I bilanci delle imprese in tempo di crisi

Ci sono molti modi di leggere un’economia locale e quella che emerge dai bilanci depositati presso le Camere di Commercio è probabilmente quello che più si dovrebbe avvicinare alla realtà. Quanto dipende dalla bontà della materia prima, cioè i bilanci stessi.

Da un paio di anni la Camera di Commercio di Rimini e la Fondazione dei Dottori Commercialisti pubblicano un Rapporto su circa tremila società di capitale (Spa, Srl e SApA) della provincia, tra tutte le più strutturate,  che consente di  mettere a fuoco  alcuni aspetti rilevanti dell’economia locale.

Il primo, che numero delle imprese e fatturato non coincidono.  Nel campione indagato le imprese dei servizi sono più della metà, ma in termini di fatturato complessivo rappresentano meno di un quarto.  Al contrario, il commercio ha un quinto delle imprese, ma contribuisce ad oltre i quattro quinti del fatturato di tutte le società di capitale prese in esame.  Qualcosa di simile avviene per il manifatturo: le loro imprese coprono il quindici per cento del campione, ma producono  il ventisei per cento del fatturato dello stesso universo (undici punti in più).

Quindi è importante avere tante imprese, ma lo è ancora di più il volume delle attività che svolgono, cioè il fatturato.  In particolare in un periodo, 2009-2012,  di grande crisi, come è stato definito, e che tuttora non smette di far sentire i suoi effetti.

In questo arco di tempo, complessivamente, il fatturato delle società di capitale della provincia di Rimini è salito da 7,5 milioni di euro del 2009  a 7,9 milioni nel 2012. Sarebbe stato di più se non ci fosse stata una lieve flessione  nell’ultimo anno. Un aumento del cinque per cento in tre anni non è un risultato eccezionale, ma rappresenta quanto meno un segnale di tenuta.

Nel dettaglio: leggere perdite ci sono state per manifatturiero e costruzioni,  stabili servizi e alberghi, mentre l’unico a crescere  è stato il settore del commercio, all’ingrosso e al dettaglio,  che da 2,9 sale a 3,4 milioni di euro di fatturato.  Il Rapporto non lo dice, ma deve fare premio la presenza in loco di alcune grosse catene di distribuzione all’ingrosso.

Certo il fatturato non è il valore aggiunto, che misura il contributo effettivo dell’impresa al valore finale venduto  e  che un po’ si è assottigliato: dal 24,6 per cento del 2009 al 23,1 per cento del 2012.  Colpa, anche, del calo degli investimenti, che si sono ridotti soprattutto nell’ultimo triennio, quando sono cresciuti, a Rimini, poco più dell’1 per cento, mentre in Regione l’aumento superava il 5 per cento.

In sintesi, la crisi  c’è ma  le società di capitale faticosamente reggono.  Come  tiene il rendimento del capitale investito (ROI): dal 3,0 per cento del 2009, al 3,1 per cento del 2012, dopo aver toccato il 3,8 per cento l’anno prima.

In questa situazione, visti anche i dati dell’occupazione,  ci si attenderebbe  un calo della partecipazione del lavoro  sui risultati d’impresa.  Invece, a parte il 2010,  la quota del lavoro sul valore aggiunto  è in crescita, in valore assoluto  come in percentuale (dal 54 per cento del 2009  a più del 56 per cento nel 2012).  Questo significa che le imprese, consce del capitale di professionalità che hanno a disposizione e della difficoltà a reperire figure di provata esperienza, fanno di tutto per mantenerlo legato all’azienda, ovviamente sperando  che la situazione non tardi troppo a migliorare.

Questo dipende dalla condizioni economiche generali dell’Italia  ma anche  dalla capacità delle imprese di cogliere la crisi come opportunità per  innovare processi, prodotti e servizi.  Tante  hanno intrapreso questo cammino, ma molto resta ancora da fare come confermano gli indici di efficienza.  I quali evidenziano il ritardo di produttività delle imprese di capitale della provincia di Rimini,  nei confronti dei valori medi regionali,  come testimonia il valore aggiunto per addetto, soprattutto nel settore manifatturiero e degli alberghi, minore rispettivamente del  20 e del 22 per cento.

La situazione è decisamente migliore nel commercio dove, al contrario, la produttività delle imprese riminesi è un buon 25 per cento sopra il dato regionale. Un valore aggiunto più elevato che però non si riverbera sui salari pagati, nonostante il costo del lavoro  sia lo stesso dell’Emilia Romagna.