L’altra faccia della stagione

di Lucia Renati

Circa duemila alberghi, quasi 50 chilometri di costa da Cattolica a Cesenatico, 16 milioni di presenze turistiche l’anno. Rimini passa dal letargo nebbioso dell’inverno, in cui è un vecchio un po’ scocciato che alza il bavero del paltò per non dover salutare nessuno, alla sfacciataggine dell’estate, quando è una ragazzina pronta ad alzare la gonna davanti al primo che passa. I riminesi la chiamano stagione, quella che porta turisti (questa estate con fatica) e soldi, a riempire le tasche di chi lavora sei mesi l’anno. Durante la stagione Rimini riprende la sua vocazione da divertimentificio (passateci il termine) nel senso che chiunque venga in vacanza qui si deve divertire, tranne chi ci lavora. Il sistema turistico riminese, infatti, è pieno di crepe. L’evasione fiscale e il lavoro sfruttato, per esempio. Due aspetti strettamente collegati tra loro.

“Spremuti” da maggio a settembre

Arrivano in Italia con un visto regolare, richiesti da un imprenditore italiano. Che, in realtà, poi non li assume, facendoli diventare clandestini dopo otto giorni dall’arrivo. Poi divide con gli intermediari, trafficanti di esseri umani, il ‘pizzo’ pagato per entrare nel nostro Paese. Nel 2011, 198 persone si sono rivolte allo sportello antisfruttamento dell’associazione Rumori Sinistri di Rimini. Di questi, 174 sono comunitari, in prevalenza rumeni. Il dato allarmante è che 142 hanno pagato per avere un lavoro. Il decreto legislativo 276 del 2003 vieta alle agenzie di intermediazione, di percepire compensi dal lavoratore.

“I mediatori sono quasi tutti italiani – dice Sandra Polini, volontaria e responsabile dello sportello antisfruttamento – operano attraverso agenzie nella zona di Cluj, in Romania. I lavoratori si rivolgono alle agenzie tramite internet o rispondendo ad annunci pubblicitari sui giornali del loro paese. I mediatori hanno contatti con le associazioni di categoria e con gli albergatori. Chiedono una parte dei soldi già dal primo contatto, in Romania, e una parte quando arrivano in albergo, in Italia. Attualmente, per i lavoratori comunitari, rumeni soprattutto, un contratto di lavoro costa intorno a 600 euro. Per i non comunitari, per esempio moldavi, arriva anche a 1.700 euro.

Sembra che l’utilizzo degli ingressi da parte delle organizzazioni criminali riguardi ormai migliaia di persone extracomunitarie ogni anno, all’incirca un terzo di chi entra in Italia, per lavorarci giusto qualche mese.

Una volta a Rimini cosa succede?

Nelle strutture alberghiere in cui vengono mandati a lavorare sono senza riposo e giorno libero. Per 12-14 ore al giorno lo stipendio è di 900 euro.

Alina, il nome è di fantasia, è una ragazza rumena. È a Rimini per lavorare. Ci dice di conoscere diverse persone che si sono rivolte ad intermediari, diverse sue amiche.

“La prima cosa che ti dicono – ci racconta – è che avrai un contratto a chiamata, che dovrai lavorare tante ore e soprattutto che dovrai dare 100 euro di ogni stipendio alla persona che ti ha trovato il lavoro”. Secondo Alina ci sarebbe anche un albergo in cui, alle ragazze, viene sequestrato il passaporto in modo che non possano andarsene prima della fine della stagione. Alina ha lavorato in un albergo a 900 euro al mese per 12 ore al giorno. “Non sono stata pagata, non  ho firmato un contratto. Con questi contratti a chiamata non si capisce niente. Puoi lavorare per 5 giorni e poi non ti chiamano più. Siamo trattati come schiavi. Quando sei in difficoltà ti accontenti di tutto, ma questo non è umano”.

 La replica di Aia Rimini

Siamo andati dalla presidente degli Albergatori di Rimini, Patrizia Rinaldis.

Lei è a conoscenza di questa situazione? Esiste questo scenario?

‘È uno scenario che, se esiste, sicuramente non lo approviamo e cerchiamo anche di combatterlo. Per fortuna la situazione non è così generalizzata. Ma io insisto su una cosa: la battaglia che dobbiamo portare avanti è quella sul prezzo basso. Ci sono tante ragazze straniere che lavorano bene e sono perfettamente inserite. Ma ripeto, quando i prezzi sono troppo bassi certe dinamiche possono esistere”.

Alina ci dice che esistono. “Una mia amica è andata da un intermediario che l’ha mandata in un posto in cui  a fine giornata è stata pagata 25 euro e il titolare le ha detto che se voleva mangiare poteva prendere quello che era rimasto nei piatti dei clienti”.

Tra i lavoratori sfruttati ci sono anche gli italiani

Emanuela, nel 2010, per 2 mesi e tre giorni, ha lavorato alla reception dell’hotel Mosè di Torre Pedrera. Fu, in quell’estate, l’hotel più famoso della riviera ma, nonostante il riferimento biblico, non per nobili motivazioni. Prima i clienti intossicati dalla cena, poi il sequestro del sesto piano, totalmente abusivo. Oltre ad irregolarità sulle norme di sicurezza e su quelle ambientali: l’hotel “direttamente sul mare”, infatti, come scritto nella pubblicità che appariva su internet, era troppo sul mare, cioè a troppo poca distanza dalla battigia. Da una parte i clienti, dall’altra i 12 dipendenti dell’albergo che, di quella stagione da incubo non hanno ancora visto un soldo.

In tribunale si è aperto il processo per percosse ed intimidazioni a due direttori degli alberghi coinvolti nello scandalo del 2010, gestiti dalla società business Travel srl di cui Thomas Cavalli era amministratore unico, che fu denunciato per inosservanza dei provvedimento dell’autorità. Gestiva una dozzina di hotel collegati al tour operator Costa Romagna, tre dei quali sono stati chiusi: oltre al Mosè, il Maracaibo e il K2 di Cesenatico.

 

 

 

 

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