Il commercio e il suo futuro

A conclusione della  mostra fotografica  “Riflessi e riflessioni”  sul commercio riminese si è svolto, nello spazio FAR  in Piazza Cavour di Rimini,  un incontro dedicato al piccolo commercio, che ha affrontato alcuni dei temi che più stanno a cuore agli operatori: dagli effetti della crisi sulle attività, alla pressione del fisco, per arrivare alla burocrazia.

Effettivamente la crisi, che ha ridotto i redditi disponibili delle famiglie, qualche conseguenza sul commercio locale l’ha avuta, tanto da costringere, dal 2010 al primo trimestre 2017, qualche centinaio di attività a chiudere: esattamente 356.  In questo Rimini non è isolata, perché un fenomeno simile si riscontra anche nelle altre province della Romagna e d’Italia.

Qualcuno potrà pensare che la chiusura dei piccoli ha avvantaggiato la grande distribuzione, ma non è vero, perché anche le grosse catene commerciali soffrono, tanto che le grandi strutture di vendita con superficie superiore a 2.500 mq si sono ridotti, a Rimini, da 8 del 2015 a 3 di oggi.

Il motivo è piuttosto intuibile: se non ci sono soldi, non ce n’è per nessuno. Ragione per cui stona un po’ l’apertura di nuovi grandi spazi commerciali, che già da un decennio sono in crisi dappertutto, a cominciare dagli Stati Uniti (una inchiesta del New York Time è arrivata alla conclusione che in tempi brevi ne chiuderanno 400 degli oltre 1000 grandi centri).  Non solo per una questione di mercato, ma anche socio-demografica: la chiusura delle attività nelle città crea dei veri e propri deserti urbano-sociali, dove è più facile che prosperi degrado e micro criminalità. Tanto che la Giunta provinciale di Trento ha deciso di vietare nuove aperture. Se aggiungiamo che nel futuro prossimo ci saranno sempre più anziani (oggi gli ultra sessantacinquenni rappresentano un residente provinciale su cinque, ma nel 2030 facilmente arriveranno ad uno su quattro), che non potranno prendere sempre la macchina per andare a fare la spesa, come richiedono i grossi centri commerciali, la misura adottata dal Trento è più che ragionevole (a parte il risparmio di territorio).

Ma anche il commercio, per restare competitivo, deve aggiornarsi: è stato calcolato che il 18 per cento del commercio di Barcellona dipende dal turismo di quella città. A Rimini, anche se non ci sono studi al riguardo, non sarà troppo diverso. Però al visitatore va facilitata la conoscenza dei negozi più caratteristici, per storia, stile, articoli di moda, ecc.  Questo va fatto inventandosi qualche applicazione digitale (una app) facilmente scaricabile su uno smartphone ed aprendo un dialogo con gli albergatori che devono fornirla ai propri clienti. Avviene già nelle città straniere più turistiche. Poi c’è tutto il tema delle vendite on line, che può aprire nuovi sbocchi di mercato, se solo l’Italia si decidesse d’investire di  più in internet veloce. Per fortuna lo sta facendo la Regione Emilia Romagna.

Tutte cose che vanno fatte, ma che nessuna piccola, ma anche media, attività può fare da sola. E pensare che, oggi, un sito internet possa risolvere il problema, vuol dire  partire già col piede sbagliato, perché nel mare della rete nessuno vi noterà.  Ci vuole ben altro, e soprattutto investimenti importanti.  Qui torna il tema del gioco di squadra e di un “piano industriale” per il turismo proiettato in una prospettiva di medio-lungo periodo che al momento tutti ritengono che manchi, divenendo perfino difficile individuare chi possa svolgerlo.  Eliminate, di fatto, le Province, che potevano avere un orizzonte  provinciale, si dovrà pensare a qualcosa di sostitutivo.  Piuttosto in fretta, perché il mondo non aspetta (ricordiamo che il turismo di Rimini fa oggi gli stessi numeri di inizio secolo).