Che aria tira in Riviera

di Mirco Paganelli

Dal 2006 Rimini ha più volte doppiato il limite consentito di giorni all’anno con troppe polveri sottili emesse. Un totale di 2 mesi all’anno con eccessi di smog. Eppure nel 2012, per 9 mesi e mezzo, l’aria è stata classificata come “buona” o “accettabile”, con tanto di medaglia d’oro regionale per qualità. Parallelamente si consumano ogni anno 800.000 tonnellate equivalenti di petrolio a causa di trasporto, abitazioni e settori economici. Vere e proprie iniezioni atmosferiche di anidride carbonica (CO2), causa dell’effetto serra globale. L’Ue ha le idee chiare per il 2020: ridurre queste emissioni del 20%. Due argomenti distinti – la salubrità dell’aria e il surriscaldamento globale – che rispondono alla voce di “inquinamento” e che una mecca del turismo come Rimini, con l’intento di vendere benessere e svago, non può lasciare indietro. Qual è la situazione reale e come si stanno adattando i Comuni alle direttive europee?

Qualità dell’aria

L’inverno è il periodo più critico per il PM10. Nel solo dicembre 2013 le polveri sottili su Rimini hanno superato il limite di legge per 19 giorni di fila (67 in tutto l’anno), con punte superiori ai 100 μg/m3 (il limite è di 50!). Nei primi quattro mesi di quest’anno i giorni “fumosi” sono stati già 28. Dall’altro lato, però, la media annua di PM10 (35 μg/m3) è cinque punti sotto il limite consentito e in linea con la media regionale e nazionale. (Si pensi che a Peshawar, in Pakistan, la cifra ha raggiunto quota 540!). Sia i giorni con troppo PM10 che la media annua di PM10 hanno registrato nell’ultimo quinquennio un trend di crescita. Solo il primo, però, “riveste un aspetto di forte criticità” secondo il dirigente di Arpa-Rimini Marco Zamagni. Di traverso ci si mette pure l’ozono, anch’esso caratterizzato da superamenti del valore limite in aumento, in particolare in estate e nelle stazioni di San Clemente e Mondaino. Non consola il fatto che di tutta la riviera romagnola, il tratto riminese sia quello con meno eccessi.

La situazione generale, però, “non è drammatica” secondo il Prof. Ivano Vassura, docente di Chimica dell’Ambiente presso l’Università di Bologna e il polo di Rimini, “anche se migliorabile”. Certo, “sulle polveri si ha la solita problematica della Pianura Padana – facendo riferimento al particolare clima e alla fisiologia ambientale dell’area, con lo smog di Milano che lambisce anche Rimini -. Ma i superamenti dei limiti non sono eccessivi, va peggio nell’entroterra. Le deposizioni atmosferiche di Rimini evidenziano un carico più basso di certi inquinanti rispetto a Bologna, e un maggior apporto di quelli derivanti dallo spray marino (le particelle marine alzate dal vento,ndr)”. I metalli pesanti sono sostanzialmente in linea con quelli misurati in altri siti costieri, come Venezia o la costa francese.

Rimane da sconfiggere un nemico: il tasso di motorizzazione, del resto in linea con la media nazionale: 600 autovetture ogni mille abitanti contro le 580 di Milano! Preoccupa ancor di più la densità di veicoli: 900 auto per ogni chilometro quadrato del Comune di Rimini (Ravenna 200, Italia 700, Napoli oltre 6.000!). Eppure secondo l’Istat sono affollatissimi i mezzi pubblici rivieraschi, grazie anche al boom estivo. Con una media di 90 passeggeri all’anno per abitante Rimini è terza in regione dopo Bologna e Parma. Forlì e Ravenna fanno meno della metà. Il blocco del traffico riduce gli inquinanti, ma “si tratta di una misura strettamente emergenziale – prosegue Zamagni -, non sufficiente a garantire il rispetto dei limiti di PM10. Gli eventuali effetti positivi sono di breve durata e fortemente influenzati dalle condizioni atmosferiche”. L’inquinamento è un problema mondiale che ha seminato, secondo l’Oms, 7 milioni di vittime nel solo 2012: un ottavo di tutti i decessi del pianeta. Ischemia cardiaca e infarto rappresentano da sole il 70% di queste morti, oltre al cancro al polmone e ai disturbi respiratori.

Quanto contribuiamo all’effetto serra?

Per calcolare l’apporto di CO2 della provincia di Rimini si è ricorsi nel 2012 al Piano provinciale energetico (Parfer). La sua fotografia parla di 1.700 Gigawattora consumati, nell’ordine, da: terziario, residenze, industria, turismo e agricoltura. Un fabbisogno energetico coperto anche per un terzo dal petrolio; il resto se lo spartiscono metano ed energia elettrica. Le fonti rinnovabili rappresentano solo il 3%. L’oro nero, dunque, è ancora determinante, così come i rincari in bolletta dovuti alle sue importazioni, seppure se ne faccia un ricorso inferiore rispetto al resto del paese. Il Parfer si occupa di assistere il territorio nella corsa verso gli obiettivi europei del 2020. Meno 20% di gas serra, più 20% di risparmio energetico, più 20% di energia rinnovabile.
“Ognuno di noi contribuisce all’emissione di CO2 totale del pianeta con il proprio stile di vita – ricorda il Prof. Leonardo Setti, ricercatore presso il Dipartimento di Chimica industriale dell’Università di Bologna -, per cui ognuno è chiamato a diminuirne l’incidenza. Il piano energetico dà la possibilità di certificare i nostri consumi, ma non è possibile vedere oggi gli effetti delle nostre riduzioni a livello planetario, perché magari altri stanno inquinando di più. Il beneficio non lo si vede nemmeno su scala locale, perché la CO2 su Rimini non è quella prodotta dal territorio – va fatto un importante distinguo tra anidride carbonica e polveri sottili -: la CO2 si diluisce nel sistema globale, mentre i microinquinanti ricadono sul territorio stesso da cui sono emessi”. Il trend è già in positivo: “Tutti i nostri territori stanno riducendo le emissioni. Pochi lo sanno, ma tra maggio e settembre del 2013, dalle ore 11 alle 16, l’Italia andava a energie rinnovabili”. Ancora non vi sono decreti attuativi per sanzionare chi non rispetta gli obiettivi. Si sa però che un deficit nel bilancio energetico di una regione costituirà un debito economico che la porterà a comprare energia rinnovabile da altre regioni.

La simulazione

“Abbiamo calcolato che, se l’Emilia-Romagna interrompesse oggi la corsa alle rinnovabili, ogni famiglia potrebbe trovarsi in bolletta nel 2020 rincari di 100-200 euro”. 
Da dove partire dunque?
 “Da un piano casa per la riqualificazione – risponde l’esperto -. Facciamo smagrire la torta dei consumi a quello è già costruito. Poi produciamo energie rinnovabili portando fotovoltaico e solare termico in ogni famiglia”.
L’aspetto locale, domestico, delle fonti rinnovabili rispetto alla centralizzazione di quelle derivanti da combustibili fossili, in mano a pochi portatori di interesse (stakeholder), rappresenta la peculiarità di questa rivoluzione industriale.
“Oggi le grandi centrali, i petrolieri, sono gli allevatori di cavalli che un tempo si scagliarono contro Ford e la sua automobile. Il Ford di oggi è chi usa le rinnovabili in casa. Ce la faremo a cambiare mentalità: tra 5 anni gli ‘allevatori di cavalli’ scompariranno”, ne è certo Setti. “E non dimentichiamo che le rivoluzioni energetiche portano sempre boom economici e occupazione”.