VICI: una buona pratica di internazionalizzazione

Le crisi sono sempre difficili da affrontare. Rompono equilibri, cambiano le regole, obbligano a ripensare prodotti e processi. Però possono anche diventare delle opportunità, magari anticipando idee che si avevano già nel cassetto.  E’ il caso della ditta VICI  di Santarcangelo, un’azienda tecnologicamente avanzata, 34 anni di storia, 60 addetti, di cui una decina assunti negli ultimi due anni, 40 milioni di euro di fatturato nel 2010, otto in più del 2007, l’ultimo anno buono prima della crisi,  che si è fatta sentire sottraendo un 30 per cento di fatturato nei due anni successivi.

Due le chiavi di svolta: tanta ricerca, quasi tutta realizzata in azienda nonostante i tentativi di stabilire forme di collaborazione con Università,  e la decisione di andare sui mercati con prodotti a marchio proprio.

Ma ripercorriamo un po’ la storia facendoci spiegare cosa è successo da Luca Vici, Amministratore delegato, giovane imprenditore di seconda generazione, nonché membro della Giunta di Confindustria Rimini.

Da anni Vici opera nel settore dell’ automazione industriale (linee di assemblaggio, isole robotizzate, banchi di prova, quadri elettrici, ecc.), sempre e per conto di importanti aziende nazionali e internazionali. Produzioni sofisticate, generalmente a richiesta del cliente, in una forma che si potrebbe configurare come un contoterzismo avanzato, dove però il marchio dell’azienda in pratica non compare quasi mai. Ciò, come sempre avviene in questi casi, toglie all’azienda qualsiasi autonomia e la espone agli umori del mercato, ma anche del committente. Poi c’è un secondo aspetto, prosegue sempre Vici, limitativo: “l’automazione industriale è quasi un servizio, il committente può chiamare in qualsiasi momento e bisogna essere pronti ad intervenire, perché alcune macchine, costose, non possono stare ferme. Un prodotto-servizio di questo tipo risente quindi della distanza  e se un committente è troppo lontano, non si può intervenire subito. Per la stessa ragione non è facilmente esportabile. Da qui il limite per lo sviluppo dell’azienda.  Riflettendo su questo e volendo arrivare sul mercato con prodotti propri,  abbiamo deciso di lanciare, nel 2010, ma l’idea covava da tempo ed avevamo già investito molto in ricerca, una linea di macchine ottiche per misurazioni di precisione di particolari torniti in forma cilindrica.  In pratica sono macchine che devono misurare la precisione di pezzi molto differenti tra loro da particolari molto piccoli a più grandi, dalle viti delle implantologie dentali a pezzi torniti di maggiore dimensione. Prima non avevamo prodotti nostri con cui presentarci sui mercati e questo è stato un salto. Tra l’idea e la realizzazione della prima macchina, il cui costo varia dai 20 ai 50 mila euro, da vendere ci sono voluti tre anni”.

Un passaggio che, oltre a tanta ricerca (l’Ufficio ricerca e sviluppo è stato potenziato con l’arrivo di quattro nuovi elementi, prevalentemente ingegneri elettronici), ha richiesto il potenziamento dell’ Ufficio commerciale, composto anche questo da quattro persone, di cui tre nuove, due dei quali incaricati specificatamente di seguire i mercati esteri. Requisito imprescindibile:  una ottima conoscenza dell’inglese, utile il tedesco e in futuro lo spagnolo.

“Oggi, continua Vici,  l’export copre il 20 per cento del fatturato, che sale però al 40 per cento se consideriamo solo il settore delle nuove macchine, dove  prevediamo di arrivare, nel giro di qualche anno, al 60-70 per cento. I nuovi mercati sono in Europa, principalmente Germania, Spagna, Repubblica Ceca e Polonia (la spiegazione è che nei paesi dell’Est si sono spostate molte produzioni automobilistiche), poi il Messico e l’India.  Tra il secondo semestre di quest’anno e l’anno che viene partiremo con Cina, Giappone, Stati Uniti e Brasile. Stiamo selezionando e formando, direttamente in azienda, i nuovi rappresentanti, compreso i tecnici che dovranno garantire l’assistenza.  La scelta dei paesi è  frutto di studi di mercato e di contatti presi partecipando a fiere di settore specializzate a Stoccarda, Hannover e Milano. Sulle Fiere investiamo molto, più di cento mila euro l’anno, con un buon riscontro (è li che costruiamo il nostro datebase di potenziali clienti), mentre non ci sono serviti, data la specificità del nostro prodotto, gli enti pubblici incaricati di supportare le imprese nazionali all’estero”.

Il territorio presenta qualche ostacolo per chi vuole internazionalizzarsi ?  “Ci sono due criticità da segnalare: è difficile reperire in loco le professionalità che ci servono, che sono molto specifiche (un Politecnico vicino aiuterebbe); farebbe comodo un aeroporto con maggiori collegamenti internazionali, perché noi siamo costretti ad andare continuamente, per partire o ricevere, a Bologna. Ma non so però se questi sono problemi risolvibili.

Nei prossimi mesi, se tutto andrà bene, prevediamo di fare nuove assunzioni e cercheremo soprattutto ingegneri elettronici, matematici (nei nostri prodotti c’è molto software)  e fisici. Più un commerciale, con conoscenza dell’inglese e dello spagnolo”.