Occupazione: cresce in Emilia, cala in Romagna

Se per l’intera regione Emilia Romagna la ripresa dell’occupazione, nel 2016, è una buona notizia, non accade la stessa cosa in Romagna dove, al contrario, di posti di lavoro continuano a diminuire, soprattutto a Forlì-Cesena e Ravenna, mentre una risalita è segnalata per Rimini.
Il divario tra Emilia e Romagna, mascherato spesso dai valori totali, diventa ancora più marcato se come periodo di osservazione, in luogo dell’ultimo anno, si prendono gli ultimi sei anni (2010-2016). In questo arco di tempo Forlì-Cesena e Ravenna hanno perso sette mila occupati, solo parzialmente compensati dai quattro mila guadagnati da Rimini. In sintesi: dallo scoppio della crisi il saldo occupazionale permane ancora negativo in Romagna, mentre volge al positivo per qualche decina di migliaia (33 mila) in Emilia. In buona sostanza, mentre in Emilia ci sono aziende che non trovano personale (Philip Morris di Crespellano), in Romagna ci persone che non trovano aziende disposte ad assumerle. Regione unica, l’Emilia Romagna, ma opportunità diverse.

Qualcosa potrebbe cambiare (ma il condizionale è d’obbligo) nel 2017, perché secondo le nuove previsioni dell’indagine Excelsior relative al primo trimestre, considerando ingressi ed uscite dal lavoro, a fine del periodo ci sarebbe un saldo positivo, cioè più assunzioni che dimissioni, di un paio di migliaia di unità a Ravenna, circa un migliaio a Forlì-Cesena e solo un centinaio per Rimini. Che in questo caso si posiziona ben ultima.
Un ruolo chiave nelle nuove assunzioni viene svolto dai servizi, compresi quelli turistici, ma anche dalla manifattura, in particolare a Forlì-Cesena e Ravenna. Domina ancora, nonostante le riforme messe in campo, il tempo determinato e solo per una assunzione su cinque, meno a Rimini, è previsto il tempo indeterminato. La laurea è invece richiesta per una assunzione su dieci a Rimini (ma meno di una su cento nel turismo) e per una ogni sei nel resto della Romagna.

Il Rapporto giovani 2017 dell’Istituto Toniolo scrive che il 92 per cento degli intervistati dichiara di non essere riuscito a rendersi autonomo dalla famiglia, come avrebbe desiderato, principalmente per mancanza di lavoro, cioè di un reddito autonomo. Situazione ancora più difficile per i tanti giovani che non studiano e non lavorano. Basti pensare, prosegue il Rapporto, che oltre i due terzi dei giovani italiani lavorerebbe all’estero, con una percentuale più elevata rispetto ai coetanei delle altre nazioni.

Il lavoro, quindi, rimane centrale in Italia, in Emilia Romagna, ma ancora di più in Romagna. Inutile aggiungere che se questa situazione di disparità intraregionale dovesse continuare, Regione e territori interessati dovrebbero cominciare a pensare a politiche meglio orientate e meno generali.
Per cominciare però a dare risposte un po’ più attive, i Centri per l’impiego, certamente indeboliti dopo la fallita abolizione delle province, andrebbero potenziati e messi in grado di favorire politiche per il lavoro più dinamiche, come previsto anche dal Patto per il lavoro siglato dalla Regione. Non basta, ma è un primo passo, perché poi sono le aziende a creare lavoro. Allora va anche ricordato che in Romagna, dal 2010 a fine 2016, sono andate perse oltre sette mila imprese. Così si spiega la perdita di tanti posti di lavoro.