Adriano Olivetti: l’altro modo di fare impresa

Quanto segue è tratto dall’intervento introduttivo di Mariella  Crocella, giornalista e autrice del programma’ La storia siamo noi’,  al convegno organizzato il 26 giugno scorso dall’azienda Petroltecnica,  dedicato alla figura di Adriano Olivetti, a mezzo secolo dalla sua scomparsa.  Mentre sembra prevalere, forse anche per pigrizia, un pensiero unico che vuole il lavoro, e le persone che lo svolgono,  completamente asservito alle logiche del profitto per un pugno di  azionisti (creare valore per gli azionisti, si dice, e per gli altri ?), perché tutti gli altri, che quel medesimo profitto rendono possibile, non contano, anzi, le borse prendono valore quando ne vengono licenziati a migliaia, una riflessione sulla gestione di un’azienda stile Olivetti è quanto mai utile e attuale. Perché è dimostrato che un altro modo di lavorare, per le persone e non contro, per la comunità territoriale e non contro, è possibile, migliorando  produttività, competitività e  profitto.

Vorrei cominciare con una sua (di Adriano Olivetti) dichiarazione che è fondamentale: “le autentiche forze spirituali che rimangono eterne nel tempo e immutabili nello spazio, da Platone a Gesù,  sono l’amore, la verità, la giustizia e la bellezza. Gli uomini, le ideologie, gli Stati che dimenticheranno una sola di queste forze creatrici, non potranno indicare a nessuno il destino della civiltà”. Questa è una affermazione che risale agli anni cinquanta, in pieno boom economico e quando l’arricchimento e la produttività dominavano su tutto.  Lui era un imprenditore, non disdegnava il profitto d’impresa, ma non un profitto fine a se stesso. Il profitto doveva servire a fornire benessere alla società, alla comunità. Lui intendeva la sua impresa come una comunità, non una grande famiglia, che è un concetto diverso. Questa comunità godeva all’epoca di benefici straordinari (molti verranno poi incorporati nello Stato dei lavoratori), assolutamente atipici per quei tempi, come per oggi. I suoi dipendenti godevano della protezione sanitaria, degli asili nido, ma soprattutto lui costruiva le case per i suoi dipendenti, affidando la progettazione a grandi architetti. Poi gliele dava senza interessi e loro le ripagavano con affitti molto bassi, fino a diventarne proprietari.

Alla Olivetti si stava bene perché gli stipendi erano superiore alla media, e questo perché i profitti erano altissimi.  Con soddisfazione di proprietà e dipendenti, i quali si identificazione con il successo, gli obiettivi  e il futuro dell’azienda.  L’uomo “olivettiano”, a quei tempi, era considerato un tipo un po’ particolare perché era perfettamente identificato in questa visione alta dell’uomo. Gli “olivettiani” erano lavoratori che non conoscevano il conflitto di classe, in azienda c’era dialogo, ma soprattutto c’èra una attenzione particolare per la cultura che eleva le persone. In fabbrica c’èra una biblioteca (di circa 50 mila volumi)  sempre aperta:  un operaio si poteva alzare, leggersi una rivista o un libro, e poi tornare al suo posto di lavoro. Vi riporto un episodio riferitomi  da un sindacalista di quel periodo: era in visita all’azienda una delegazione sovietica, la quale  vedendo i posti di lavoro vuoti, e i lavoratori che leggevano, chiese se per caso ci fosse uno sciopero in corso; gli fu spiegato che queste pause erano consentite, e che nonostante questo la produttività era del 20 per cento superiore alle altre fabbriche. Probabilmente la delegazione non ci ha creduto, ma era proprio così. Il sentirsi parte di un’impresa fa si che tutti siano disposti a dare il meglio, non per il padrone, ma per se stessi.  Mi piace ricordare una frase di Olivetti che diceva : “l’uomo non si sigilla in una tuta da lavoro”.

Importante è poi il discorso sulla bellezza. Pensate, portò in fabbrica Luigi Nono a dirigere un concerto per gli operai. Fece dipingere una parete di una sala per riunioni da Guttuso. Gli uomini di cultura del tempo venivano continuamente  convocati per tenere corsi e conferenze. Si entrava in Olivetti giovani, magari a 14 anni, come operai, ma poi si poteva studiare, a spese di Olivetti, e diventare dirigenti. La disumanizzazione del lavoro, era inevitabile il confronto con la Fiat di Torino, ad Ivrea non avveniva. Lui aveva iniziato come operaio, per volere del padre, poi aveva fatto studiare da uno psicologo del lavoro i danni della catena di montaggio e l’ha eliminata sostituendola con le isole, dove il gruppo partecipava a ogni fase della lavorazione, fino al prodotto finale. Dando così al lavoro una motivazione completamente diversa. 

La Confindustria, che all’epoca era assolutamente ostile a questi metodi,  lo definì un imprenditore “rosso”  e invitò gli aderenti a boicottare i suoi prodotti. Forse c’era anche una certa gelosia, perché Olivetti, oltre a dimostrare che si poteva lavorare diversamente, aveva un successo straordinario.

SCHEDA

Breve storia di Olivetti

Adriano Olivetti nasce a Ivrea l’11 aprile del 1901. Il padre Camillo, ingegnere, nel 1908 fonda a Ivrea “la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”. Adriano, dopo essersi laureato in chimica industriale al Politecnico di Torino, nel 1924 inizia l’apprendistato nell’azienda paterna come operaio. L’anno seguente compie un viaggio di studi negli Stati Uniti, dove visita un centinaio di fabbriche. Al ritorno, propone un vasto programma di modernizzazione  dewl’attività: organizzazione decentrata del personale, direzione per funzioni, razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero, ecc.

La nuova organizzazione fa aumentare in maniera significativa la produttività della fabbrica e le vendite.    Alla fine del 1932 è nominato Direttore Generale dell’azienda, di cui diventerà Presidente nel 1938 subentrando al padre Camillo.

La sua poliedrica personalità lo porta a impegnarsi non solo nel campo strettamente industriale e imprenditoriale, ma ad occuparsi anche di problemi di urbanistica, di architettura, di cultura, oltre che di riforme sociali e politiche. A Ivrea avvia la progettazione e costruzione di nuovi edifici industriali, uffici, case per dipendenti, mense, asili, dando origine ad un articolato sistema di servizi sociali. Nel 1937 dà l’avvio alla costruzione di un quartiere residenziale per i dipendenti.

Ebreo e antifascista, nel 1944-’45 va in esilio in Svizzera. Nel 1947 fonda il  Movimento Comunità e la rivista Comunità.

Sul piano aziendale, guida la Olivetti verso gli obiettivi dell’eccellenza tecnologica, dell’innovazione e dell’apertura verso i mercati internazionali (il 60% dei prodotti sono esportati), dedicando particolare cura al design industriale. Nel 1948 negli stabilimenti di Ivrea viene costituito il Consiglio di Gestione, per molti anni unico esempio in Italia di organismo paritetico con poteri consultivi di ordine generale sulla destinazione dei finanziamenti per i servizi sociali e l’assistenza. Nel 1956 l’Olivetti riduce l’orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro. Tra la fine degli anni ’40 e la fine degli ’50 la Olivetti porta sul mercato alcuni prodotti destinati a diventare veri oggetti di culto per la bellezza del design, ma anche per la qualità tecnologica e l’eccellenza funzionale: tra questi la macchina per scrivere Lexikon 80 (1948), la macchina per scrivere portatile Lettera 22 (1950), la calcolatrice Divisumma 24 (1956). La Lettera 22 nel 1959 verrà indicata da una giuria di designer a livello internazionale come il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni.

Adriano Olivetti muore improvvisamente il 27 febbraio 1960 durante un viaggio in treno da Milano a Losanna, lasciando un’azienda presente su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero.

Per saperne di più cliccare sul sito della Fondazione Olivetti, dove è possibile trovare i link per riascoltare le otto puntate di una trasmissione di Rai Tre dedicata alla sua vita ed opera.