Sui finanziamenti alla riqualificazione delle strutture turistiche

La Spagna, le sue regioni e località marine, a livello turistico fa molto  meglio dell’Italia, ma anche dell’Emilia Romagna e di Rimini.  Non è un caso che sia al primo posto, nel mondo, per competitività del turismo, dove  il nostro Paese si classifica  in ottava posizione.  Le ragioni di questo successo sono tante, ma forse la maggiore è che, sia il Pubblico che il Privato, investono di più. Nelle strutture fisiche (hardware), ma soprattutto, ultimamente, nella componente digitale (software).  Questo spiega molto dei successi del loro turismo.  E delle difficoltà del nostro, perché nonostante le enfasi estive, la realtà è che il movimento turistico dell’Emilia Romagna e di Rimini è piuttosto piatto, almeno  guardando ai numeri  degli ultimi decenni. Tradotto: i pernottamenti, che sono quelli che contano ai fini dei fatturati, sia in Regione che in Romagna a fine del 2016 erano grosso modo gli stessi del Duemila.  Eppure il turismo, nel mondo, è da molti anni che cresce al ritmo del 4-5 per cento l’anno.  Una ragione, o forse più d’una, di questo diverso andamento ci deve pur essere.

Quella degli investimenti, come abbiamo visto, è una di queste. Tanto che, come si potrà leggere nel volume di prossima uscita “Turismo 2030: il sistema Rimini nella competizione globale”, curato  da TRE, già nel 2015, in una indagine realizzata nell’ambito di un progetto europeo, venne fuori che la metà delle imprese turistiche locali intervistate non aveva introdotto nessuna innovazione negli ultimi tre anni.  Situazione che, vista la rapidità dei cambiamenti, per alcuni aspetti equivale a decenni.

Incentivare, quindi, gli investimenti nella riqualificazione delle strutture ricettive, come ha fatto la Regione Emilia Romagna con un bando in cui ha messo a disposizione circa 10 milioni di euro, e  che si è chiuso nel settembre scorso,  è più che ragionevole.

Ma restano aperti due questioni: l’entità delle risorse messe in campo e la direzione di marcia.

Veniamo al primo aspetto. Con quella cifra si sono finanziati, erogando fino ad un massimo di 200 mila euro per domanda accolta, 60 strutture ricettive in tutta l’Emilia Romagna, di cui  22 in provincia di Rimini e 43 in Romagna. Rappresentano appena lo 0,8 per cento delle strutture ricettive (alberghiere ed extra) della provincia di Rimini (2.727 a fine 2016) e lo 0,7 per cento di quelle romagnole (che in tutto sono 5.523).

E’ abbastanza evidente che l’incidenza, se vogliamo la spinta propulsiva ad innovare, sarà minima e poco influente.  Il problema non pare essere nuovo se già negli anni Ottanta del secolo scorso nel libro “Rimini: la capitale europea del turismo”, edito dall’ex Azienda di Soggiorno di Rimini, si  avanzavano forti riserve su questo tipo di finanziamenti, definiti  “a pioggia”, ma soprattutto poco efficaci.  Sono passati trent’anni.

Il secondo aspetto, non meno importante, riguarda l’obiettivo strategico  che questo genere di finanziamenti intende perseguire. Certamente l’innovazione: ma per andare dove ?  Per esempio, dopo gli scarsi investimenti, una seconda criticità  del nostro turismo riguarda la frammentazione degli esercizi ricettivi.  L’Emilia Romagna dispone di oltre 10 mila strutture ricettive, quando la Regione della Catalogna, in Spagna, ne ha meno di 7 mila, per il doppio dei pernottamenti (38 milioni la nostra a fronte degli 80 milioni catalani ).  Gradi di riempimento e redditività ovviamente diversi.  Non sarebbe, allora, più utile concentrare le scarse risorse disponibili per creare  strutture ricettive o poli attrattori di maggiore dimensione, che possono investire di più ed interloquire meglio con i giganti delle piattaforme on line, che oramai intermediano i due terzi del movimento turistico europeo ?

In fondo, se questo genere di finanziamenti, e non solo, non hanno prodotto grandi risultati , una riflessione sugli strumenti più efficaci per tornare competitivi potrebbe essere utile.