Trasporto Rapido Costiero: il contesto

di Alberto Rossini

L’arrivo dell’alta velocità ha cambiato l’Italia, così come 150 anni prima la nascita della ferrovia aveva ridefinito i parametri dello spazio e del tempo del nuovo Stato unitario.

Oggi le principali città del nord sono più vicine ed i collegamenti più facili. Anche se il pendolarismo dei lavoratori e degli studenti non ne ha quasi mai beneficiato e tutto il sud, tranne Napoli, è fuori dalla nuova rete di RFI.

E’ vero del resto che i passeggeri sono aumentati, di qualche punto percentuale, anche per effetto della crisi, e che ormai, nelle medie distanze il treno batte l’aereo per tempi e comodità di viaggio, considerando che tutte le principali stazioni sono al centro della città.

Il sistema ferroviario, inoltre, dovrebbe essere destinatario di importanti risorse destinate alla mobilità dal 2014 al 2020, attraverso la nuova programmazione dei fondi strutturali europei. Anche se in Italia pochi sembrano guardare in questa direzione, che vuol dire soprattutto programmare il futuro e pianificare il territorio, fuori dall’emergenza e dalla fretta del momento.

Occorre tenere presente tale scenario per formulare un giudizio complessivo sul TRC, opera contestata da più parti e per diversi motivi. Certamente non aiuta il fatto che l’opera sia in ballo dalla fine degli anni ’90 e che sconti una sorta di comunicazione debole e poco chiara. Per cui ancora oggi, a lavori in corso, molti non sanno se il TRC (trasporto rapido costiero) sia un mezzo che si muove su binario o su gomma, come in effetti è.

Altri rimproverano la scarsa pianificazione di questa scelta, ma dimenticano che è vero esattamente il contrario, poiché è prevista dal Piano Regionale delle Infrastrutture e Trasporti, dal PTCP della Provincia e dalla Legge Obiettivo.

Il punto essenziale, però, è un altro ed è connesso al tema dell’AV cui accennavo. Nel senso che nei prossimi anni avremmo di fronte due questioni da affrontare, per quanto concerne il trasporto pubblico locale (TPL). Una è la migliore gestione del servizio del TPL, i cui utenti peraltro sono in crescita, tenendo sotto controllo i costi, perché i trasferimenti statali sono in costante diminuzione. Quindi bisognerà ridurre i km percorsi, tagliare qualche linea, e diminuire la frequenza delle corse, scegliendo le direttrici più frequentate e assicurando i servizi indispensabili, senza alzare troppo le tariffe.

Insomma, serve un ridisegno complessivo della rete mentre finora è avvenuto un progressivo aggiustamento, ma mai un radicale ripensamento dell’insieme della rete.

L’altro punto essenziale è  che sempre di più la stazione di Rimini sarà il punto di snodo di arrivi e partenze della rete ferroviaria. Questo è il senso delle trasformazioni portate dall’alta velocità, sia con Trenitalia sia con NTV, e ciò nonostante che a Rimini non arrivi l’infrastruttura vera e propria, ma solo i treni dedicati all’AV, Freccia Rossa e Italo.

Chi arriva a Rimini da Milano impiegando due ore (125 minuti) non può metterci 43 minuti, minino, per spostarsi dalla stazione di Rimini a Riccione. Analogo ragionamento va fatto per Bellaria Igea Marina o Cattolica. Dobbiamo avere un trasporto pubblico che abbia funzioni di ridistribuzione dei flussi, il cui punto centrale è la stazione di Rimini che deve diventare un vero punto strategico dell’intermodalità, proponendo e ospitando bus, bike sharing, car sharing e pullman provenienti dal resto d’Italia e dell’Europa.

Al di là delle questioni legate all’efficientamento del TPL e alla migliore gestione possibile delle aziende dei trasporti e delle authority di controllo, mi pare che occorra discutere di questo futuro assetto. Dobbiamo guardare oltre Rimini, all’evoluzione dell’aeroporto, ai collegamenti con le altre città che diventano assolutamente necessari e alle connessioni, oggi davvero scarse, con Ravenna, Ferrara e Venezia.

L’Europa potrebbe metterci i soldi, noi, i territori, dobbiamo metterci le idee. Forse può essere la volta buona…

 

BOX

Il fiasco  del nuovo tram di Edimburgo

Finalmente, scriveva The Guardian del giugno scorso, dopo essere costato il doppio del previsto (non capita solo in Italia!) è entrata in funzione la nuova linea di tram della città scozzese di Edimburgo. Ma la buona notizia finisce qui, perché il resto dell’articolo è una lunga sequela di errori commessi.

Il tram, scrive il giornale, è una componente importante di un sistema di trasporto urbano, ma solo se il sistema lavora come un tutto unitario. Le città che vogliono incentivare l’uso del  tram devono porsi anche obiettivi seri di riduzione del traffico delle auto e di aumento degli spostamenti con le bici, a piedi e con le altre modalità di trasporto pubblico.  Pare che a Edimburgo questa visione non ci sia stata. E per dimostrare che questa visione sia invece assolutamente necessaria si citano i casi di città come Vienna, Friburgo, Brema e Zurigo, dove il potenziamento del trasporto pubblico è stato accompagnato da una vigorosa campagna per convincere il pubblico a lasciare l’auto a casa.

Un lavoro di un esperto australiano, tale Jeff  Kenworthy, ha dimostrato, esaminando più di 40 città nel mondo, che tante di loro marciano molto bene con poche auto, mentre altre operano con poca efficienza nonostante il gran numero di spostamenti in auto. Insomma, l’uso dell’auto è tutt’altro che un indicatore di efficienza urbana.

Però, questo è importante, la riduzione dei viaggi in auto non si improvvisa e quasi sempre è il risultato di lunghi anni di politiche per la mobilità orientate a promuovere forme alternative, come camminare o andare in bici, che hanno bisogno di infrastrutture adeguate. Ma anche di scelte urbanistiche che sappiano resistere ai fenomeni di diffusione urbana (allargamento delle aree di costruzione) e facendo in modo che le nuove costruzioni siano vicine alle linee di trasporto pubblico.

Pensare alla mobilità in forma sistemica vuol dire creare una rete che collega le zone residenziali con i luoghi di lavoro, le scuole, gli ospedali, il tempo libero, ecc.,  sette giorni su sette. Le bici devono poter essere trasportate sui tram, come avviene in città tipo Basilea, Francoforte e Kassel.

 

A Edimburgo tutto questo è mancato ed il risultato è stato che pur avendo investito tanto denaro (più di 800 milioni di euro) in una nuova linea di tram che collega l’aeroporto con il centro città, le abitudini dei residenti in fatto di mobilità non stanno cambiando. In sintesi: un’opera, per quanto moderna e costosa, non serve se non è inserita in una pianificazione più ampia.