecc. Ciascuna provincia dovrebbe fare perno sulle sue specializzazioni, ma essere disponibile ad aprirsi a nuovi settori di produzione. Perché i vantaggi competitivi, oggi, si possono costruire. Investendo in ricerca, formazione di alto livello, infrastrutture materiali e digitali, start up e mettendo a disposizioni finanziamenti. Tutto quello che serve a creare un ecosistema competitivo e attrattivo.  Come ha fatto l’Emilia. Basterebbe copiare la modalità.

Temi importanti di cui la campagna elettorale per le regionali dovrebbe discutere e le forze politiche offrire risposte ragionate e realistiche.