Romagna v/s Emilia

Intervista a Paolo Maggioli, Presidente Confindustria Romagna, di Primo Silvestri

Premessa

In uno speciale di TuttoRomagnaEconomia (TRE) dedicato alla Romagna, e pubblicato  con il settimanale  Il Ponte prima di Natale, raccogliendo ed analizzando una serie di informazioni disponibili abbiamo voluto mettere in evidenza una serie di ritardi che soffre la Romagna nei confronti dell’Emilia, che producono effetti non secondari sui romagnoli delle tre province.

Alcuni esempi: il valore aggiunto per occupato è di 70 mila euro a Reggio Emilia e Modena, ma 59 mila euro a Rimini.  Meno ricchezza prodotta, giocoforza comporta salari più bassi. Infatti la retribuzione media annua di un lavoratore dipendente che a Bologna raggiunge 26 mila euro e Parma 25 mila euro, scende a 16 mila a Rimini, 21 mila a Forlì-Cesena e 22 mila a Ravenna. Una differenza che, pagando meno contributi, si riverbera anche nelle pensioni, il cui importo medio è di 20 mila euro a Bologna e Parma, per diventare di 16 mila euro a Rimini  e 18 mila nelle altre due province romagnole (Istat, BES 2019).

Come spiega e valuta queste differenze, che non sono recenti, ma vengono da molto lontano? Stando alla nostra analisi, una delle ragioni di questa differenza, tra Emilia e Romagna, sta in una diversa presenza del settore manifatturiero, che offre, con la sua filiera, un lavoro più stabile e domanda profili più qualificati. Il turismo, più presente in Romagna, al contrario, propone lavori brevi e meno pagati. Come si potrebbe rimediare a questo gap, che pesa soprattutto nel riminese ?  E’ pensabile una politica di attrazione di investimenti per la Romagna ?

Dobbiamo innanzi tutto considerare proprio la differenza del periodo storico in cui sono nati gli insediamenti industriali nel territorio emiliano e in quello romagnolo. La svolta decisiva in Emilia si registra fra le due guerre, quando da territorio prevalentemente agricolo si iniziano a gettare le basi per quel tessuto manifatturiero che in 100 anni arriverà a diventare la componente economica principale. Per la Romagna, in particolare per l’area riminese e per la costa adriatica, dove si svilupperà l’industria del turismo, bisogna attendere la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni sessanta.

Aziende fra l’altro differenti anche per dimensioni e quindi anche per tipologia di impieghi. Senza poi dimenticare che in particolare nell’area riminese il comparto turistico è caratterizzato da una forte stagionalità che incide direttamente sulla media degli impieghi. A ciò si aggiunge un minore investimento a livello regionale per la crescita delle infrastrutture in Romagna. Ne viene di conseguenza che fino ad ora c’è stato uno sviluppo a velocità differenti.

Una politica di attrazione di investimenti in Romagna è certamente possibile. Da anni stiamo portando avanti una serie di iniziative perché ciò avvenga. A partire dal potenziamento delle infrastrutture. Esistono infatti ancora troppi buschi neri: la Romagna è isolata, mal collegata. Si pensi alla mancanza dell’alta velocità, al difficile collegamento con Roma attraverso la E45 e quelli con il porto di Ravenna ancora insufficienti, agli aeroporti che stanno cercando ancora di svilupparsi per potere giocare un ruolo importante in regione.

La costituzione, da parte di Confindustria ed altre associazioni del territorio, di Città Romagna parrebbe l’inizio di una presa in carico del problema. Il più urgente dei quali è il lavoro. Un lavoro di qualità, soprattutto per i giovani, per non costringerli ad emigrare.  Quali potrebbero essere, in questa direzione, le prime mosse da compiere? 

Il lavoro resta una tematica centrale per gli imprenditori. Ma bisogna mettere le aziende nelle condizioni di creare occupazione. Se a livello nazionale serve un minor peso sulla tassazione ed un alleggerimento della burocrazia, a livello regionale e locale occorre investire ad esempio, come abbiamo già detto, in infrastrutture efficienti che permettano alle aziende di essere sempre più competitive.

L’obiettivo di Città Romagna è proprio quello di valorizzare una visione unitaria dello sviluppo del territorio che ha le potenzialità imprenditoriali, sociali e culturali per competere alla pari con le zone più avanzate d’Europa e del mondo. E la sua validità risiede nella sottoscrizione da parte di associazioni e categorie differenti fra cui Federalberghi Rimini, Cisl Romagna, Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini, Confcooperative Ravenna e Rimini, Confindustria Forlì-Cesena, Confindustria Romagna e Legacoop Romagna, che rappresentano complessivamente 4.000 aziende e 104 mila lavoratori, per un fatturato di circa 39 miliardi di euro.  Il gap con l’Emilia, ma anche con Milano e il triangolo del capoluogo lombardo può essere colmato con uno sforzo comune. L’unità d’intenti tra le realtà economiche, associative, sociali e amministrative fornisce la forza necessaria per confrontarsi alla pari con le zone all’avanguardia. Le nostre singole città, anche se eccellenti, da sole infatti non hanno le dimensioni demografiche ed economiche per poter competere in una sfida in cui le grandi città e le aree metropolitane sono le capofila dello sviluppo economico e sociale. Ma insieme possono farlo. La Romagna, con una visione strategica declinata al futuro, deve muoversi unitariamente su temi come infrastrutture, lavoro, welfare, ambiente, tecnologia, formazione, sistema educativo, stile di vita, turismo e cultura, pensando ed agendo come una città unita, e mettendo così in atto azioni virtuose a beneficio di tutta la comunità.

La Regione Emilia Romagna come dovrebbe intervenire e supportare questo riequilibrio?

Mi ripeto, ma è il tema centrale: garantendo infrastrutture efficienti che possano collegare la Romagna al resto dell’Italia, ma anche al mondo perché il nostro territorio ha tutte le carte in regola per essere competitivo al livello internazionale. La Romagna richiede inoltre di potere essere dotata delle medesime competenze e deleghe riconosciute alla città metropolitana di Bologna, precisando che l’iniziativa di Città Romagna è quella di creare sviluppo senza nessuna pretesa autonomistiche: l’obiettivo è avere una Romagna più forte in una regione più forte.

In questo senso le associazioni firmatarie chiedono il supporto della Regione Emilia Romagna.  Da settembre le 7 Organizzazioni si sono confrontate per giungere ad un “Manifesto” che individuasse delle priorità condivise e più importanti per la Romagna e che sarà presentato prossimamente presentare all’opinione pubblica e chi si candida a guidare la regione.

Perché, anche per dare un segnale a tutti i romagnoli, non proporsi l’obiettivo di puntare a raggiungere la parità (valore aggiunto, salari, ecc.) con l’Emilia entro il 2030, un tempo non breve ma ragionevole? 

È un obiettivo che ci siamo già dati da tempo come dimostra la stessa nascita del progetto Città Romagna. L’idea è non solo di raggiungere la parità, ma di crescere di più ed arrivare allo scopo anche prima del 2030. Perché la Romagna ha tutte le carte che le occorrono: risorse naturali, un grande patrimonio storico e culturale, importanti realtà imprenditoriali leader a livello mondiale in diversi settori, un’ampia offerta enogastronomica, idee, capacità, intraprendenza e grande voglia di fare.