Sturt up: dall’idea all’impresa

Sturt up, secondo la definizione più accreditata,  è una impresa appena costituita o un progetto di impresa, operante in ambiti innovativi, con intensi piani di crescita, che ha bisogno di apporto di capitale nella fase iniziale.   Non è quindi una semplice nuova impresa, ma qualcosa di più.

Da non confondere con le spin-off, che è un termine usato di solito per connotare quelle start up i cui fondatori provengono da altre aziende (i cosiddetti “corporate spin-off”) o da università o enti di ricerca (gli spin-off accademici).

Le startup rappresentano quindi un sottoinsieme delle nuove imprese che vengono censite ogni anno dalle statistiche nazionali.  Ma mentre la gran parte delle nuove imprese opera in ambiti tradizionali e senza prospettive di crescita rapida ed intensa e, come tali, non possono essere considerate startup, per quelle vere è diverso. Perché pur rappresentando, le sturtup come sopra definite,  una componente numericamente minoritaria, sono connotate da maggiore dinamicità e rilevanza in termini di prospettive. Da queste difatti, come mostrano le più recenti analisi, dipendono le possibilità di crescita economica futura ed occupazionale di molti sistemi locali e di paese.

Nel Rapporto 2011, dedicato alle sturt up italiane, la Fondazione Mindthe Bridge, con base nella Silicon Valley Californiana (Stati Uniti), ne traccia un profilo che è molto utile per capirne le dinamiche.

Delle circa mille censite (sono quelle che hanno fatto richiesta di un qualche finanziamento agli investitori) emerge questo profilo dello sturtupper italiano:

– Ha in media 32 anni, è di sesso maschile nella grande maggioranza dei casi (87%, come confermato anche da altri studi, sebbene la percentuale di donne risulti in aumento rispetto allo  scorso anno), ha un livello di istruzione medio-alto ed ha accumulato esperienze lavorative e imprenditoriali precedenti.

– La maggior parte degli imprenditori sono nati al Centro Nord (41% al Centro, 37% al Nord), solo il 22% al Sud o nelle Isole.

– Le startup hanno un gruppo di fondatori composto in media da 2/3 persone ed impiegano in media da3 a4 dipendenti. Non si tratta quindi di “un uomo solo al comando”, ma di gruppi imprenditoriali che aggregano competenze differenti.

–  Due terzi degli imprenditori hanno un background scientifico (61%), mentre un terzo ha

una educazione di impostazione umanistica. Tali dati confermano la “trazione” scientifico tecnologica delle startup innovative e, al contempo, contribuiscono a spiegare le difficoltà che molte trovano nel costruire un business. Persone con un background tecnico ingegneristico faticano a trasformare la propria idea in impresa, soprattutto se non sono in grado di supplire a competenze manageriali attraverso l’ampliamento del nucleo imprenditoriale.

– Il 90% circa ha una laurea di primo livello, mentre il 60% circa ha conseguito anche una laurea specialistica.   Tra le università più gettonate risultano il Politecnico di Milano, l’Università di Roma La Sapienza e l’Università degli Studi di Firenze.

– In quali ambiti tecnologici operano le startup italiane?   Le imprese web based fanno la parte del leone: il 60% della popolazione opera in quest’ambito. A queste si aggiunge un ulteriore 25% che si concentra sulle Information and Communication Technologies (ICT).

– Da sottolineare come una percentuale importante (9%) abbia deciso di andare all’estero. Questo dato (in crescita negli ultimi anni) va letto come un segnale della sempre minore competitività del nostro paese nell’attrazione degli investimenti e nello specifico delle nuove imprese.

– I fattori che maggiormente influenzano la scelta della  dislocazione di una startup sono: i luoghi ove viene svolta la formazione di più alto profilo (dottorato e master) e quelli ove sono state svolte le prime esperienze lavorative. Di conseguenza, emerge chiaramente come il potenziamento dei programmi specialistici delle università (sia in ambito tecnico-scientifico che manageriale) sia l’investimento più efficace per sostenere la creazione di impresa.