Vita di qualità: la Romagna ha qualcosa da recuperare

Le classifiche, compreso le risalite o le retrocessioni, sono sempre opinabili. Basta cambiare un paio di indicatori e tutto può mutare (infatti Milano, che per certe classifiche è prima, per altre addirittura 55ma).  Quindi la loro importanza, anche se nelle giornate delle pubblicazioni se ne fa un gran parlare, è relativa, mentre può essere più utile entrare nei dettagli.

Uscendo pertanto dalle graduatorie, di chi sta sopra e chi se la passa meno bene, che comunque contano,  il pregio di queste classifiche  è quello di fornire una serie di dati omogenei, cioè presi allo stesso modo per tutte le province, altrimenti piuttosto laborioso da reperire.

Ne abbiamo selezionato alcuni per mostrare  il posizionamento della Romagna rispetto al resto dell’Italia e della Regione di appartenenza, simbolicamente rappresentata dal capoluogo Bologna.

Cominciamo con l’economia e la produzione di valore, cioè della ricchezza, che incide abbastanza sul benessere dei cittadini.  Si conferma quanto da tempo andiamo scrivendo: cioè che il sistema economico delle tre province della Romagna  produce meno valore del resto della Regione, e nel caso di Rimini quasi la metà di Milano, in testa nelle classifica nazionale.  Detto in altro modo: Bologna produce un quarto del valore (36,9 mila euro) in più  rispetto a Forlì-Cesena e Ravenna (29,1 mila euro), ma la distanza aumenta se il confronto si fa con Rimini (26,6 mila euro).

Perché non basta avere tante imprese  (11-12 ogni cento residenti),  e nemmeno essere ai primi posti  nelle classifiche delle start up innovative,  pur positivo, se queste producono poco valore,  l’occupazione resta indietro, soprattutto quella giovanile, le esportazioni sono ridotte, perché sono poche le aziende competitive.   Sappiamo che molti di questi squilibri sono da addebitare al turismo,  attività in generale a minore valore aggiunto, tanto più quello locale, non a caso fermo da qualche decennio, nonostante la crescita internazionale (l’appello recente, dell’Associazione albergatori, rivolto ai soci, di non scendere sotto i 30 euro per notte è significativo, quando in Spagna la tariffa media giornaliera 2018 è stata di 114 euro).

Se il valore che l’economia del territorio crea è minore, i salari saranno più bassi, comprese le pensioni, tanto più con il calcolo contributivo.  Infatti un pensionato riminese  deve accontentarsi  di 775 euro mensili, un quarto meno di Bologna  ed un terzo inferiore di un milanese.  Vanno un po’ meglio i pensionati forlivesi e ravennati.

Meno ricchezza in circolazione taglia i depositi bancari,  nelle province della Romagna sono meno della metà di quelli di Milano ed un terzo inferiori a  Bologna. Ma riduce anche le spese per gli acquisti, comprese quelle per viaggi e turismo.

Tutto questo capita in un territorio che invecchia, come tutti gli altri d’altronde,  a ritmi crescenti (a Rimini, la provincia più giovane, ci sono 169 ultra sessantacinquenni per ogni 100 giovani tra zero e 14 anni, ma le altre province sono messe peggio) e dove la natalità è ben lontana da coprire il calo naturale della popolazione (ci vorrebbero 2,1 figli/e per donna , invece siamo a poco più di uno).

Una bassa spesa sociale per minori, disabili e anziani, in particolare in provincia di Rimini, salita a 37 euro per abitante, va già meglio rispetto ai 21 euro dell’anno scorso, ma è ancora insufficiente rispetto i 54 euro di Forlì-Cesena  e gli 89 euro di Ravenna.

Qui bisogna aggiungere che la spesa sociale complessiva corrente 2017 dei comuni della provincia di Rimini è comunque di 136 euro pro capite, di Forlì-Cesena 129 euro e di Ravenna  176 euro (RER, Finanza del territorio).

L’immigrazione, appena 3 migranti ogni cento residenti, quindi niente invasione come qualcuno va raccontando, copre un po’  i vuoti lasciati dalla demografia, ma purtroppo c’è anche un non trascurabile fenomeno migratorio, di tante persone, tra cui molti giovani, che decidono di trasferirsi altrove, sicuramente alla ricerca di migliori opportunità.  Non ci sarebbe niente di male, anzi, andare all’estero potrebbe rappresentare un percorso formativo ottimo, sempre a quando poi ci siano le condizioni per ri-accoglierli al ritorno. Rimanendo però questa situazione le opportunità  sono ridotte.

La conferma di queste differenti opportunità, innanzitutto tra Emilia e Romagna, dovrebbe accendere qualche allarme nei decisori delle scelte di politica economica.  Perché non si tratta di situazioni contingenti, bensì strutturali.