Il lavoro domestico svolto dalle migranti

Tra le tante, e non sempre incoraggianti, notizie che riguardano il mondo del lavoro finalmente ne compare  una positiva: dal 2008 a fine 2015, nelle famiglie riminesi sono stati creati 1.500 nuovi posti di lavoro (+ 38% !).  Che corrisponde all’aumento ufficiale, con tanto di certificato Inps, perché vuol dire che  sono stati pagati  contributi, dei lavoratori domestici. Di quelle persone, cioè, che ci danno una mano a sbrigare le faccende domestiche, in particolare per assistere qualche familiare anziano o malato.

Incremento di lavoratori domestici che presenta quattro particolarità. La prima è una conferma: più di nove su dieci sono donne. Però qualcosa, anche se piccolo, si è mosso: perché se nel 2008 le donne coprivano il 95 per cento dei posti, nel 2015 sono scese al 93 per cento. Vuol dire che più uomini (da 199 nel 2008 a 375 nel 2015)  si sono offerti per svolgere un lavoro generalmente monopolio femminile. Uomini in prevalenza stranieri, visto che gli italiani sono saliti solo da 24 a 59.

Terzo aspetto: il lavoro domestico rimane saldamente in mano a  lavoratrici immigrate (83 ogni 100). Però anche qui, e arriviamo all’ultima annotazione, c’è stato qualche cambiamento, anche se marginale, perché è cresciuta la presenza delle donne riminesi: erano 623 nel 2008, sono diventate  876  nel 2015.     Probabilmente la crisi e la mancanza di alternative ha convinto un po’ di persone che comunque era una opportunità da non trascurare. Un settore, il lavoro domestico, che rimane comunque dominato da lavoratori immigrati. Se non ci fossero dovremmo provvedere da soli e forse tanti non ce la farebbero.

Ma chi sono le collaboratrici familiari ?   Secondo uno studio nazionale di Iref (Istituto di Ricerche Educative e Formative), in collaborazione con il Patronato Acli, una collaboratrice su quattro  è rumena, un altro 25 per cento è di nazionalità ucraina, l’8,3 per cento viene dal Perù, il 7,4 per cento dalla Moldavia.  In generale le donne dell’est-europee sono due terzi del campione. Solo il 5,2 per cento delle lavoratrici è di nazionalità italiana.  Quanto alle modalità di svolgimento del lavoro, nel 60 per cento dei casi la lavoratrice coabita con la persona che assiste.

Il lavoro è piuttosto pesante, tanto che un terzo delle intervistate dichiara di lavorare 60 ore, o più, a settimana, mentre il resto fa comunque più ore di quelle previste dal contratto nazionale di lavoro (54 ore settimanali per una lavoratrice assunta full time).

Un lavoro che produce logoramento fisico. Ma anche psicologico:  il 39 per cento soffre infatti di insonnia, mentre il 34 per cento delle donne intervistate afferma di soffrire di ansia o depressione. 

 Tutto questo per un salario medio mensile di 800 euro, circa 4 euro l’ora (meno di un voucher!).  Ma qui bisogna fare anche i conti con le disponibilità economiche delle famiglie: alcune magari non possono pagare di più. In questo caso per dare dignità al lavoro  dovrebbe intervenire, con un aiuto, anche lo Stato.