Scegliere la scuola guardando al futuro

Nel prossimo mese di febbraio tutti i ragazzi e le ragazze che termineranno, nel giugno prossimo, le scuole secondarie di primo grado (un tempo scuola media), dovranno, se intendono proseguire gli studi, scegliere a quale indirizzo iscriversi.   Non è una scelta facile, né per loro, né per i genitori e i docenti che li assistono e consigliano. Bisogna mettere insieme e considerare diversi aspetti: primo, le attitudini dei/delle  ragazzi/e, perché non è consigliabile studiare controvoglia. Ma spesso, in una età così giovane, le attitudini non sono ancora così evidenti e mature. Secondo, dare un’occhiata al mondo del lavoro, per cercare di capire dove è più facile trovare uno sbocco lavorativo, una volta terminato il percorso di formazione. Non è facile, ma bisogna sforzarsi. Oggi la situazione del lavoro è difficile, soprattutto per i giovani, ma tra cinque o più anni (se si proseguirà con l’università) la situazione sarà diversa, e tutti speriamo migliore.   Allora è meglio guardare al futuro,   sgombri da quello che è capitato nel passato.

Per esempio, ad Amazon, il principale venditore on line,  la gestione del  magazzino è oramai affidata quasi per intero a carrellini automatici che caricano e spostano i pallet da soli (pare abbia acquistato 10mila di questi robot). Il mestiere del magazziniere non sarà più lo stesso e crescerà il lavoro dei costruttori di questi piccoli robot.

Piccoli robot, sempre più numerosi, che tagliano l’erba, fanno le pulizie in casa, guidano i visitatori nei musei e molto altro.     Nel 2012, secondo la Federazione Internazionale dei Robot (IFT), nel mondo sono stati venduti circa 3 milioni di robot per servizi personali e domestici, creando un mercato di 1,2 miliardi di dollari, con una crescita del 20 per cento sull’anno prima.

La stessa Federazione calcola che, a fine 2012,  altri 1,5 milioni robot sono impiegati nell’industria. Solo in Cina sono stati venduti 37 mila robot industriali.  Un fenomeno, l’impiego dei robot nelle attività produttive,  in crescita,  tanto che si stima un mercato potenziale di 120 milioni di dollari l’anno,  fino al 2020-2025.

I futuri robot saranno sempre più piccoli, ma anche più sicuri e intelligenti, con tanti visori e sensori che ne moltiplicheranno l’uso. Un report del 2013 della società McKinsey  stima per la robotica  avanzata, impiegata nella salute, nella manifattura e nei servizi, un impatto economico quantificabile  tra 1,7 e 4,5 milioni di miliardi di dollari l’anno, fino al 2025.

Alla PayPal, la società che offre servizi di pagamento on line, nata negli Stati Uniti nel 1998 e di recente acquistata da eBay,  un solo lavoratore con un sistema di computer gestisce oggi un numero di transazioni che una generazione addietro avrebbe richiesto l’impiego di  mille operatori.

Secondo studi recenti, nel prossimo futuro la metà circa dei posti di lavoro, in America come in Europa, sono a rischio sostituzione con i computer. I laureati in discipline tecno-scientifiche trovano lavoro in metà tempo rispetto agli altri indirizzi e guadagnano subito di più.

«La tecnologia, scrive il prof. Erik Brynjolfsson del M.I.T. di Boston, ha sempre distrutto posti di lavoro, ma ne ha sempre creati altri diversi. Rispetto al passato, oggi tutto questo sta avvenendo a ritmi molto più veloci. È possibile che tutta questa innovazione alla fine crei maggiore prosperità, ma non c’è nessuna legge economica che garantisce che questa prosperità sia per tutti».

E il punto vero è imparare dal passato. «Quando la rivoluzione industriale ha automatizzato il lavoro agricolo, molti contadini non sono semplicemente rimasti disoccupati. Hanno trovato nuove industrie in cui lavorare. Ma questi nuovi lavori richiedevano nuove competenze». Esattamente come oggi. Siamo costretti a imparare continuamente per restare competitivi.

In sintesi, come procede l’innovazione, cambia il lavoro e la sua organizzazione, anche le professioni richieste subiranno modifiche più o meno radicali. Alcune professioni scompariranno, altre dovranno aggiornarsi, altre ancora nasceranno.

Una ricerca condotta negli USA  sulle professioni richieste dal 2008 ad oggi, in pratica dallo scoppio della crisi,  è arrivata alle conclusioni che  la domanda di lavoro ha premiato, in ordine d’importanza, le figure tecniche e professionali, gli addetti alla salute e all’assistenza sociale (collegato all’aumento della popolazione anziana), agli svaghi e al divertimento (turismo), all’educazione e gli amministrativi. Sono stati invece penalizzati, perdendo addetti,  i lavoratori della manifattura, delle costruzioni, delle vendite al dettaglio, delle attività finanziarie e dell’informazione. Stabili gli occupati nel trasporto e magazzinaggio.

In Italia, secondo una indagine della Manpower Group (agenzia multinazionale di lavoro interinale), nel 2014 i dieci profili più difficili da trovare sono stati: tecnici specializzati, segretarie, assistenti di direzione, assistenti amministrativi e personale di back office, addetti alle vendite, professionisti IT, sales manager, personale addetto alla ristorazione e personale alberghiero,  professionisti nel settore contabilità e finanza, formatori e autisti.

A commento dei dati il report scrive che “In un momento di alta disoccupazione, soprattutto nei Paesi del Sud Europa, le imprese fanno fatica a trovare le risorse da assumere, perché ai

potenziali profili manca quel mix tra le competenze tecniche (hard skills), l’esperienza e le competenze trasversali (soft skills) che cercano per essere più competitive”.

Sono le famose competenze non cognitive: comunicazione orale, saper lavorare in gruppo, professionalità, eticità, pensiero critico e capacità di risolvere problemi. Aspetti che raramente si apprendono a scuola. Per la grande maggioranza degli imprenditori sono invece qualità molto importanti, più dei voti ottenuti  in  matematica, scienza,  storia o geografia. Conoscenze che formano  le persone, e ci devono essere, ma non sono sufficienti per il mondo del lavoro.

Insomma, ci vuole una combinazione giusta, anche perché alla velocità con cui cambiano le tecnologie, solo una mente allenata alla cultura umanista (storia, filosofia, letteratura, ecc.) può gestire il cambiamento, anche tecnologico.

Tutto questo occorre sapere per sintonizzarsi con il futuro probabile, che giovani e famiglie, alle prese con scelte importanti,  dovranno attentamente valutare.

Ma che anche le scuole devono prendere in considerazione per aggiornare la loro offerta formativa, se è vero che, come riporta  l’ indagine di Eurobarometro del giugno 2014  dedicata alle competenze e alle qualifiche acquisite a scuola, alla domanda se la formazione ricevuta sia stata utile per trovare  lavoro in linea col titolo ricevuto ben il 35 per cento degli italiani intervistati ha risposto negativamente (percentuale superata solo da Spagna e Grecia) . Che cioè non gli è servita. La stessa risposta negativa è stata data dal 10 per cento degli svedesi e dal 13 per cento dei tedeschi, dove evidentemente il sistema formativo è meglio sintonizzato col mondo del lavoro.

Le scuole secondarie di secondo grado (in passato superiori) che troverete alla fine di questo articolo sono state classificate dalla Fondazione Giovanni Agnelli combinando la media dei voti conseguiti agli esami universitari dai diplomati di ogni scuola, con la percentuale degli esami superati dai diplomati di ogni scuola, perché “all’università è importante non solo superare gli esami nei tempi previsti, ma anche farlo bene, cioè con buoni voti”.  Il risultato è l’indice FGA che mette insieme le due cose.  La classifica è stata costruita seguendo questo indice.  Come si può notare,  non sempre il voto di maturità  trova conferma nei  risultati universitari.

Nell’elenco sono comprese solo le scuole della zona che  mandano almeno uno studente su tre all’università. Non ci sono gli istituti professionali i cui diplomati preferiscono in larga parte cercare un’occupazione già dopo il diploma.

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