Come “macinava” l’economia !

di Stefano Rossini

L’attività molitoria in Valmarecchia ha rappresentato, per secoli, un segmento capitale dell’economia di tutta la zona. E’ sufficiente un dato, sopra tutti, per mettere in evidenza questa tendenza. Fino all’avvento dell’era moderna, in tutta la vallata, nel tratto compreso tra Badia Tedalda e Rimini, e negli affluenti lavoravano 165 mulini ad acqua. Un complesso davvero unico nel suo genere. La forza idraulica veniva utilizzata per le attività più disparate. Principalmente per il funzionamento delle macine e la conseguente produzione di farine utilizzate nell’alimentazione umana ed animale, la spremitura delle olive e la frantumazione del gesso, ma anche per il funzionamento delle gualchiere (uno strumento che serviva a rendere la tela di lana impermeabile infeltrendola), per la produzione di energia elettrica e per la battitura per ottenere la polvere da sparo.
Per secoli il mulino è stato uno dei luoghi principi dell’economia rurale, un luogo cardine per le necessità della vita come testimoniano anche le numerose leggende che affollano questi edifici, come le storie dei mulini attivi anche di notte perché usati dagli spiriti e dalle fate per le loro necessità quotidiane. Ma il mulino è anche e soprattutto il luogo in cui il mondo contadino incontrava quello artigianale. Un punto di contatto in cui la tecnologia dell’epoca riceveva le materie prime coltivate per trasformarle in beni economici e di sostentamento. Molti sono i mulini che si dedicano alla produzione di polvere da sparo. Un po’ perché la Valmarecchia è zona di frontiera, di divisione tra regni e stati, e quindi, per dirla con terminologia moderna, zona di guerra, ma anche perché il mercato della polvere da sparo non è soggetto ai periodi carestia, e inoltre la presenza di miniere e cave di zolfo rende il lavoro più appetibile.
I mulini della Valmarecchia hanno quasi tutti la stessa struttura. Un edificio a base quadrata di due, massimo tre piani, con una ruota orizzontale colpita dall’acqua dopo un salto artificiale. Il sistema del salto è alla base del funzionamento di queste macchine. In pratica viene creata una piccola cascata in modo che l’acqua abbia la forza sufficiente per muovere la macina. Mulini più complessi potevano ospitare anche più salti, a seconda della conformazione del fiume in quel tratto, e del mulino, in modo da far lavorare più macine contemporaneamente. Da questo punto di vista una delle strutture più interessanti è quella di Canepa, a San Marino. Un sistema di sei mulini collaboranti che si scambiano l’acqua in un punto in cui il torrente compie un balzo ripido. Ci troviamo nel Castello di Città, tra Monte Cucco e Pietra Minuta, dove serpeggia la strada che porta a Santa Mustiola che scende successivamente sino al Fosso di Canepa.
Ma, per tornare in Valmarecchia, cosa è rimasto di tutto questo patrimonio? Molto poco. Nel momento in cui strutture più efficienti hanno sostituito la forza motrice dell’acqua i mulini sono stati dismessi. Dei 165 censiti dal Museo Etnografico di Santarcangelo oggi solo uno continua eroicamente il proprio lavoro alimentato dall’acqua: il Molino Ronci di Ponte Messa. E’ forse utopico chiedere che altri molini tornino a lavorare con la ruota spinta dall’acqua (anche se la crisi energetica potrebbe presto ribaltare le carte in tavola e riportare in auge tecniche e metodi che oggi sembrano solo legati al passato), si può però cercare di valorizzare il patrimonio.
E’ quello che ha fatto il Comune di Poggio Berni che acquistato e ristrutturato il mulino Sapignoli. Dopo averlo comprato da privati nel dicembre del 2003 (spesa: 230mila euro), il Comune ha avviato il restauro per trasformarlo in museo.
I lavori, proseguiti sino al settembre del 2010, con l’inaugurazione, sono costati poco più di un milione di euro, pagati per la metà con fondi provinciali, regionali ed europei. Grazie a questo investimento, però, laddove i privati abbandonano le strutture storiche (a differenza dei fratelli Ronci), il Comune ha riportato in vita un pezzo di storia del nostro passato.