Voucher: lavoro a basso costo

di Gabriele Rodriguez

Sandra – il nome è falso ma la storia è vera – ci ha avuto a che fare tre volte nella sua vita professionale. In un bar è stato tutto regolare: a 40 ore di servizio settimanale corrispondeva un buono-lavoro da 40 ore: «Mi hanno presa con i voucher per il periodo di prova, poi mi avrebbero assunta con un contratto ma ho trovato altro». In un altro bar invece è stata chiamata durante il periodo natalizio come personale extra: «42 ore di lavoro settimanali, di cui 38 pagate in nero e 4 con i voucher» . Infine un negozio sul lungomare, un paio di mesi in estate, soprattutto nei week end: «Lì era tutto in nero. Non ho mai visto un voucher. Loro ne avevano fatto richiesta, da quello che mi hanno raccontato li hanno presi. Però, non passando controlli, li tenevano lì. Forse mi avrebbero fatto fare tutta la stagione così; o probabilmente dopo un po’ me ne avrebbero dato qualcuno».

Stiamo parlando dei voucher INPS, la nuova veste della precarietà. Che spesso copre anche il nero. Sono buoni-lavoro del valore base di 10 €, corrispondente a un’ora di lavoro, che il committente – il datore – può acquistare per pagare un prestatore – il lavoratore – in caso di lavoro accessorio. Al lavoratore vanno 7,50 €; 1,30 sono per contributi pensionistici, 0,70 per l’assicurazione da infortuni, 0,50 per la gestione del servizio.

Sono nati nel 2008 per regolarizzare attività saltuarie come la vendemmia e le raccolte nei campi svolte da pensionati e studenti, i servizi domestici come le ripetizioni, il baby sitting, le pulizie. Non prevedono indennità per malattia, ferie, disoccupazione, ma è legittimo, finché parliamo di  impieghi del genere.

Poi però ogni governo ne ha ampliato l’uso, fino a consentirlo a “imprenditori operanti in tutti i settori”. Ora se ne vendono milioni. A Rimini, più che in altre province, è un vero boom, ed ha generato un comprensibile allarme. Ogni anno sono raddoppiati: si è passati da 391.000 nel 2013, a 845.000 nel 2014, 1.592.000 nel 2015.

Il funzionamento è semplice, così come il possibile raggiro: se ho un’attività posso registrarmi all’INPS e acquistare i buoni lavoro in una sede dell’Istituto di previdenza, oppure on-line, alle poste, o al tabacchi (quest’ultima è la modalità più usata). Dovrò indicare un periodo di validità, da un giorno a un massimo di un mese, poi comunicare i dati del lavoratore che pagherò coi buoni e l’effettiva attivazione, che si può fare anche il giorno in cui si comincia. Posso comprare mettiamo 30 ore di lavoro valide dal 1 al 30 aprile. Mi costerebbe 300 € (30 ore da 10 €) più 1,70 € di commissione se le acquisto al tabacchi. A questo punto, il prestatore potrebbe lavorare nel mio locale regolarmente in quei 30 giorni, e poi riscuotere il buono, cioé il compenso, dal tabaccaio. In caso di ispezione sarei a posto: sui voucher non è indicato l’orario di lavoro ma solo il periodo. Non è raro quindi che succeda come a Sandra: si paga una parte di ore con i buoni, e il resto in nero.

Isabella Pavolucci, responsabile settore turismo e commercio della CGIL di Rimini, è netta: «Di fatto è un  metodo bieco per nascondere anche del lavoro nero: li tengo nel cassetto e all’occorrenza li tiro fuori. (…) Non c’è possibilità di prevenire e denunciarne l’utilizzo, perché se un lavoratore per un mese lavora con i voucher (e abbiamo anche casi peggiori), non abbiamo degli elementi per contestare che è un lavoratore dipendente. Se è stato sotto il tetto previsto dalla legge, è a posto come rapporto di lavoro».

L’unico limite all’uso è economico, e vale solo per il prestatore: non si può lavorare per più di 7.000 € netti di voucher l’anno, di cui 2.000 € ricevuti dallo stesso committente. Se il datore rispetta il tetto di 2.000 per ogni lavoratore, è a posto.

Massimiliano Chieppa, Ispettore del lavoro della Direzione di Rimini, lo conferma: l’unica pregiudiziale è quella, la legge parla di lavoro accessorio, e nel definirlo si richiama solo al limite economico. Non c’è molto da fare per le attività di controllo. In caso di ispezione, se non c’è la collaborazione del lavoratore – che è la parte debole – non si può provare un uso scorretto. «Quando si va in azienda il lavoratore non è disponibile a raccontarla tutta», dice Chieppa, e conclude: «Non ricordo qui la denuncia di voucher utilizzati male».

Isabella spiega il nonsenso di definire “accessorio” un impiego solo in base al reddito. Ci sono donne delle pulizie che hanno regolari contratti part time da pochissime ore, a tempo indeterminato, con i quali non raggiungono i 7.000 € annui: «Non puoi legare un rapporto di lavoro al reddito: tutti quei rapporti di lavoro potrebbero essere fatti con i voucher. È il meccanismo che è sbagliato. Aveva senso quando lo definivi un lavoro accessorio fatto per prestazioni occasionali e limitate nel tempo, per precise casistiche, magari legato all’età, per studenti». E aggiunge: «Il problema è che con le deregolamentazione selvaggia (…) di fatto sta sostituendo rapporti di lavoro subordinato».

Infine tocca un altro nodo: «Poi è anche una forma dumping fra le aziende, perché se io sono un imprenditore serio che assume il lavoratore con un contratto a tempo determinato classico, e di fianco ho un mio competitor che assume con i voucher… insomma, ci sono anche dei fenomeni di concorrenza sleale fra le imprese».

Al Centro per l’Impiego di Rimini Daniela Baldoni spiega: «E’ ovvio che i dati siano alti, ci sono varie cause: primo, le aziende si sono trovate a doverli utilizzare a fronte del fatto che gli hanno tolto dei contratti che facevano comodo, cioè le collaborazioni, e quindi non hanno alternativa. Secondo, trovano risposta nei disoccupati, i quali lavorando coi voucher possono continuare a prendere il sussidio, senza dover sospendere la disoccupazione e poi riattivarla alla fine del contratto. Queste due motivazioni spiegano l’aumentare del voucher. Oltre alla terza, quella principale: il fatto che il governo li ha  potenziati».

Il jobs act, infatti, ha innalzato la soglia massima, che prima era di 5.000 € netti all’anno.

Daniela rivela: «Ad una collega è successo che venisse al Centro una persona che ha raccontato di aver lavorato come cuoco assunto con voucher». Poi: «Almeno sei assicurato. Se l’alternativa è il lavoro nero, (…) se devo scegliere tra un voucher e il lavoro nero – perché l’alternativa è quella, diciamocela tutta – almeno col voucher sono tutelato».

Poi accenna a vicende sconfortanti di cameriere ai piani pagate 3,5 € all’ora da cooperative di cui si avvalgono alcuni alberghi, e conclude: «Se io avessi pensato di offrire dei voucher a dei disoccupati anche solo 3 anni fa, mi avrebbero riso in faccia! Invece siamo arrivati al punto che l’alternativa è fare le pulizie a 3 euro all’ora… Il fenomeno me lo spiego benissimo rispetto al mercato del lavoro che c’è a Rimini in questo momento».

Guardiamo i numeri. Oltre alla crescita costante e impressionante, salta agli occhi la quota dei voucher nel turismo, che in provincia vale il 30%. E forse ancora di più: il 36% del totale venduto nel 2015 non è censito per settore, altro segno della difficoltà a controllare il fenomeno.

Sono dati che dimostrano come i buoni godano di un notevole favore presso gli operatori del settore. Partizia Rinaldis, presidente dell’Associazione Albergatori, in un’intervista rilasciata a Report per un’inchiesta sul tema, ha invitato a non criminalizzare, per colpa dell’uso distorto che ne fa qualcuno, uno strumento che è importante perché offre una soluzione immediata e regolare ad esigenze improvvise di personale. «Se ti si fa male un cameriere quella giornata stessa (…) puoi chiamarne uno e regolarizzarlo immediatamente», ha detto. Ed è così.

Il fatto è però che l’uso distorto sembra troppo facile, connaturato allo strumento. Perché rendere così agevole l’abuso?

Al di là poi delle considerazioni di ognuno sul valore del lavoro in un Paese che prevede che si vada a riscuotere il compenso della propria prestazione dal tabaccaio – il buono di fatto è uno scontrino che incassi come una schedina – il dato essenziale è che i voucher sono precariato puro. Non prevedono malattia, ferie, maternità, TFR, sussidi di disoccupazione. E’ bene ripeterlo. Dovrebbero essere limitati a prestazioni davvero saltuarie.

Quindi registriamo con fiducia l’iniziativa di Tiziano Arlotti, il deputato PD che ha presentato una interrogazione per monitorare e contenere il fenomeno, e le aperture del Ministro Poletti su modifiche alla legge. Si tratta del jobs act, e qualcuno ne aveva previsto per tempo effetti come quelli di cui stiamo parlando oggi: anche questo lo registriamo volentieri.