Il 2013 resta un punto interrogativo

di Marzia Caserio

“Navigar non m’è dolce in questo mare”. Un mare di scadenze, di insoluti e di vendite sempre più scarse. E se Leopardi nel suo Infinito trova un’ancora di salvezza, non è lo stesso per gli imprenditori della nostra provincia.

Dopo la prima puntata di dicembre, tutta dedicata alle difficoltà aziendali del nostro territorio, continua la seconda tappa del viaggio in tre realtà: variegate per prodotto, ma accomunate per complicazioni. Se il 2012 è stato per tutti un anno da dimenticare, il 2013 resta un punto interrogativo.

Cereria Terenzi. Si punta sull’export

Non bastano le migliaia di candele e ceri prodotti dalla Cereria Terenzi per vedere la luce alla fine del tunnel. Il 2012 è stato un anno di sofferenze con “tensioni e ripercussioni sulla vita quotidiana” commenta Paolo Terenzi, il titolare. “Noi abbiamo dalla nostra, già da tempi non sospetti, un sistema di controllo che ci permette di gestire in maniera oculata costi e spese perché certe volte alcune uscite sono latenti ma non controllate. Nonostante questo non è stato facile. Così da tre anni a questa parte siamo stati costretti a reinventarci”. Con un passato “luminoso” alle spalle – quarant’anni di esperienza nati dalla passione del padre Evelino – oggi la Cereria Terenzi ha trovato come via di fuga, o meglio di salvezza, l’export, con una crescita degli ultimi tre anni del 12,5%. “L’istinto di sopravvivenza ci ha spinto a cercare nuovi mercati. O si cambiava o si crepava”. E il cambio di rotta è stato davvero propizio. Si parla di circa 8 milioni di fatturato, “in compressione rispetto ai tempi d’oro ma allineati a quello che è stato il 2011”.

Un sollievo, se si pensa che “il mercato italiano, almeno per quanto riguarda il nostro settore, è del tutto bloccato”. I motivi, secondo Terenzi sono due: “I clienti consumano meno e tanti hanno addirittura chiuso; altri non pagavano gli insoluti da tempo e per questo non li abbiamo più potuti servire”. In questo modo l’azienda non ha dovuto ricorrere, per i suoi 80 addetti, a ore di cassa integrazione massicce, “ma solo a fermi momentanei o non rinnovando i contratti in scadenza”.

Il tasto dolente resta quello delle banche. “Purtroppo, e io lo so per esperienza – conclude Paolo Terenzi – non sono adeguate all’attuale situazione, difendono una posizione che non hanno più. Non fanno credito e chiedono enormi garanzie alle aziende”.

Ricci Sabbiature, la “maledizione” degli insoluti

Una storia nata nel 1973. Prima come azienda di smerigliatura di fusioni di ghisa. Oggi esperta nella lavorazione di sabbiatura e di verniciatura. Proprio in questa specializzazione ha visto il suo maggiore sviluppo pur rimanendo una piccola azienda del territorio, composta da 16 dipendenti (ora con contratto a tempo indeterminato) e tre soci tra cui Morena Guerra che non nasconde la difficoltà dell’anno passato. “Il 2012 è stato un anno pessimo – commenta -. Intenso come mole di lavoro e di quantità di materiali da lavorare, ma disastroso per il numero di clienti non paganti. Dunque, un anno che ci ha messo a dura prova”.

Si parla di un fatturato di circa 2 milioni con un calo del 45% rispetto al passato. Così, se il numero degli insoluti cresce, il numero delle entrate diminuisce, a discapito dei dipendenti che a scaglioni hanno dovuto passare sotto la gogna della cassa integrazione. Una soluzione momentanea “in modo da non licenziare nessuno, ma garantendo un minimo a tutti”. Una scelta obbligata, si direbbe, visto che gli interventi di Ricci Sabbiature sono legati a doppio con filo con il settore dell’edilizia e della metalmeccanica, quelli più colpiti della crisi, specie nel nostro territorio. Dalla sua, però, quest’azienda ha almeno le banche con le quali “fortunatamente, non abbiamo avuto grossi problemi”. Per un solo e semplice motivo: “Siamo molto capitalizzati”. Ovvero: “Fin dagli albori abbiamo sempre lasciato i nostri utili all’azienda, reinvestendoli, e oggi questa azione ci è tornata buona nel momento del bisogno”.

Adriaplast: il packaging non cala

Si rinuncia a tutto ma non ai piaceri della tavola. Così, anche in tempi di crisi a tenere meglio i cali di fatturato ci sono le aziende del settore alimentare come Adriaplast, specializzata in packaging alimentare. Secondo l’osservatorio di questa impresa riminese, la partita si gioca tutta sulla lungimiranza: “Nel 2009 quando la crisi cominciava a sentirsi abbiamo fatto importanti investimenti in tecnologia, rinnovando il parco macchine, in sistemi avanzati – spiega Valeria Piccari, la titolare e presidente di Donna Impresa Confartigianato -. Questo ci è tornato utile oggi che il mercato, purtroppo, è sempre più difficile da interpretare perché si modifica nel giro di pochi mesi”. Con questa politica l’imprenditrice è riuscita a dare un lavoro alla sua famiglia e a 10 dipendenti (con contratto a tempo indeterminato). Nessuna cassa integrazione, nessun licenziamento. Anzi. Massima attenzione ai diritti dei lavoratori “perché prima del profitto viene la persona”. E non sono solo parole. Nel concreto l’azienda da tempo garantisce la conciliazione casa/lavoro con un orario continuato fino alle 15. “Certo, così non si combatte la crisi, ma è un modo per vivere meglio nelle difficoltà”. Con 75 milioni di imballaggi l’anno, con una distribuzione capillare legata ai maggiori caseifici d’Italia, ora la sfida è quella di varcare il confine nazionale. La Piccari sa per prima che non è facile, ma “per affrontare questo momento ci vogliono nuove idee, nuove situazioni e il 2013 sarà l’anno in cui mettersi in gioco”. Dalla sua, almeno per il momento, può contare su uno storico saldo dal 1968: una garanzia, specie quando si tratta di rapporti con le banche. “L’accesso al credito è difficilissimo, oggi più che mai. Ma abbiamo dalla nostra parte crediti con clienti validi e sani e quindi le banche non fanno tante storie”.