Veni, vidi, VICI

di Alessandro Notarnicola

Avere sempre qualche sogno nel cassetto”. È questo il segreto di Luca Vici, Amministratore Delegato dell’omonima azienda di Santarcangelo, specializzata in sistemi di automazione industriale, che nel 2017 ha festeggiato 40 anni di attività fatturando 57 milioni di euro con un aumento di ben 12 milioni rispetto al 2016. La Vici&Co che attualmente occupa 159 persone, di cui una ventina in somministrazione, con una età media di 36 anni, nel 2016 è sbarcata sul mercato internazionale aprendo una filiale commerciale in Cina, precisamente a Shanghai, e nel prossimo futuro pensa al Messico. Welfare aziendale, crisi economica e occupazionale, industria 4.0 e rapporto tra mondo dell’impresa e settore universitario. L’imprenditore 47enne tocca ciascuno di questi argomenti spiegando che il successo della Vici è dovuto innanzitutto ai continui investimenti e alla collaborazione con ciascun lavoratore.

Sempre più aziende negli ultimi anni praticano Welfare. A che punto è la Vici&Co?
“Nel 2016, visti certi premi di crescita aziendale di volume di fatturato e di dipendenti, abbiamo introdotto la funzione delle risorse umane. Ci siamo resi conto che superata una soglia di dipendenti occorrono alcune competenze: le persone devono essere gestite dal punto di vista umano, psicologico, retributivo, motivazionale. Abbiamo deciso di implementare grazie alle risorse umane un primo pacchetto Welfare. Non abbiamo un processo produttivo automatizzato, ma abbiamo persone che con la loro passione e con voglia offrono il loro servizio. Abbiamo appena iniziato, questo è vero, ma abbiamo posto in essere alcune iniziative: ad esempio un orario flessibile per i genitori, ulteriori modifiche le apporteremo per la stagione estiva, abbiamo implementato il discorso dei buoni pasto di 6 euro”.

Tutte misure che fanno pensare alla crisi come qualcosa che appartiene al passato. È così?
“Assolutamente. Ammetto però che la Vici non è stata mai del tutto interessata dalla crisi. Quando il settore dell’impresa ha cominciato a indebolirsi, abbiamo risposto continuando a investire anche più di prima. Abbiamo sempre avuto un’azienda solida e con la crisi del biennio 2008/2009 avevamo le risorse necessarie per investire quando altre aziende non avevano la possibilità essendoci la restrizione del credito e una scarsa liquidità da poter investire. Ritengo, d’altra parte, che quando il mercato comincia a vacillare gli investimenti in un periodo di crisi facciano la differenza: quello che si porta a casa è molto superiore. In questo senso ci siamo introdotti in un mercato globale investendo all’estero su tre livelli: con nuovi prodotti, puntando sull’internazionalizzazione e spingendo al massimo sulle risorse umane”.

Quanto peso ha avuto la ricerca e l’innovazione di prodotto e di processo in questo rilancio?
“Il 40%. In questo dato però uno spazio di particolare rilevanza lo si deve alla cosiddetta industria 4.0. Quando da noi si parla di 4.0 ci si riferisce al fatto di condividere con tutta la rete vendita mondiale l’andatura delle nostre vendite e quali sono gli andamenti di commercio del successo avuto a una certa macchina. In questo senso, facciamo tantissimo marketing. Noi produciamo prodotti che si sposano con la 4.0. Stiamo implementando sistemi di teleassistenza con altre imprese del mondo. Più che svilupparlo al nostro interno lo facciamo verso l’esterno. L’80% della nostra produzione sta fuori”.

Da imprenditore di successo cosa consiglia ai giovani imprenditori?
“Posso condividere un’idea, non ho ricette vincenti ma ho un modus operandi che ha funzionato. Innanzitutto è necessario dare vita a una struttura snella mantenendo un’azienda capitalizzata e quindi con una grossa capacità di reinvestire ciò che l’azienda produce in termini di profitto. Inoltre, si deve delegare il più possibile: la centralizzazione non è possibile, questa scelta presuppone processi snelli e collaboratori preparati. E poi avere sun piccolo ingrediente personale. Il mio è avere sempre qualche sogno nel cassetto”.

Il suo sogno qual è?
“Aumentare fatturato, profitti, crescere con più prodotti e brevetti. Il mio sogno è costituire un’accademia interna per nuove figure per neodiplomati e laureati che poi potrebbero trovare un impiego in azienda, ma anche aver fatto una sorta di master per poi essere liberi di immergersi in nuove esperienze professionali. In questi mesi stiamo mettendo le basi per iniziare questa attività. Il consiglio che posso dare ai giovani imprenditori è di avere nel bagaglio le competenze tecniche, ma dato che questo diventa scontato, è necessario possedere ciò che fa la differenza: la passione, la capacità di risolvere problemi e di lavorare in team. Quando le proprie risorse fanno la differenza, l’azienda se ne accorge e premia”.

Un’impresa necessita anche dell’appoggio delle istituzioni. Quale messaggio vuole lasciare allo Stato da imprenditore?
“Ridurre la pressione fiscale che per le imprese medie, piccole e grandi è un castigo. Andrebbe calmierata, non per fare più felici gli investitori ma per incrementare la produzione, per premiare chi investe, per promuovere il marchio italiano. Chiediamo meno tasse perché bisogna liberare risorse e liquidità affinché le aziende possano investirle. Se riuscissimo a ottenere una tassazione inferiore il Paese riscontrerebbe uno sviluppo considerevole. Spesso si dice che lo Stato è il socio di maggioranza di una società (tra il 65% e il 70%). Nel corso della Legislatura da poco conclusa sono stati presi dei provvedimenti per una politica economica favorevole che si faccia spazio anche in Europa. Oggi, non possiamo più permetterci di parlare a livello nazionale ma europeo, con tassazione simili, perché tutti dobbiamo giocare lo stesso.