La crisi obbliga tutti ad essere un po’ più aperti e cercare, dove possibile, nuove opportunità di fare impresa e creare lavoro. Non di rado però la cultura passa come un’attività bella e interessante, ma praticamente superflua e la prima ad essere tagliata quando i bilanci non sono floridi. Cosa che ultimamente avviene abbastanza di frequente. Ma è vero tutto il contrario.
L’ultimo rapporto 2016 “Io sono cultura” della Fondazione Symbola e di Unioncamere, con dati 2015, scrive che all’insieme del Sistema Produttivo Culturale e Creativo nazionale (che comprende: industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive e produzioni creative-driven) si deve il 6,1% della ricchezza prodotta in Italia, che corrisponde a qualcosa come 89,7 miliardi di euro. Tra i settori primeggiano, per produzione di valore aggiunto: libri ed editoria, videogiochi e software, film, video e radio-tv, rappresentazioni artistiche, convegni e fiere.
Ma non finisce qui: perché la cultura, prosegue il Rapporto, ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,7 miliardi, quindi, ne “stimolano” altri 160, per arrivare a 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, che corrisponde al 17% del valore aggiunto nazionale. Tra i maggiori beneficiari di questo effetto volano c’è il turismo.
Infatti, più di un terzo (il 37,5%) della spesa turistica nazionale è attivata proprio dalla cultura (36,6 % in Emilia Romagna).
Quando si parla di cultura in genere si pensa quasi esclusivamente alle città d’arte, ma non è proprio così. Perché fatto cento la spesa turistica attivata dal Sistema produttivo culturale e ricreativo nazionale, 25 vanno alle città d’arte, 21 alle località marine, 14 a quelle montane e 4 alle località collinari. Mare e cultura non sono quindi opzioni alternative.
Tanto è vero che se Roma, con 2,9 miliardi di euro, è in testa, in Italia, per la spesa turistica attivata dal sistema culturale, la provincia di Rimini (dove pesa molto spettacolo e divertimento, più che visite a monumenti e musei) è settima con 828 milioni, prima di Firenze che si ferma a 817 milioni di euro. Bologna, che pure negli ultimi anni ha aumentato i suoi visitatori, non figura nelle prime venti province.
Poi, oltre al turismo, c’è il mondo dell’agroalimentare, dove cultura e cibo cementano un’alleanza tutt’altro che secondaria. Tanto che in Spagna, nel 2016, le visite ai musei e alle case vinicole (percorsi del vino…equivalenti alle nostre Strade dei vini e dei sapori) sono crescite del 21 %, con un aumento del volume d’affari dell’11 % sull’anno prima.
Il sistema culturale italiano allargato, senza considerare i posti di lavoro attivati negli altri segmenti dell’economia, dà lavoro a 1,5 milioni di persone, pari al 6,1 % del totale degli occupati in Italia.
L’ Emilia Romagna contribuisce al 9 % circa sia del valore aggiunto culturale nazionale, che dell’occupazione generata.
Purtroppo, un po’ sulla scia di una economia nazionale col freno tirato, nell’ultimo quinquennio, valore aggiunto e posti di lavoro della cultura sono aumentati appena di uno zero virgola (ma è avvenuto lo stesso in Europa, quando non sono diminuiti) .
Tra i settori nazionali per incremento di valore aggiunto sono andati meglio, nel 2015, il design (+10,8%), i videogiochi e il software (+3,7%) e la musica (+3%).
In Europa, la stessa cultura rappresenta il 5 % del pil, oltre un milione di imprese e 6 milioni di occupati.
Con qualche differenza, le province della Romagna (Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna…leggermente più indietro) sono grosso modo in linea con il dato regionale e nazionale, ma si potrebbe fare molto di più, soprattutto pensando che il 60 % degli occupati nella cultura, in Europa, in genere sono laureati: i posti di lavoro di cui questo territorio ha particolare bisogno, cominciando proprio dal turismo.
Cultura e turismo graduatoria delle province