Economia drogata..da infiltrazioni criminali

di Angela De Rubeis

Multiculturalismo mafioso. Non si potrebbe che definire così il panorama criminale dell’opulenta Italia del nord, Emilia Romagna compresa. Rimini compresa. L’allarmismo che nell’ultimo quinquennio si è respirato in questi territori ha lasciato spazio ai numeri delle operazioni della Guardia di finanza e delle varie direzioni investigative antimafia (Dia) che si dislocano sull’intero stivale. Nessun confine qui. Le Dia italiane indagano oltrepassando i confini territoriali e il loro dinamismo è lì a testimoniare come le organizzazioni criminali ci abbiano messo un attimo a lasciare la loro casa per andare a fare affari fuori zona. La moderna emigrazione, il moderno sacco sociale del Mezzogiorno non è più fatto di braccia, di operai che si dirigono verso la Fiat di Torino e l’industria milanese, ma è fatta di banconote, di immateriale denaro, ma anche di affari, di lavori, di appalti. L’emigrazione non è più “poveraccia” ma imprenditoriale.

Perché multiculturalismo mafioso?

Qui le mafie convivono. Si spartiscono la torta, vivono e convivono anche con le organizzazioni transnazionali, creando un equilibrio stabile, frutto
di un bilanciamento di interessi. “È solo business” recitava nella sua più famosa battuta il don più conosciuto della storia cinematografica, il don Corleone e Il padrino di Coppola.
Fumo negli occhi l’assenza di violenza sui territori? Sicuramente. La
pace fa fare affari. Nella relazione del primo semestre del 2008 la Direzione Investigativa Antimafia si cita la presenza della ‘Ndrangheta in molte province dell’Emilia Romagna, Parma, Piacenza ma anche Rimini: “Ove pure operano cellule di cosche crotonesi e reggine attirate dai mercati locali del gioco d’azzardo e del traffico di stupefacenti”. Anche se ciò che preoccupa di più la Dda è il pericolo di infiltrazione di cellule criminali nel tessuto economico regionale. Affermazioni che sono state confermate e discusse nell’ambito di un altro importante documento, il report realizzato da Libera (con il sostegno della Regione) concentrato proprio sull’Emilia Romagna. Numeri, considerazioni e valutazioni che nascono da un’associazione che dell’antimafia ha fatto la sua ragione di vivere ma che ha visto nella partnership della Regione una novità interessante.

RIMINI, ALTRO CHE ANTICORPI…

“Sino a qualche anno fa, quando un magistrato o qualcun altro parlava di mafia in Emilia Romagna – ricorda Pier Giorgio Morosini, cattolichino e giudice delle indagini preliminari a Palermo – c’era sempre il politico di turno che diceva che quelle affermazioni erano azzardate e che avrebbero portato cattiva pubblicità in un territorio a vocazione turistica qual è il nostro”. Tutto vero, ma adesso la Regione Emilia Romagna promuove uno studio a tutto tondo sui fenomeni criminali presenti sul suo territorio. Segno che qualcosa è cambiato? Sicuramente alcune cose sono diventate più evidenti. Gli ultimi dieci, e più intensamente cinque anni hanno portato alla luce fenomeni che sino a questo momento erano nascosti. Il dossier di Libera ne parla apertamente. Zone come Reggio Emilia, ma anche Parma, sono state palesemente vittime del prosciugamento e insediamento di talune famiglie criminali, ‘ndranghetiste in particolare. Ma anche Rimini ha avuto le sue belle docce fredde, vedi l’operazione Vulcano (vedi secondo pezzo).
I fatti sono venuti alla luce e gli emiliano-romagnoli ne sono stati protagonisti, spesso vittime. Ci si è a lungo raccontati la favoletta degli anticorpi sociali, della società capace di denunciare, di non essere omertosa, di tirare su la testa ed evitare il peggio, ma le cose si sono rivelate più difficili di quanto ci si potesse aspettare. Ci si aspettava che le mafie portassero violenza, e invece non c’è stata evidente violenza. Ci si aspettava che i territori pervasi dalle mafie fossero territori palesemente degradati, così come ci arrivano le immagini dei quartieri di Palermo o di Napoli e i nostri hanno continuato ad avere zone verdi, oltre a diversi metri cubi di cemento in costruzione. Ci si aspettava che le attività criminali fossero visibili, che gli uomini di mafia fossero riconoscibili e invece si sono nascosti in una nebulosa zona grigia che ha, più o meno consapevolmente con più o meno colpe e connivenze, ingannato e depistato.
Sono stati gli stessi boss a spiegare il modo in cui operavano. Molte intercettazioni, di uomini d’affari “moderni”, hanno reso palesi conversazioni tra capi e gregari, tra il centro e le periferie
criminali che, in poche parole, spiegavano una strategia vincente: “un fari scusciu”, non fare rumore.
Il silenzio per fare affari è il miglior alleato immaginabile. “Droga, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione: business illegali che movimentano grandi quantità di denaro, dietro alle quali, in
ultima battuta e dopo aver escluso la filiera della manovalanza, non possono che nascondersi organizzazioni di stampo mafioso” si legge nel report.


IMMENSE MOLI DI DENARO

Seppure questa regione abbia delle caratteristiche differenti rispetto alle più pervase Lombardia e Piemonte non si è più potuto negare che i mercati illegali siano pienamente controllati dalle organizzazioni criminali. Questo era immaginabile, a tratti accettato e consolidato come fatto. Sino a qui ci si muoveva nel territorio dell’illecito, quello che meno si è riuscito a comprendere, e vedere, è stato il sistema di narcotizzazione dell’economia legale. L’economia è stata letteralmente drogata, devastata nei suoi naturali processi da imponenti moli di denaro che le organizzazioni criminali hanno messo sul piatto della bilancia. Il discorso qui diventa complesso, le modalità di infiltrazioni economiche sono molteplici e variegate, la fantasia di certo non manca. Si parla di usura, ma non di usura semplice bensì di un sistema di strozzinaggio che ti porta a cedere l’azienda. Si parla della possibilità di accedere ad un appalto pubblico giocando al gioco del ribasso del prezzo perché si hanno a disposizione grandi somme di denaro e perché quel lavoro diventerebbe pretesto per lavare i soldi sporchi, derivanti dai traffici illeciti. Si parla, poi, di aprire attività o realizzare appartamenti grazie a quei soldi ripuliti. Insomma si parla di un’economia completamente drogata, come dicevamo. In quest’ottica, nell’ottica del “è solo business” questi territori non possono che apparire delle isole felici per i criminali. Qui si ricicla che è una meraviglia grazie alla possibilità di fatturare, come ci hanno insegnato in matematica “al limite dell’infinito”, attraverso i locali da ballo e le attività turistiche. E poi si possono prendere appalti, si possono costruire appartamenti e aziende senza che queste sembrino delle cattedrali nel deserto come invece sembrerebbero se i territori fossero quelli degradati del sud ai quali accennavamo in precedenza. Una vena d’oro, l’Emilia Romagna. “Una sorta di speciale attitudine a guidare sofisticate manovre di infiltrazione economica e mimetizzazione sociale, realizzate talvolta mediante il ricorso all’estorsione e all’usura, ma più spesso attraverso l’azione di proprie espressioni imprenditoriali fiduciarie (soprattutto nel mercato delle opere pubbliche e, in genere, dell’edilizia) ovvero la gestione di complesse operazioni di reinvestimento speculativo di capitali di origine delittuosa”. Non a caso tre dei cinque beni confiscati alla criminalità organizzata a Rimini sono aziende. Non a caso sei mesi fa il Sole 24 ore, nel pubblicare un rapporto redatto dai funzionari di polizia italiana, giungeva alla conclusione che in una città come Rimini si ricicla più che a Palermo. Nessun caso. “E’ solo business”.