Non passa quasi giorno senza che il governo nazionale e quelli locali non dicano come stiamo recuperando e migliorando. Depurato dalle enfasi eccessive è tutto vero: l’economia ricomincia a muoversi, grazie soprattutto all’esportazione, e le occasioni di lavoro crescono, anche se più per i senior che per i giovani.
Esiste solo un problema: in genere si prende come riferimento l’anno prima, o poco più in la. Così si corre il rischio che l’informazione, tagliata sul periodo breve, faccia apparire la realtà migliore di quella che appare in un periodo più lungo.
Prendiamo come esempio il pil (la ricchezza prodotta) nazionale: nel 2017 crescerà, se le previsioni saranno confermate, l’1,5 per cento sull’anno prima. Un buon risultato, ma rimane sempre il più basso dell’area euro. In Spagna, che ha sofferto la crisi più dell’Italia, nel 2017 il pil aumenterà del 3,1 per cento, che gli consentirà di tornare sopra i livelli di nove anni prima.
Ma quello che il breve periodo non dice è che il pil dell’Italia è tuttora sei punti percentuali sotto il livello pre-crisi (2007), e che a questi ritmi di recupero ci vorranno altri dieci anni prima che la ricchezza reale delle persone torni ai valori di partenza. In pratica, per la ricchezza nazionale e degli italiani è come se l’Italia fosse rimasta ferma per vent’anni. Non vanno minimizzati i risultati positivi, ma non va nemmeno taciuta la storia da cui veniamo.
Cala il reddito imponibile
Ed è proprio in questo contesto che vanno letti i dati delle dichiarazioni dei redditi e del valore aggiunto prodotto in Emilia Romagna, nel periodo 2008-2015 (ultimi dati disponibili).
I primi, il reddito imponibile medio dichiarato dai contribuenti delle province della Regione, mostrano una flessione generalizzata, più accentuata a Rimini (- 16 per cento), meno a Reggio Emilia (- 7 per cento), quando in Emilia Romagna la discesa media è stata del 9 per cento. E’ successo una cosa molto semplice: i contribuenti si sono ritrovati meno soldi in tasca (perché hanno perso il lavoro, non lo hanno trovato, ecc.) e le loro dichiarazioni Irpef non hanno fatto altro che registrarlo. Lo conferma anche la discesa, per lo stesso periodo, della spesa mensile delle famiglie emiliano romagnole.
…ed anche il valore aggiunto
Effettivamente, una ulteriore prova della minore disponibilità di reddito viene dal corrispondente calo, sempre nel periodo 2008-2015, del valore aggiunto per abitante in quasi tutte le province, ad eccezione di Parma e Rimini, dove è rimasto uguale, Bologna e Forlì-Cesena, dove invece un po’ è cresciuto (+ 3 per cento).
In realtà, a livello regionale ed in alcune province come Parma, Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, nel periodo indicato il valore aggiunto totale è aumentato, ma non tanto da pareggiare il conto con l’aumento della popolazione, che è cresciuta di più.
In altri termini il reddito dichiarato è diminuito perché le economie delle province, con poche eccezioni, non hanno ancora recuperato completamente le perdite causate dalla crisi. Risultando così evidente la differenza che corre tra uno sguardo incentrato sul breve periodo, e quello che si osserva alzando lo sguardo un po’ più lontano. La crisi non è ancora superata.
Una ultima osservazione, non meno importante: le tre province della Romagna sono quelle che dichiarano meno (circa 20 mila euro), ma producono anche meno valore aggiunto (intorno ai 25 mila euro). Una ragione ci dovrà pur essere, ma le politiche non sembrano accorgersene.