Scuola, missione (quasi) impossibile

I giovani e i cambiamenti sociali e culturali visti da alcuni insegnanti delle scuole superiori riminesi. Nonostante le difficoltà legate a nuove tecnologie, deterioramento della famiglia e crescente sfiducia nel futuro, insegnare è e resta una bella sfida.

Adele Righetti, insegnante di Italiano e Latino al Liceo “Einstein” di Rimini

Per insegnare, oggi, sono necessarie più qualità: una professionalità solida, un continuo aggiornamento con le nuove tecnologie e un equilibrio di fondo che è difficile mantenere. L’esperienza non basta. Me ne rendo conto dopo trent’anni di insegnamento. I ragazzi oggi sono molto più fragili, distratti da mille cose diverse oltre che smarriti dai nuovi richiami e intrattenimenti tecnologici. Questi cambiamenti hanno provocato un impoverimento lessicale che impedisce loro di analizzare e comunicare le proprie emozioni, creando così un substrato di insicurezza e paura che si sedimenta. I ragazzi fanno anche fatica a concentrarsi per un lungo periodo e sembrano aver perso alcuni valori che la nostra società, e a volte anche la famiglia, non è più in grado di trasmettere. Per noi insegnanti diventa fondamentale credere nel nostro lavoro per evitare che i nostri studenti, che hanno antenne sensibilissime, smettano di seguirci. Ed è necessaria una programmazione capace di coinvolgerli in un periodo storico in cui le speranze vengono meno e lo studio rischia di venire concepito come qualcosa fine a se stesso.

Luca Pizzagalli insegnante religione all’Einstein e Volta-Fellini

Insegnare significa soprattutto educare ma a sua volta finisce anche per far rima con essere educati. Il lavoro in classe passa sempre attraverso una relazione educativa che porta l’educando, il docente, ad essere a sua volta educato dai propri alunni in un confronto continuo di apprendimento ma anche di condivisione di vita. Ed oggi naturalmente tutto questo diventa sempre più una sfida nella sfida. La società, in cui tutto questo è inserito, è davvero vittima di tanta confusione ed ignoranza, perché bombardata da tante “false verità” che ci rendono tutti più “ignoranti”, perché “ignoriamo”, o perlomeno disimpariamo, quale sia il cammino verso il bene vero, un bene sempre più sconfitto da individualismo, narcisismo e perfezionismo. Questo cammino passa attraverso un rapporto di fiducia, rispetto ed carità (nel senso più cristiano dell’amore) con il proprio professore. L’era digitale non aiuta invece questo rapporto di fiducia, anzi aumenta la confusione, la frenesia e la mancanza di “vero” nelle relazioni. I giovani poi oggi faticano addirittura a sognare perché difficilmente sanno ciò che vogliono, anche perché nessuno (già dalla famiglia dove i genitori hanno abdicato al proprio ruolo di guide ed educatori) li ha aiutati a capirlo.

Roberto Rossi, docente di “Discipline meccaniche” all’Istituto professionale “Alberti” di Rimini

Il problema di fondo è che tutto ormai sta andando alla deriva. Il primo colpevole è lo Stato che, indipendentemente dai governi che si sono susseguiti, è capace di fare solo tagli. Il secondo problema è il deterioramento delle famiglie, sempre più fragili e inesistenti verso i ragazzi. Quando ci si interfaccia ai genitori, questi tendono ad addossarsi le responsabilità delle lacune dei figli, ma in questo modo il tentativo che noi docenti facciamo, di ripristinare le gerarchie che servono alla scuola per ottenere disciplina e risultati, viene vanificato. Il terzo grande problema è l’orientamento. Gli istituti professionali vengono visti come l’ultima spiaggia. Io ho una terza di 25-26 ragazzi tutti ripetenti e provenienti da ogni dove. Al tempo stesso dobbiamo formare meccanici, idraulici, ecc. con competenze notevoli, che sappiano gestire micro generatori, macchine ben diverse da quelle di qualche anno fa, impianti termici, fotovoltaici, e così via. Una volta con poche lavorazioni acquisite di tornitura e fresatura si faceva il dipendente della SCM a vita. Oggi ogni sei mesi le tecnologie cambiano.

Daniela Berlini, docente di “Tecnica e Accoglienza Turistica” all’Alberghiero “Malatesta” di Rimini

I giovani che si iscrivono provengono la maggior parte dalla scuola media e altri da insuccessi (bocciature) di altri Istituti: Licei. ITIS ecc… Le difficoltà maggiori sono quelle di scolarizzare dei giovanissimi adolescenti che purtroppo non conoscono le principali regole di comportamento. E’ difficile far capire che al mattino si saluta, si bussa prima di entrare, non si parla mangiando e soprattutto si devono rispettare gli orari. La scuola professionale  ha la riforma a pieno regime e quindi l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni costringe i ragazzi a  frequentare gli studi anche senza motivazioni. Inoltre, abbiamo tantissimi iscritti stranieri e questo per noi è davvero un impegno maggiore perché oltre alle diverse culture c’è anche il problema della lingua. Spesso i mediatori culturali che valutano i titoli di studio dei paesi stranieri non hanno sempre la certezza sulla validità del titolo da equiparare. E’  tutto ancora molto difficile nonostante la globalizzazione sia una certezza.

Raffaele Russo coordinatore ENAIP per Centro Zavatta di Rimini e Isiss di Morciano

Insegnare resta prima di tutto una missione, anche a livello educativo considerando le carenze che oggi esistono a livello di dialogo. Le difficoltà per noi insegnanti sono quotidiane. Molte volte si entra in classe pensando solo alla didattica. Al contrario è importante rendersi conto che lì davanti hai una persona con tutto il suo mondo. La didattica non è legata solo all’insegnare ma a far sì che rimanga nella mente e nel cuore dei ragazzi qualcosa. I ragazzi si sono più che resi conto della crisi economica e del fatto che bisogna orientarsi verso proposte che preparano al mondo del lavoro. Quanto alle tecnologie, i ragazzi hanno una capacità di apprendimento notevole a fronte di un’iperattività che impedisce di rimanere fermi e concentrati per tanto tempo. C’è bisogno quindi di una didattica diversa, che si avvalga dell’aiuto di slide, video, laboratori, e di un linguaggio semplice. Concludendo, le sfide sono molte, ma se un docente è pronto a mettersi in discussione (e non solo a giudicare il ragazzo che ha dei limiti) e a comprendere esattamente il suo ruolo e l’obiettivo che vuole ottenere, con i ragazzi si possono raggiungere grandi risultati.

Francesco Perez, insegnante di religione al Liceo Linguistico “Cesare-Valgimigli” di Rimini

Insegnare è affascinante, è una sfida. L’incontro con gli studenti e il lavoro con loro è sempre nuovo ed è molto impegnativo. È necessario sempre aggiornarsi: ricercare, leggere, studiare e confrontarsi con i colleghi. Non dobbiamo dimenticare però che noi siamo gli educatori, oltre che degli specialisti della nostra disciplina, e gli studenti, nonostante i vari “telefonini”, Ipad, Ipod, sono i giovani di sempre che stanno crescendo con le loro incertezze, ansie, speranze, desideri…

Il compito dell’insegnante è quello di accompagnare i ragazzi, passo dopo passo, anche nelle loro piazze “virtuali” (facebook, twitter, ecc.). Gli studenti mettono alla prova, si misurano con il docente, con la sua proposta e rispondono generosamente se capiscono che chi sta di fronte a loro è autentico e crede in ciò che fa. Non cambierei mai il mio lavoro per nessun altra professione perché la “sfida educativa”  permette di rimanere “giovani”. La scuola può essere considerata una “palestra” di vita, dove ancora gli studenti possono sbagliare, perché c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarli a rialzarsi. Frequentare la scuola, impegnarsi nello studio, è importante per diventare delle persone che sanno pensare autonomamente, capaci di scegliere e affrontare la vita consapevolmente. Purtroppo non sempre gli studenti riescono a capirlo perché è più facile “sopravvivere” imparando la lezioncina per ottenere un voto sufficiente.

Chiara Giovannini, vicepreside Liceo Classico “Cesare-Valgimigli” (insegna Italiano, Greco e Latino)

E’ semplicistico dire che oggi insegnare sia più faticoso. Se fatto bene, questo mestiere è sempre faticoso. Il nostro impegno oggi è su due fronti: da una parte la trasmissione di un sapere codificato, dall’altra lo sforzo di restare al passo con i tempi. In questa direzione la scuola cerca di ammodernarsi. Da parte dei docenti e dirigenti c’è grande sensibilità verso le lavagne interattive: grandi come quelle tradizionali, permettono di interagire grazie ad un software che può essere continuamente aggiornato e integrato con i libri di testo. La sfida più grande, anche alla luce delle nuove tecnologie e delle abitudini dei ragazzi, diventa quella di capire cosa tenere delle modalità tradizionali di insegnamento e cosa mollare. E’ vero che la lezione “frontale” è morta, ma il ragazzo cerca ancora una persona che possa fare da tramite, da filtro. La domanda da porsi è: i ragazzi di oggi di quale sapere saranno figli? Se si tiene ferma quella parte di disciplina che serve a costruire un metodo (ad esempio, come si insegna la matematica, la storia, ecc.), questa parte metodologia può essere sfruttata per creare qualcosa di nuovo, senza nulla togliere, però, alla fatica della memorizzazione e del sapere. Solo così si potrà trasformare la curiosità temporanea dei ragazzi in un sapere che duri nel tempo”.