Cede anche il lavoro interinale

Se è difficile per le imprese trovare un mercato e mantenerlo nel tempo,  la vita non è certo più facile per chi è alla ricerca di un lavoro che possa garantire un minimo vitale.  E soprattutto un briciolo di continuità. Le forme flessibili di lavoro possono essere accettabili quando costituiscono un modo per accedere a rapporti più stabili, ma sono un contributo alla precarietà se questo non avviene in tempi ragionevoli.  

 Purtroppo la crisi, scoppiata nel  settembre 2008, ha colpito anche questo modo temporaneo di lavorare. Tanto è vero che in tre anni, dal 2007 al 2009,  gli interinali della provincia di Rimini sono diminuiti del 40%,  scendendo da 3.130 a 1.856. Un passo indietro analogo è stato compiuto anche a livello regionale, dove gli interinali sono scesi, nello stesso periodo,  da 64 mila a poco più di 39 mila.

Identico il ridimensionamento per i lavoratori interinali di origine straniera. Segno che la crisi ha colpito in modo trasversale, senza badare alle nazionalità.  

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 Origine del lavoro interinale

La locuzione “interinale” deriva dal latino interim, ovvero provvisorio. Abbinata al termine “lavoro” rappresenta una forma di rapporto di lavoro che ha durata temporanea.  Questa terminologia è comparsa in Italia agli inizi degli anni 1990, periodo in cui comincia a farsi sentire il bisogno di flessibilità nei rapporti di lavoro.
L’introduzione di questa tipologia di contratto lavorativo si deve alla Legge Treu del 1997 (legge 24 giugno 1997, n.196). Successivamente ha subito varie modifiche fino ad arrivare alla legge n. 30/2003 e al decreto legislativo che ne è seguito (il D. Lgs. 24 ottobre 2003, n. 276, la cosiddetta Legge Biagi). Attualmente il lavoro interinale è stato sostituito dall’istituto della somministrazione, che prevede un primo accordo tra l’impresa (utilizzatore) e l’Agenzia per il lavoro (somministratore), ed un secondo tra quest’ultima e  il/la  lavoratore/trice, che sarà pagato/a dalla medesima.