Rimini: lungomare da progetti “star” e questioni aperte

Diciamolo francamente: nella zona mare di Rimini, l’unica costruzione che agli occhi di un visitatore appare meritevole di una foto ricordo è ancora il Grand Hotel. Questo vuol dire che dai tempi delle collezioni di cartoline del poligrafico Alterocca di Terni, inizio Novecento, che metteva appunto il Grand Hotel tra le cose belle d’Italia, si è costruito tanto ma niente da meritare una foto ricordo.

Poi un lungomare pieno di macchine, pericoloso, rumoroso e inquinato da gas di scarico, rare piazzole di verde dove poter stare tranquilli, il mare che resta invisibile dalla passeggiata, nascosto dietro una fila compatta di capanni degli anni cinquanta, non sono un buon passaporto per il futuro.

Cambiare quindi si deve. Ma come e per cosa? Nella decisione di approvare lo studio di fattibilità per il project financing (termine astruso per dire che un privato metterà i soldi a cambio di un atteso ritorno economico) da piazzale Marvelli a piazzale Gondar, della Giunta Comunale del 31 gennaio 2008, l’obiettivo dell’intera operazione viene così riassunto: “ promuovere in maniera innovativa, sia dal punto di vista delle soluzioni ambientali che architettoniche, l’attrattività e l’apertura del territorio al flusso turistico per l’intero arco dell’anno”. Obiettivo molto “ampio” ma parziale, come spiegheremo in seguito.

Per iniziare alcune domande preliminari che avrebbero bisogno di chiarimenti puntuali: in che rapporto sta il futuro Piano strategico e Piano strutturale comunale con il Progetto Lungomare ? Come si può ridisegnare un pezzo importante di città, prima ancora di averne definito le future linee generali di sviluppo ? Non si corre il rischio di svuotare lo stesso Piano strategico e Piano strutturale? Non sono questioni di poco conto, perché investono la coerenza e l’unitarietà del disegno di sviluppo della città, per di più strategico, che non è certo fatto della sommatoria di pezzi che vanno per conto loro (comunque non sarebbe la prima volta che un Piano strategico viene abbandonato perché è già successo, tra gli altri, a Verona e Ferrara).

Una preoccupazione non infondata, se la stessa società Oikos, consulente per il Piano strategico del Comune ha potuto scrivere, nel suo documento “Scenari territoriali e dimensione urbanistica”, che nel passato “Le grandi potenzialità dispiegate da questi progetti (si riferisce alle grandi opere) hanno faticato a diffondere il loro tasso di qualità al contesto urbano. Il nuovo quartiere fieristico, ad esempio, ha creato i presupposti per una serie di trasformazioni al suo contorno che tendono a fruire di una posizione localizzativa favorevole più che contribuire a ridisegnare su alti standard qualitativi una parte importante di città.

Se quindi dietro alcune scelte è possibile riconoscere un disegno ed una volontà progettuale ben definita, si registra però il fatto che in molti casi tale progettualità si arresta ai “confini” dell’intervento, senza riuscire a riorganizzare in modo adeguato il sistema urbano” (pag. 13).

Cosa garantisce che il recente passato non si ripeta e che il Progetto Lungomare si arresti, per l’ennesima volta, ai confini ? Un esempio della necessità di guardare oltre i “confini” è quello della mobilità: sarà sufficiente costruire parcheggi interrati per migliorare l’accesso e la circolazione in zona mare, oggi garantito solo da due vie di penetrazione, quando basta un acquazzone per bloccare un sottopasso ? E nella fascia mare come si armonizzerà il nuovo all’esistente, che convivranno a poche decina di metri di distanza ? Ci penserà il mercato da solo, senza garanzia d’esito, oppure è meglio pianificarlo prima ?

Rilievi e timori non infondati se anche il Censis, sempre su incarico del Comune di Rimini, nel documento Analisi dei processi socio-economici in corso”, del gennaio 2008, dopo aver segnalato l’eccezionale aumento dei valori immobiliari degli ultimi anni, superiori al resto della regione, non può esimersi dallo scrivere che “Una collettività che patrimonializza può rappresentare un elemento positivo, ma occorre evitare che l’economia della rendita prenda il sopravvento sull’economia del reddito (pag. 9)”.

Insomma, il passato non autorizza a sorvolare su nodi importanti dei progetti in corso. Anzi, se è possibile, ci sono elementi che accrescono le preoccupazioni: per esempio, come è potuto accadere che i progettisti abbiano potuto proporre la trasformazione di una piazza (Kennedy) in albergo, di fatto privatizzando un luogo pubblico ? E’ stato solo frutto della loro creatività ?

Se i valori delle città, tanto più di questa parte dedicata alla vacanza, sono l’incontro, lo scambio fisico, ma anche il lavoro, come è possibile pensare di togliere quei pochi spazi pubblici che restano, invece di ridargli magari vita ?

Forse, come scrive Renzo Piano, si è dimenticato di “considerare una piazza, una strada, un parco dal punto di vista di chi ci deve andare. Non da quello del committente o del critico o dell’architetto che progetta. Le città sono lo specchio della nostra società e oggi stanno perdendo i luoghi d’appartenenza, di partecipazione. Diventano città virtuali, dove ci si limita a guardare e a essere guardati” (La Repubblica, 22/11/2005).